Il trilemma della pandemia. Contro l’impotenza della politica
Nicolò Bellanca
«Gli studiosi delle religioni parlano del paradosso del male, secondo cui non possono verificarsi contemporaneamente le seguenti tre condizioni: (1) un dio benevolo; (2) un dio onnisciente e onnipotente; (3) disgrazie che colpiscono persone buone. Se si verificano (1) e (2), allora perché l’onnipotente dovrebbe permettere che (3) accadano disgrazie alle persone buone?»[1]. Questo paradosso ha la struttura di un trilemma, come mostra la Figura 1: una situazione nella quale puoi scegliere qualunque coppia di tre alternative, ossia in cui una opzione deve a turno essere rimossa.
Questa premessa è utile, a mio avviso, perché l’attuale pandemia si presenta come un trilemma. Le tre alternative sono collocate ai vertici del triangolo raffigurato in Figura 2. La “mitigazione della pandemia” consiste nel contrastare, contenere e rallentare la circolazione e l’impatto sanitario del virus. Le “attività economiche” indicano la possibilità di svolgimento delle funzioni di produzione e di consumo. Infine, la “socializzazione e i rapporti di cura” copre l’insieme delle interazioni di comunicazione e di affetto tra i cittadini. Come vedremo, la convinzione predominante è che non sia possibile tenere assieme salute pubblica, funzionamento dell’economia e qualità della vita sociale. Ci si divide su quattro approcci strategici, ma si converge su questa convinzione pessimistica.
Da parte mia, è difficile provare a esprimere una diversa posizione. Infatti, nel mezzo della seconda ondata, sono i medici, i politici e i personaggi mediatici ad occupare la scena del dibattito pubblico. Con poche eccezioni, gli studiosi di scienze sociali e i comuni cittadini tacciono, disorientati dalle tesi contrapposte che gli esperti sbandierano per smentirsi a vicenda. Poiché non appartengo ad alcuna delle tre citate categorie, per rivendicare il diritto di parola devo procedere con infinita cautela. Intendo proporre un piccolo modesto ragionamento sulle condizioni di un efficace intervento politico. Si tratta di un’argomentazione strettamente ipotetica: tra le sue condizioni di validità vi è una determinata interpretazione epidemiologica della pandemia, rispetto alla quale, non avendo alcuna competenza, mi appoggerò ad una solida bibliografia.
Inizio considerando la strategia della chiusura generalizzata, come quella introdotta in Italia dal 9 marzo al 3 maggio 2020. Con essa tanto la vita sociale, quanto le attività economiche, sono sospese. Si rinuncia al tentativo di lasciare operative almeno due delle tre opzioni del triangolo, puntando ad ottenere risultati unicamente in termini di mitigazione della pandemia. Si tratta chiaramente di una risposta emergenziale non ottimale.
Vi è quindi la strategia delle chiusure selettive. Essa può assumere tante varianti, soltanto alcune delle quali sono finora state sperimentate nel nostro Paese: per area territoriale (dati i valori di certi indicatori, un’area chiude), per fascia di età (ad esempio, gli ultrasettantenni restano a casa), per ambito istituzionale (ad esempio, quello scolastico), per fasce orarie (ad esempio, i soggetti vulnerabili salgono sui mezzi pubblici di trasporto, o entrano nei negozi, in orari esclusivi), e così via. Una variante di particolare interesse prevedrebbe lockdown brevi e programmati. Il governo annuncerebbe in anticipo un confinamento domestico di due settimane, che potrebbe alla bisogna venire ripetuto ogni due mesi: «la possibilità di conoscere in anticipo le date delle chiusure ne ridurrebbe l’impatto sull’attività economica, mentre la durata breve e la scadenza predeterminata potrebbero renderle più accettabili per la popolazione»[2]. L’opzione sacrificata da questa strategia è il vertice B del triangolo: le persone non possono connettersi tra loro assecondando gusti e sentimenti; devono regolare i propri rapporti in base a vincoli che salvaguardino il contenimento della pandemia, ma anche le esigenze della vita economica.
Passiamo ad una strategia che nessun governo del pianeta ha deciso di privilegiare: quella in cui le relazioni sociali prevalgono sul funzionamento dell’economia. Mentre il distanziamento generalizzato (o lockdown totale) elimina le relazioni sociali, quello che chiamo il “diradamento affettivo” evita gli affollamenti, con misure sia passive (imposizione di limiti) che attive (investimenti mirati). Ad esempio, per mitigare la pandemia, stabilisce che nei trasporti, nelle aule scolastiche, negli uffici o nei bar occorra non superare il 50% della capienza. Non importa la natura delle attività economica implicate, né il costo delle misure da implementare; tantomeno contano le caratteristiche personali, in termini di età o di patologie pregresse. La priorità sta nel salvaguardare i contatti interpersonali, proteggendo la salute.
La quarta strategia rappresenta una prospettiva-limite, quella dell’immunità di gruppo spontanea, che è stata, in alcuni momenti, ventilata dal Regno Unito e da alcuni Stati della Confederazione americana. La pandemia sarà sotto controllo soltanto quando una parte significativa della popolazione avrà superato la malattia con anticorpi propri; nel frattempo, potranno continuare tutte le attività economiche e tutti i percorsi della socializzazione e della cura[3].
