Il Vangelo secondo Küng

Wlodek Goldkorn

La fede è necessaria. Ma non può essere imposta. Ecco perché sbaglia Joseph Ratzinger. Un uomo che non ha altro orizzonte che quello della gerarchia ecclesiastica. Parla il celebre teologo ed ex collega del pontefice.

colloquio con Hans Küng, , da L’Espresso

L’antipapa abita in una bella villetta su una dolce collina alle porte di Tubinga. Qui ha sede la fondazione Weltethos diretta da Hans Küng, teologo svizzero, autore di numerosi e importanti libri quasi sempre in polemica con la dottrina e la gerarchia della Chiesa (vedi box), nonché un’antica conoscenza del papa regnante. I due sono stati insieme tra i giovani studiosi che hanno contribuito al Concilio Vaticano II e hanno insegnato l’uno accanto all’altro, all’Università, sempre a Tubinga. Lo stanzone di lavoro di Küng è tutto vetri, con vista su un fascinoso paesaggio della Svevia, che rispecchia certe pitture del romanticismo tedesco. Non c’è computer sulla scrivania. Il professore scrive a mano (e quindi è poco interessato ai twitter del pontefice). I libri che ha prodotto, tradotti in tutte le lingue, occupano un’intera parete dell’ampio spazio. Küng li indica, e scherzando ma non troppo dice: «È quello che mi invidia Ratzinger. Infatti da quando è pontefice si è messo a scrivere e tanto». Osserva la copertina del nuovo volume del papa "L’Infanzia di Gesù" e sorride: «Dovrei dire che Ratzinger è un grande teologo?». A 84 anni il professore ne dimostra una ventina di meno: «Ne ho quasi 85», corregge con aria civettuola.

In questa intervista in occasione della pubblicazione del suo libro, forse il più importante, "Dio esiste?" (Fazi editore), definisce il papa «un fondamentalista parziale, certamente non ingenuo», polemizza con la gerarchia ecclesiastica, ma pure con gli «atei aggressivi». Poi, a registratore spento, dice: «la differenza di vedute tra me e Ratzinger può essere spiegata a partire dalle nostre rispettive biografie. Io sono nato e cresciuto da libero cittadino svizzero, lui da figlio di un poliziotto tedesco». Non è un’espressione di alterità, ma un moto di vera empatia nei confronti di un ex collega, ora avversario.

Perché crediamo in Dio?
«Non c’è una prova inconfutabile della sua esistenza. Ci sono però buoni motivi per pensare che credere in Dio sia una cosa saggia. La fede non è razionale o tantomeno razionalista. Si può credere perché la religione tocca la sfera emozionale, si rivolge a tutti e non solo alle élite colte (come la filosofia) e perché si basa non sulle mode, ma sulle tradizioni e sulle sacre scritture. Vorrei però che la fede fosse compresa e non solo accettata. Ed è questa una delle differenze tra me e Joseph Ratzinger».

È possibile un’etica senza Dio?
« Sì. Ci sono tanti agnostici e atei che si comportano meglio dei credenti. Basti pensare a figure storiche come i filosofi Bloch o Russell. Però, attenzione: così come esistono credenti fondamentalisti, ci sono atei integralisti. Uno per tutti: l’inglese Richard Dawkins, che parla dell’"illusione di Dio". So che ce ne sono altri, anche in Italia. Ma provi a paragonare Dawkins o i suoi seguaci ai veri grandi atei: Marx, Feuerbach, Nietzsche, Freud… Dawkins ignora semplicemente tutta la letteratura filosofico-teologica e sostituisce la critica fondata con una facile ironia. Non sa neanche che la teologia è una scienza che ha compiuto enormi progressi nei secoli. Va pure detto che la Chiesa cattolica non aiuta. Negli ultimi decenni si è cercato di annullare le conquiste e lo spirito del Concilio Vaticano II. E questo ha spalancato le porte all’ateismo. La Chiesa oggi è un facile bersaglio».

Può spiegarsi?
«Parlo della campagna di evangelizzazione voluta da Wojtyla. Mirava a concentrare il potere della Chiesa nelle mani di Roma. In quella campagna è stato condannato tutto: dalla pillola all’aborto, alla morte assistita. Era clericalismo puro. Wojtyla pensava di imporre il modello del cattolicesimo polacco al mondo. È successo invece il contrario: il mondo moderno ha conquistato la Polonia. Io l’avevo previsto. Ed è un fatto triste».

Crede che sia triste quando la modernità conquista un Paese?
«Dipende dal tipo di modernità. La fede è importante. Risponde ai bisogni umani più profondi, ma non può dare risposte a tutte le questioni. Ho fatto dibattiti con fisici. Anche loro si pongono domande sull’origine del mondo, a cui la fisica non ha una risposta. Si dice che le leggi della natura risalgano al Big bang. Ma poi da dove vengono? Non dico mica che questa domanda sia la prova dell’esistenza di Dio, ma è una questione che va affrontata. Detto questo: certamente il cupolone di San Pietro non è la prova dell’esistenza di Dio, però quando un uomo affronta la sofferenza, una sofferenza gratuita, e si chiede: perché è successo proprio a me, qual è la mia colpa, allora siamo di fronte a una premessa per cercare la trascendenza, e forse anche la fede».

