Le criticità riscontrate dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), riguardanti la gara di appalto che circa un anno fa ha assegnato al Gruppo Arcelor Mittal e Marcegaglia (ribattezzato AM Investco) la vincita contro l’offerta di Acciaitalia (costituita dal Gruppo Jindal, dalla Cassa Depositi e Prestiti e dal Gruppo Arvedi), vengono rese pubbliche in queste ore, dopo una lettera del Governatore della Regione Puglia Emiliano che arriva 13 mesi dopo la chiusura delle procedure. Una stranezza.
Se la gara sarà infatti invalidata dal Governo, dopo essere stata approvata anche dalle Autorità Europee, sarà a causa di un interesse pubblico violato e di procedure viziate da imparzialità nei trattamenti e opacità, ha detto il Ministro dello Sviluppo Economico. Tuttavia, leggendo con attenzione le carte dell’ANAC non si parla di violazioni e illegittimità. Mi spiego. Con riguardo al Piano Ambientale, la tempistica di attuazione è stata prorogata diverse volte e la definizione del termine ultimo è stata ancorata alla scadenza dell’Autorizzazione Integrata Ambientale e prorogata al 30 settembre 2017, ma la cui attuazione completa, secondo la proposta di AM Investco, è fissata all’agosto del 2023.
Il Governo contesta il termine per la definizione del Piano Ambientale, slittato in realtà non solo durante l’arco di tempo previsto dalla gara, ma rimandato ormai da anni con il susseguirsi di continui decreti ad hoc varati dai governi per permettere all’ILVA di continuare a produrre anche in violazione delle norme ambientali, delle procedure di infrazione europee e del sequestro dell’area a caldo dello stabilimento da parte del GIP di Taranto come avvenuto nel 2012. Nulla di nuovo, quindi, ma semmai la presa di coscienza di violazioni che esistono da tempo e delle quali anche l’allora opposizione, oggi Governo, era a conoscenza.
Chi scrive aveva espresso parere contrario già un anno fa sul Gruppo Arcelor Mittal, conosciuto in Francia, Belgio e Lussemburgo per le spregiudicate politiche sociali e il non rispetto dei vincoli ambientali (si era dedicato un articolo su MicroMega anche allo stabilimento Arcelor Mittal di Gand, in Belgio). Chi scrive è anche convinta e cosciente che ogni rinvio dell’attuazione piena del Piano Ambientale costituisca una violazione dei diritti della città di Taranto e degli operai dell’ILVA, ma spaventa la leggerezza con la quale la questione viene gestita attualmente, in un clima di caos che poco di positivo fa sperare.
Ciò che appare singolare, infatti, è che la gara, aggiudicata anche in base al parere dell’Antitrust Europeo che nel mese di maggio ha accettato la proposta avanzata dal Governo italiano, venga messa in dubbio solo adesso, dopo che il Ministro dello Sviluppo Economico aveva chiesto ad Arcerlor Mittal nuovi investimenti, più garanzie sulla questione ambientale ed in favore del risanamento di Taranto. Ci si chiede come sia possibile, da parte del Governo, parlare di irregolarità di gara solo dopo aver intrapreso un percorso di consultazioni con il gruppo aggiudicatario, con i sindacati e con le associazioni tarantine, e se la mossa del Governo non rappresenti, invece, una pericolosa perdita di tempo ed il mero procrastinare una indispensabile decisione, atteso che il risultato più plausibile resta, nel caso di nuove procedure di gara, l’allungamento della pessima gestione commissariale dello stabilimento. Gestione che non ha risolto, ma peggiorato la questione ambientale, e che è autrice di politiche che hanno comportato per l’ILVA anche una perdita mensile di 30 milioni di cassa e di generale competitività.
I lavori finalizzati alla messa in sicurezza della falda acquifera avvelenata dalle discariche ILVA (si potrebbe delineare un nuovo possibile disastro ambientale a causa dello smaltimento delle scorie contaminate in provenienza dallo stabilimento), la copertura dei parchi di stoccaggio di minerali a cielo aperto, l’urgente necessario abbattimento delle emissioni nocive sono misure primarie per cittadini e lavoratori, dalle quali consegue la centralità di un Piano Ambientale diventato un oggetto ormai mitologico agli occhi dei tarantini. Tuttavia, l’atteggiamento del Governo appare in queste ore quanto mai confuso e preoccupante.
La questione Taranto non deve in nessun modo diventare oggetto di rivalsa tra il Governo e l’attuale opposizione, strumento di guerra politica. Perché sono due a questo punto le alternative: invalidare la gara al fine di rifarne una nuova, ritardando i tempi di attuazione delle politiche ambientali, al momento de facto inesistenti, e condannando lo stabilimento, nel caso in cui la volontà non sia quella di chiudere, a una ulteriore perdita di tempo e di competitività in attesa di investitori di cui la solidità non appare certa; oppure, chiudere lo stabilimento non avendo chiaro il piano di riassorbimento del personale, degli operai, e senza un progetto discusso, definito, chiaro ed ambizioso in merito al futuro di Taranto e alla strutturazione delle conseguenze della ricaduta occupazionale. Taranto non vuole né morire per la produzione di acciaio né però trasformarsi in una nuova Bagnoli. Rimettere tutto in questione, dopo aver sottoposto l’accordo alle Autorità Europee, avrebbe il solo effetto di rendere ancora più fragile una situazione già molto precaria.
