In memoria di mons. Romero

Mariasole Garacci

La morte di Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador. La violenza del Potere, la gloria del coraggio e della giustizia. Ricordare attraverso un’opera di Caravaggio e le parole di un grande critico d’arte.

Non posso esprimere nulla sulla morte di monsignor Oscar Romero, del cui assassinio ricorre il trentesimo anniversario. Non è il luogo, una rubrica di arte, non è il mio "campo". Ma è pur vero che un miracolo impressionante e profondamente coinvolgente della creazione artistica e della fruizione di essa è la condivisione tra artista e ricevente – libera, spregiudicata, immediata – di una filosofica agnizione dei molteplici piani della realtà. Una realtà che si arricchisce di un indefinibile portato emotivo nel movimento di percezione, trasfigurazione, trasmissione in cui l’atto creativo e il suo godimento la rielabora. Nei miei pensieri e nel mio modo di guardare il mondo (non in senso figurato, intendo proprio “percepire con gli occhi”) e farmene una rappresentazione, molto spesso oggetti, situazioni, volti ed episodi, quotidiani e non, si confondono e si trasfigurano nelle immagini su cui ho riversato tempo e amore. Guardando questo quadro nella sua cappella buissima – dove devi sporgerti un po’ e sforzarti e spesso farti spazio tra i turisti, e poi cercare un attimo di silenzio per restare da sola – e leggendo le parole con cui un grande storico dell’arte lo descriveva, ho sempre pensato a questa brutta storia, un prete ucciso davanti l’altare mentre officiava la messa tra i fedeli, e questa brutta storia, la scena di quella volgare violenza, me la sono sempre immaginata così. Credo rientri nell’ordine di quelle associazioni mentali ed emotive che, per quanto assurde o incongrue, si agganciano alle cose come abitudini testarde.
L’opera è il Martirio di san Matteo di Michelangelo Merisi da Caravaggio (Roma, San Luigi dei Francesi, cappella Contarelli); le parole sono di Roberto Longhi (Caravaggio, 1952).
"E non che occorra trascurare, neppure in questo caso, la controparte più geniale del giovine rivoluzionario. Sebbene si trattasse di una leggenda situata in Etiopia (re Irtaco che, svergognato dall’apostolo per le sue illecite mire sulla figlia di Egesippo, lo fa colpire dai suoi scherani mentre officiava all’altare) il Muziano l’aveva trattata poco prima all’Aracoeli come una scena di etichetta in qualche corte velenosa di provincia italiana. Ma il Caravaggio che pure, a termini di commissione, era informato abbastanza di quel tortuoso racconto, ha l’ardire di trasformarlo in un fattaccio di cronaca nera entro le mura di una chiesa romana dei suoi giorni. Violata la santità del luogo, vi è entrata da più parti la squadraccia dei bravi e il santo, già trafitto, è ora rovesciato sotto i gradini dell’altare dal manigoldo che sta per finirlo. Degli astanti, venuti per la messa, oltre il signorotto insolente che con un gesto fatuo sull’elsa ribatte nel fodero la lama ormai inutile, taluni sembrano assistere attoniti; altri più timorosi (e fra questi, strano a dirsi, il Caravaggio stesso che s’è fatto ora crescere baffi e moschetta come uno studente spavaldo) tirano a scampare come da una comune rissa di strada; altri ancora, nella luce di spiraglio (forse della porta laterale lasciata aperta dall’irruzione, levano le mani in gesti di stupore o di orrore. Nell’aria bruna che ancora grava sul centro della scena quasi galleggia il nudo fortemente inciso d’ombre del carnefice (…): fiorisce come un petalo grasso la cotta del chierichetto che, fuggendo sulla destra, ancora ripete la reazione fisica momentanea del Giovinetto morso dal ramarro della Medusa, dell’Isacco ‘che grida’; poi, nella ‘ingegnosa descrizione dell’oscurità’ che invade l’abside, il Caravaggio trova ancor modo d’indugiarsi sull’angelotto nudo mentre si flette, dalla nube densa, a sporgere la palma del martirio; di osservare come si torca per la ventata dell’ala la fiamma della candelina; di perlustrare sulla destra, in penombra, la preziosa natura morta delle ampolline da messa nel bacile di peltro (…)".

(26 marzo 2010)

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