Sta dicendo che la fede nasce quando l’uomo non capisce il senso della sofferenza? Ma se tante persone hanno abbandonato Dio dopo Auschwitz?
«La sofferenza non è una prova dell’inesistenza di Dio. E sa perché? Perché gli oppressi e gli sfruttati devono pure trovare da qualche parte una speranza. Quando vedo la miseria in cui vivono milioni di persone, non posso pensare che tutta questa gente si rassegni al proprio destino. Va da sé che quando penso a Dio, non intendo un essere barbuto, ma una realtà fuori dalla dimensione temporale e che sta al centro dell’universo e nei nostri cuori».

Quando la fede diventa fondamentalismo?
«Quando non si ragiona, ma si cerca di imporre i dogmi».

Per lei fede è dunque dubbio?
«Preciso. Io dico: non sono in grado di comprendere la sofferenza né di accettarla, ma sono convinto che tutta la sofferenza del mondo ha un senso».

Come si concilia la sofferenza del mondo con l’ipotesi di Dio, se Dio è giustizia?
«Dio è giustizia. Ma non è una questione che può essere spiegata razionalmente. E ripeto, neanche un ateo ha una risposta alla domanda sulla sofferenza. Per me invece è un atto di fede. Io credo che esista una realtà in grado di accogliere e riscattare tutta la sofferenza del mondo».

Parliamo dell’attuale papa. Mentre Wojtyla si rivolgeva all’universo intero, non solo ai cattolici, l’impressione è che Ratzinger parli solo ai suoi correligionari…
«Tutta la sua vita si è svolta nel contesto strettamente cattolico. È nato in una famiglia cattolica. Ha studiato in una scuola cattolica. Ha fatto il seminario, ha insegnato a una Facoltà cattolica. È diventato vescovo, cardinale, uomo della curia. Io a 20 anni avevo già viaggiato in tutto il mondo e avevo la possibilità di confrontarmi con altre culture e religioni. Lui no. Lui è rimasto un insider cattolico. Ecco perché la sua teologia manca di ogni esperienza del mondo. Lui conosce solo gli scritti dei padri della Chiesa. Non ha capito Lutero e odia la modernità. Ignora la ricerca moderna della Bibbia, anche se a parole ne riconosce l’importanza. Essendo un professore non può condannarla, ma se uno legge i suoi testi su Gesù capisce ch
e questa materia non gli piace».

Cosa ha da imparare un cattolico da Lutero?
«Parlo per me. Ho imparato che la mia vita non consiste in ciò che sono riuscito a fare ma che il suo senso sta nella fiducia in Dio, nonostante le sconfitte e i fallimenti. Non si è giustificati per aver compiuto buone azioni, ma solo se si ha una fiducia illimitata nel Dio misericordioso».

Sta dicendo che la Chiesa di Ratzinger è tutta potere?
«Sì. E per questo non capisce che la Chiesa è fatta per servire. Fin da ragazzo ha voluto essere un cardinale. La struttura di potere della Chiesa, per lui è data da Dio. Mentre Gesù ha creato la Chiesa, ma l’istituzione gerarchica è un’invenzione umana».

Parliamo dei dogmi. Maria era vergine?
«Dal punto di vista biologico no, sarebbe contro le leggi della natura. Però c’è una verità simbolica…».

Quindi quando un papa afferma: Maria era Vergine e non c’è salvezza fuori dal Cristo…
«È parzialmente un fondamentalista. Ratzinger lo è in quello che riguarda i miracoli, l’infanzia di Gesù, la dottrina, l’infallibilità del papa. Però non è un ingenuo. E del resto i fondamentalismi (anche quelli delle altre religioni) sono oggi forti perché danno la sensazione di sicurezza. Ti dicono cosa devi fare e pensare, ti assolvono dalla responsabilità per le tue azioni. Anche se in fin dei conti è una sicurezza illusoria».

Non crede alla verginità di Maria. E la Resurrezione?
«È una questione differente. Quella sulla Resurrezione è la domanda che sta all’origine di tutto: dopo la morte davvero divento niente? Sono invece convinto che un giorno entrerò in un’altra realtà, e la differenza tra me oggi e me dopo la morte è simile a quella tra il bruco e una farfalla».

Come si pone rispetto ai problemi come procreazione assistita, uso dei profilattici?
«Sono conquiste dello spirito umano, e in quanto tali, doni di Dio da non rifiutare. E vale pure per le terapie del dolore».

Si immagina donne preti?
«Nel 21esimo secolo, certamente. Del resto nel primo secolo, le donne hanno avuto un ruolo enorme accanto a Gesù. Era una rivoluzione per il mondo ebraico di allora».

Il celibato dei preti?
«Questione di potere. Un uomo celibe può essere comandato dai vescovi, è al servizio dei superiori».

La differenza teologica tra lei e Ratzinger?
«Per me Gesù è uomo figlio di Dio, per lui è Dio».

(17 dicembre 2012)



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