Il Vaticano ha già votato la fiducia al Berlusconi bis

Michele Martelli



Oggi e domani si discute in Parlamento la «mozione di sfiducia» al governo di Berlusconi firmata dai finiani di Fli e dall’Udc di Casini. Sull’esito pesa tutto quello che è successo nei giorni precedenti. Tra gli altri eventi, oltre alla vergognosa compravendita di parlamentari, il pranzo tra il segretario di Stato vaticano cardinal Bertone e Berlusconi nell’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede a Roma. Evento, come è stato notato, altamente simbolico del sostegno vaticano a Berlusconi. Da notare, per i più distratti o sprovveduti, che non si trattava di un pranzo privato, seppure tra due primi ministri (l’uno, vicario papale, nominato dal papa, e dal papa dipendente perinde ac cadaver; l’altro nominato dal Presidente della Repubblica italiana, ma insofferente di ogni controllo istituzionale, e però divorato forse non meno del primo dalla brama dell’unzione e della benedizione papale).

I due Be-Be fotografati felici e sorridenti in ambasciata non erano soli, bensì in compagnia di altri membri del governo italiano e di quello vaticano. Con la presenza da un lato dell’immancabile Gianni Letta, sottosegretario e consigliere del divo di Arcore, ma anche, dal 2008, Gentiluomo di camera del Sommo Pontefice, e dall’altro di monsignor Mariano Crociata, dal 2008 dal Sommo Pontefice designato segretario della Cei. Dicesi Cei, attenzione!, cioè Conferenza episcopale italiana, non vaticana. E dicesi Sommo Pontefice, cioè (cosa che troppi dimenticano) monarca dello Stato vaticano, cioè di uno Stato straniero, e nel contempo capo della Chiesa cattolica italiana. Oltre che, naturalmente, vescovo di Roma, che è, chi non lo sa?, capitale d’Italia ma anche sede dello Stato vaticano.

In quest’“imbroglio”, che sembra una banale ovvietà, in questa anomalia, tutta e solo italiana, c’è gran parte della fragilità della nostra democrazia. Cerchiamo di riflettere su almeno due elementi di fondo.

Innanzitutto, sulla Chiesa cattolica italiana, sulla sua doppiezza. Da un lato è braccio spirituale del Vaticano in Italia, dall’altro organismo della società civile italiana. Preti e vescovi obbediscono al papa, ma sono cittadini a pieno titolo della nostra Repubblica. In quanto tali, non solo hanno diritto di voto attivo e passivo, ma potrebbero fondare e dirigere anche partiti politici. Come fece don Luigi Sturzo, fondatore e segretario del Ppi, poi, dopo la guerra, rinato Democrazia cristiana. Si può allora immaginare, sia pure in estrema ipotesi, un partito di preti in Parlamento, una macchia nera a Montecitorio, un Ruini, o qualche altro don Camillo, primo ministro della Repubblica? Sì e no. Sì, se lo facessero a titolo individuale, nella qualità di cittadini italiani. No, se lo facessero come esponenti della Chiesa. Si devono accontentare dei «cattolici in politica». Infatti né la Costituzione italiana, né il nuovo Concordato del 1984 consentono (o dovrebbero consentire: altri purtroppo sono i fatti) che la Chiesa in quanto istituzione entri direttamente in politica.

Ed è qui il secondo elemento di riflessione: il Concordato Stato/Chiesa, che, in Italia, implica un’intollerabile stortura nel diritto internazionale. Quali infatti i firmatari della revisione concordataria del 1984? Da un lato il primo ministro pontificio, il cardinal Casaroli, dall’altro quello italiano, Bettino Craxi. Quindi non un accordo tra il governo italiano e la Chiesa cattolica italiana (altrimenti, avrebbe dovuto firmare l’allora presidente della Cei, l’arcivescovo di Torino Anastasio Ballestrero: chi era costui?), ma tra due Stati, di cui l’uno, quello romano-vaticano conservava la piena autonomia e indipendenza, mentre l’altro, quello italiano, rinunciava in parte alla propria (come aveva già stabilito la genialata concordataria anti-italiana del duce di Predappio, nel 1929). Esso riconosce infatti alla Chiesa, che è diramazione del potere pontificio, di essere «un ordine sovrano e indipendente» nel territorio dello Stato italiano. L’Italia cioè cede parte della sua sovranità ad uno Stato straniero: questo l’assurdo. Se si aggiunge che il potere pontificio (insieme all’Arabia saudita) è l’ultima monarchia teocratico-assolutistica della storia, si capisce in quale permanente e grave pericolo si trovi, e si sia sempre trovata dal dopoguerra ad oggi, la democrazia italiana.

E il recente pranzo ambasciatoriale tra i due Be-Be ne è l’ultima conferma. Che cosa si sono detti i due tra un assaggino o una bicchierata e l’altra? La cosa non dovrebbe essere di dominio pubblico? E invece no: i giornali hanno bisbigliato di promesse e rassicurazioni. Qualcosa di simile al calciomercato dei parlamentari. Io do qualcosa a te (soldi pubblici, cioè nostri, di noi cittadini italiani, alla scuola privata e altre istituzioni cattoliche, e, tra l’altro, persino il regalo di una possibile futura visita di Ratzinger nella Russia dell’amicone Putin: Berlusconi come san Cirillo, l’evangelizzatore dei popoli slavi: chissà che l’uomo delle escort non sogni di essere, un giorno, anche lui santificato), tu dài qualcosa a me (la lealtà totale dei parlamentari catto-ciellini, peraltro già di proprio berlusconiani di ferro, come Maurizio Lupi, la preparazione di un ingresso, se necessario, dell’Udc di Casini nella maggioranza arcoriana, e, forse, i voti cattolici in caso di elezioni anticipate). Non a caso, commentando l’incontro/pranzo in ambasciata, l’invitato della Cei monsignor Crociata avrebbe detto che «l’unica soluzione» alla crisi politica in atto sarebbe «un rafforzamento dell’attuale compagine ministeriale, coinvolgendo anche l’Udc. Senza dimissioni, senza inoltrarsi nell’avventura di un reincarico».

Ricordate, gente di poca fede! Se ci sarà un Berlusconi bis o tris o in saecula seculorum, dovremo essere infinitamente grati alla Chiesa gerarchica e al Vaticano.

Senza il sostegno di Bertone, «orgoglioso yes man del Pontefice», che cosa sarebbe Berlusconi, vanitoso yes man a sua volta di Bertone e del Pontefice?

(13 dicembre 2010)

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