Il virus che colpisce la cultura è la cattiva politica di governo e regioni

Tomaso Montanari


Chiudiamo i teatri per non aver chiuso le discoteche, chiudiamo le scuole per non aver cambiato il trasporto pubblico, chiudiamo i cinema per non aver aperto nuove terapie intensive.

Il ministro Dario Franceschini ha risposto con chiarezza e con durezza alle dure critiche del mondo della cultura sulla chiusura dei luoghi dello spettacolo: i cittadini non si rendono conto, ha detto, dell’estrema gravità della situazione. Bisogna chiudere per ridurre la mobilità delle persone, ha spiegato.

Ebbene, sono tra coloro che da mesi invitano costantemente a ricordare la gravità della situazione. Sono stato attaccato personalmente da Matteo Salvini per aver detto che indire elezioni e referendum in questo momento non era sensato. Prima avevo criticato l’apertura delle frontiere senza quarantena e la mobilità interregionale riaperta. E la follia di aver portato all’80% la capienza del trasporto pubblico locale. Abbiamo tenuto aperte le discoteche: per questo ora chiudiamo i teatri. Non abbiamo incrementato i tamponi: per questo chiudiamo i cinema. Non abbiamo accresciuto le terapie intensive: per questo chiudiamo la scuola in presenza al 75%.
Ma, allora, chi è a non aver capito, fino a ieri, la gravità della situazione, se è stato proprio il governo di Franceschini ad aver irresponsabilmente abbassato la guardia. E ad aver consentito alle regioni di abbassarla ancora di più. E, soprattutto, a non aver fatto NULLA per non affrontare la seconda ondata a mani nude.
Il primo che Franceschini dovrebbe convincere è il capo del suo governo. Quante volte il presidente del Consiglio Conte ha ripetuto: «non siamo a marzo!», per minimizzare la portata di questa seconda ondata. Fino al dpcm e al discorso del 18 ottobre: un irresponsabile vaniloquio, su cui il governo è stato precipitosamente costretto a tornare una settimana dopo.
Il governo si è così velocemente smentito perché siamo di fronte a una situazione che – Franceschini ha ragione – è ancora più grave della prima. Come per la Spagnola, la seconda ondata può essere quella letale.
Ma allora, se le cose stanno così allora la chiusura di cinema e teatri è drammaticamente insufficiente! I centri commerciali funzionano, il trasporto pubblico non è minimamente potenziato, i lavoratori sono costretti a spostarsi, le funzioni religiose vanno avanti tranquillamente, la macchina delle mostre non si ferma e nel fine settimana tutto è aperto come al solito.
Quello che è incomprensibile è che si passi, d’improvviso, dal bomba libera tutti estivo, dal pannicello caldo di una settimana fa, a chiudere i luoghi della cultura.
I teatri, i cinema sono stati faticosamente resi sicuri: con infiniti sacrifici. Così come la scuola, dove una comunità educante stremata ha costruito un luogo rigoroso e sicuro.

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Perché, allora, colpire proprio questi centri di ricostruzione morale e comunitaria, questi ospedali dell’anima, mentre quasi tutto il resto va avanti tranquillamente?
Non si doveva forse, prima di arrivare a questo punto, requisire gli autobus turistici abbandonati, incrementando in ogni modo il trasporto pubblico in sicurezza?
Se la situazione è grave come dice Franceschini, e come anche io penso, allora il Paese deve fermarsi: ma la cultura deve essere proprio l’ultima cosa a spegnersi, non la prima. Perché è sempre la stessa cosa: si comincia sempre da quella carne da cannone che è il lavoro culturale. Che, però, è l’unico capace di costruire orizzonti per la resistenza collettiva cui siamo chiamati.
E un’ultima cosa: il governo deve spiegare le ragioni dei provvedimenti presi, non può contraddirsi in continuazione e poi accusare i cittadini di non capire. Il governo deve saper costruire il consenso intorno ai suoi provvedimenti, nell’unico modo degno di una democrazia: lasciando perdere il paternalismo delle esortazioni e la demagogia del ‘vaccino domani’, e invece argomentando in modo comprensibile e ragionevole intorno ad ogni provvedimento che restringe le libertà per il bene di tutti.
Ognuno deve fare la sua parte: ma è il governo che, da molti mesi, non fa la sua.

(26 ottobre 2020)





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