Infine, discutiamo la “mossa del cavallo” del gioco degli scacchi: la possibilità di uscire dalla strettoia del trilemma, puntando a realizzare congiuntamente tutte le opzioni del triangolo. Per ottenere ciò, è necessario reinterpretare ognuna delle alternative in gioco. Sulla dinamica della pandemia, esistono due scuole di pensiero: l’una si basa sull’R0, il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ogni individuo infetto, mentre l’altra si riferisce al fattore k, che misura la dispersione del virus. Mentre gli interventi di mitigazione sono stati ispirati in Italia dalla prima lettura della pandemia, e per questo hanno assunto un carattere generalizzato, sembra che la seconda possa vantare un’efficacia superiore. Essa documenta che il virus non si diffonde in modo costante, in quanto poche persone ne infettano molte altre in una volta: il 10% dei positivi al Covid-19 è responsabile dell’80% dei contagi. È un fenomeno noto come superdiffusione o sovradispersione[4]. Per contrastare la pandemia, occorre interrompere le catene di trasmissione innescate da eventi con un k elevato. Occorre dunque adottare una strategia di contact tracing che proceda a ritroso fino ai pochi che hanno contagiato molti, invece di esplorare tutte le potenziali successive esposizioni di un positivo, perdendosi tra catene di trasmissione che spesso si esauriranno senza gravi conseguenze. In breve, anziché eliminare la pandemia “paziente per paziente”, occorre impedire a un focolaio di accenderne un altro. Con questa strategia, la Corea del Sud, Taiwan e il Giappone (tre Paesi democratici) ottengono un forte contenimento dei contagi, imponendo restrizioni motivate e circoscritte[5]. Il passaggio iniziale, per realizzare questa strategia, consiste nel raccogliere dati attendibili e nel mettere la pubblica amministrazione nella condizione di processare questi dati per prendere decisioni basate sull’evidenza. Non occorre essere epidemiologi per rendersi conto che un elevato numero giornaliero di tamponi, sull’intero territorio nazionale, consente di monitorare i cluster di trasmissione da isolare tempestivamente; e che, in una fase di emergenza, è richiesto un rafforzamento della capacità di tracciamento.
Rispetto alla socializzazione e ai rapporti di cura, la mossa decisiva consiste nell’eliminare la solitudine alla quale le persone più vulnerabili potrebbero andare incontro nel corso della pandemia. Al riguardo, occorrono adeguati investimenti nelle reti di supporto agli anziani soli, sia pubbliche che del terzo settore, e per diffondere buone pratiche di prevenzione nelle famiglie dove convivono più generazioni. Non si tratta di recludere i più fragili, bensì di difenderli senza lasciarli soli. Peraltro, anche le attività conviviali potrebbero essere in parte salvaguardate, con opportune innovazioni. Ad esempio, nelle piazze delle città del Nord Europa, anche nei mesi freddi, ci si siede in bar e ristoranti all’aperto, grazie a stufe per esterno e copertine. Se questa modalità fosse ripresa dalle nostre parti, dove il clima è più mite, ridurrebbe molto il rischio di contagio[6].
Infine, rispetto alle attività economiche sono necessarie scelte politiche, che stabiliscano di volta in volta quali sono le funzioni essenziali. Secondo un’interessante recente posizione, ad esempio, l’economia fondamentale è costituita dalle attività legate «alla produzione dei beni e servizi indispensabili al benessere generale, come l’edilizia residenziale, l’istruzione, l’assistenza all’infanzia e agli anziani, la sanità, la fornitura
di beni e servizi essenziali come l’acqua, il gas, l’energia, la fognatura e le reti telefoniche»[7]. Senza entrare in questo dibattito, appare lampante che le attività economiche giudicate non essenziali, ma più esposte ai contraccolpi della pandemia (come i lavoratori della cultura, alcune categorie di commercianti, le partite Iva, gli artigiani e i lavoratori irregolari), sarebbero sussidiate (con strumenti come cassa integrazione, vari bonus, reddito d’emergenza, moratoria sui mutui, sospensione dei pagamenti fiscali) da un bilancio pubblico (italiano o europeo) in deficit. Ma appare altrettanto chiaro che la selezione della cerchia stretta dei lavori produttivi potrà variare in base all’andamento pandemico, e che in tal caso spetterà ancora ad un giudizio politico come allargare la cerchia. In ogni scenario, il proposito sarà comunque di concentrare le risorse affinché l’opzione C del triangolo venga (il più possibile) mantenuta.
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[2] https://www.internazionale.it/notizie/clare-wilson/2020/10/26/lockdown-programmati-virus
[3] A favore di questa prospettiva, vedi https://gbdeclaration.org/; contro, vedi https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)32153-X/fulltext e https://www.corriere.it/salute/malattie_infettive/20_ottobre_15/coronavirus-80-scienziati-bocciano-l-immunita-gregge-naturale-70aeb9fa-0ecc-11eb-9774-eb4dcac879cb.shtml
[4] E.C. Lee, N.I. Wada, M.K. Grabowski, E.S. Gurley and J. Lessler, “The engines of SARS-CoV-2 spread”, Science 370 (6515), 2020, pp.406-407; L. Hébert-Dufresne, B.M. Althouse, S.V. Scarpino and A. Allard “Beyond R0: heterogeneity in secondary infections and probabilistic epidemic forecasting”, J. R. Soc. Interface, 17, 2020: 20200393.
[5] Zeynep Tufekci, “L’importanza del fattore k”, Internazionale, 1382, 30 ottobre 2020, pp.48-55; vedi anche Susan Watkins, “Politics and Pandemics”, New Left Review, 125, 2020, pp.5-17.
[6] Stefano Bartolini, comunicazione personale.
[7] Autori vari, Economia fondamentale. L’infrastruttura della vita quotidiana, Einaudi, Torino, 2019, p.26.
[8] Vedi Michael Tooley, “The Problem of Evil”, The Stanford Encyclopedia of Philosophy (Spring 2019 Edition), Edward N. Zalta (ed.), https://plato.stanford.edu/archives/spr2019/entries/evil/
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