Perché in queste ore il piano non sembra assolutamente quello di chiudere lo stabilimento. Ci si chiede allora come sia possibile improvvisare in una crisi che è già acuta da anni, e gestire una questione che riguarda il futuro della popolazione, anche dal punto di vista economico, tra tante oscillazioni e cambi di prospettiva visto che l’amministrazione straordinaria rimarrà in piedi fino al 15 settembre prossimo.
Il nodo che permane tra i sindacati ed il Mise, inoltre, rappresenta una questione cruciale per il Governo e non potrà essere risolto entro settembre a causa dello slittamento di due mesi dell’entrata di Arcelor Mittal dentro ILVA voluta dal Governo.
Le indagini che il Governo chiede nella questione ILVA potrebbero davvero portare di nuovo in gara Acciaitalia, una cordata la cui offerta era stata scartata durante la gara di appalto per diversi motivi?
Quali sono le ragioni oggettive oggi per dichiarare che l’offerta Acciaitalia era migliore di quella di Mittal, la cui offerta è stata vagliata anche a Bruxelles da organi indipendenti?
E quale sarebbe il piano alternativo del Governo per Taranto, nel caso in cui la scelta, propriamente politica, dovesse essere quella in favore della dismissione della gara di appalto? L’ILVA rimarrebbe sotto amministrazione straordinaria e quindi continuerebbe a produrre al regime attuale, con tutte le numerose criticità per la salute umana e l’ambiente, o chiuderebbe? E nel caso della chiusura dello stabilimento di Taranto, e di conseguenza di altri stabilimenti in Italia, quali sarebbero le misure urgenti che il Governo metterebbe in piedi per l’economia della città, per i lavoratori e le loro famiglie, per l’indotto tarantino e per tutte le legittime preoccupazioni di chi ha davvero a cuore le sorti della città? È necessario lavorare alacremente sull’ILVA, ma per dare certezze, risposte concrete, sul piano della protezione sanitaria ed ambientale tanto quanto sul piano del futuro occupazionale ed economico. La vera sfida è questa e non va né confusa né diluita con la propaganda.
Taranto è oggetto di campagne pubblicitarie e condizionamenti ideologici da diversi anni ormai e il timore è che lo rimanga. Non sembrano migliorare le condizioni strutturali dello stabilimento tarantino, guardando i video e le fotografie che l’associazione Peacelink ha diffuso nelle ultime settimane. Si parla da ultimo della rottura delle tubature delle acque di raffreddamento nell’Acciaieria 1, e in questi mesi di altre difficoltà che dimostrano come la tenuta primaria dello stabilimento sia, come si sapeva da tempo, in crescente difficoltà. I dati ambientali rilevati al quartiere Tamburi rimangono preoccupanti. Le misurazioni ufficiali dell’ARPA Puglia, infatti, indicano un aumento importante dei valori man mano che ci si avvicina alla zona della Cokeria dell’ILVA, valori molto elevati di idrocarburi policiclici aromatici, una sostanza cancerogena, con picchi che al mattino, secondo le associazioni locali, possono raggiungere punte pericolose.
Eppure, la questione del futuro della gestione dello stabilimento, del bilanciamento del diritto al lavoro con il sacrosanto diritto alla salute e all’ambiente di lavoratori e cittadini continua ad essere trattata in modo propagandistico. E, in ogni caso, non vi era bisogno di presunte irregolarità di gara affinché il diritto alla vita di questa popolazione venisse sollevata: tale diritto, infatti, dovrebbe essere indipendente da una continua campagna elettorale, dallo scontro politico, dalle trovate mediatiche.
La questione Taranto tocca altri due nodi imprescindibili del futuro del Paese e del Mezzogiorno in particolare, in un momento di grande incertezza internazionale acuita dalla imposizione di dazi e tariffe statunitensi anche sull’acciaio europeo. Non si dovrebbe separare la discussione sul futuro di Taranto da quella più ampia riguardante la strategia industriale italiana di lungo termine. La necessità è che il Paese si doti di una matura e innovativa politica industriale che sia di ampio respiro non solo a livello nazionale, ma anche internazionale; e che, di conseguenza, vi sia un diretto coinvolgimento positivo dell’Unione Europea, in quanto Taranto rimane nodo centrale della politica di coesione sociale del Mezzogiorno e simbolo di un’area industriale con gravi difficoltà.
Si auspica un lavoro realistico e aperto portato avanti con le Istituzioni Europee per inserire Taranto in uno spettro di programmi che non ne consacrino la marginalità e la problematica sociale, ma che la possano includere in opportunità disegnate sulla propria specificità, facendola beneficiare di adeguate iniziative politiche condotte in seno alle Istituzioni europee.
Le criticità riscontrate dall’ANAC sono “in punta di diritto” e sembrano non evidenziare illegittimità decisive, che avrebbero altrimenti modificato il tono e le dichiarazioni dello stesso Presidente Cantone.
La scelta in merito al futuro di Taranto, quindi, è al momento puramente politica. Ci si guardi bene dall’adottare soluzioni veloci e di mero impatto mediatico che possano avere conseguenze gravi sul futuro della città, ritardando la soluzione delle questioni sanitarie ed ambientali insieme a quelle occupazionali, e senza avere pronto un piano realistico per la costruzione di un nuovo futuro.
(23 luglio 2018)
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