In a Silent Way
Mariasole Garacci
Chiude la mostra di Calder, e a Roma arriva un altro grande artista statunitense. Al Museo della Fondazione Roma, fino a giugno, la ‘Pastorale Americana’ di Edward Hopper, pittore della luce e del silenzio.
Dopo il grande successo di pubblico ottenuto a Milano, arriva nella capitale l’attesa mostra sull’artista americano Edward Hopper (1882 – 1967), ospitata dal Museo Fondazione Roma dal 16 febbraio al 13 giugno 2010, prima di proseguire tutta l’estate a Losanna. Rispetto all’edizione milanese, sono esposti nuovi prestiti di musei statunitensi, come Self-Portrait (1925-1930), The Sheridan Theatre (1937), New York Interior (1921 circa), Seven A. M. (1948); South Carolina Morning (1955). Insieme ai dipinti è possibile anche ammirare gli studi preparatori di alcuni celebri capolavori del pittore americano, che dimostrano il particolare interesse rivolto allo studio della luce nelle sue composizioni.
“Hopper non vuole […] stabilire le sensazioni di chi osserva le sue opere. E’ il suo sguardo imparziale e spassionato, completamente avulso da intenti sentimentali o da concessioni contemporanee, che procurerà un riconoscimento alla sua opera anche oltre il nostro tempo”. E’ un commento profetico che Charles Burchfield, amico e stimato collega di Hopper, ebbe a esprimere in occasione della prima retrospettiva del pittore nel 1933. Imparziale, spassionato, Hopper si limita ad aprire delle finestre sull’intimità di personaggi anonimi assorti in una solitaria pensosità, irraggiungibili; a condurre silenziosamente il nostro sguardo lungo il crinale di una collina illuminata dal sole radente; ad aprire le tendine di un vagone ferroviario su un paesaggio serale in fuga. Non c’è niente da raccontare, niente da rappresentare, nessun significato. Solo la dimessa, lievemente malinconica, vuota poesia che abbiamo vissuto tutti in un giorno qualsiasi, soffermandoci un momento su un marciapiede, all’angolo di un palazzo, o sulla finestra di casa giusto il tempo di chiudere una persiana. Eppure quello sguardo indiscreto che Hopper concede sulla vita di uomini e donne inconsapevoli, sulla quieta esistenza delle cose, per essere sempre esterno -delimitato da una finestra- o estraneo -allontanato in un cono di luce- si declina in una dimensione psicologicamente motivata.
La fascinazione che le scene d’interno di Hopper non smettono di esercitare su chi vi rimane irretito sono state spiegate con il comune voyeurismo solleticato da questi brani di intimità domestica rubati, ed è anche possibile individuare una vena erotica nel placido, pensoso abbandono di queste donne solitarie e dimentiche di se stesse, fragili e tristi al tavolo di una caffetteria, o immerse nude e indifferenti nella luce del sole in una stanza spoglia. Ma forse è soprattutto la forza di immedesimazione in un umano stato di incomunicabilità e isolamento, di silenzioso e tranquillo “lasciarsi vivere” che rende sempre misteriose e care queste immagini a chi le guarda.
La pittura di Hopper non è solo figura di una silenziosa sospensione sentimentale, o metafora esistenziale, ma anche racconto trasfigurato in poesia di una macro-storia economica e sociale riflessa nelle contrade della provincia americana, che si può leggere nelle vedute cittadine come Apartment Houses, East River (1930), nelle isolate architetture coloniali presso i binari di una ferrovia, nelle desolate vetrine di negozi abbandonati; più in generale, la registrazione quasi inconscia di un irrisolto e inquietante rapporto tra civilizzazione urbana e natura, una natura oscura e misteriosa su cui le bianche facciate delle abitazioni umane si sporgono come avamposti civili sull’orlo di un mondo ormai perduto. In questo aspetto soprattutto si coglie il lascito della tradizione romantica dei paesaggisti “classici” della Hudson River School conosciuti da Hopper, ma sembrerebbe una citazione nostalgica.
Attraverso sette sezioni, la mostra ripercorre il lavoro di Hopper a partire dagli anni parigini – Soir Bleu (1914) – fino alla produzione più nota, illustrando le tecniche usate dall’artista, l’olio, l’acquerello e l’incisione, con un occhio alla fase preparatoria dei suoi dipinti, con gli studi e i taccuini. Un apparato esplicativo accompagna l’esposizione ripercorrendo la storia americana dagli anni ’20 agli anni ’60 del XX secolo, dalla grande crisi al boom economico.
Edward Hopper
16 febbraio – 13 giugno 2010
Roma, Museo Fondazione Roma – Via del Corso, 320
Orario: tutti i giorni 10.00 – 20.00; lunedì 10.00 – 15.00; venerdì e sabato 10.00 – 22.00
www.fondazioneromamuseo.it
www.edwardhopper.it
(16 febbraio 2010)
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