In principio erano i Pacs
di Vania Lucia Gaito, da viaggionelsilenzio.ilcannocchiale.it
Era il 15 novembre 1999 e in Francia veniva emanata la legge numero 99-944: il Patto civile di solidarietà, un contratto tra due persone maggiorenni dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune.
Certo, non erano i primi. La Danimarca aveva precorso i tempi di circa dieci anni, e il 7 giugno 1989 aveva emanato la legge n. 273, che dava la possibilità agli omosessuali di ufficializzare i rapporti di coppia attraverso una unione registrata simile al matrimonio, chiamata partnership registrata.
Un anno prima, nel 1988, la Svezia aveva però già dato il via al nuovo orientamento, varando una primissima legge in Europa che garantiva alcuni diritti alle "coppie di fatto", diritti estesi poi da una nuova legge del 1994. E, in realtà, la Svezia aveva un po’ traccheggiato, perchè le prime proposte di legge svedesi sulle unioni civili sono addirittura datate 1978.
Seguirono a ruota altri paesi europei: l’Olanda (1997), il Belgio (1998), la Germania e il Portogallo (2001), la Finlandia (2002), il Lussemburgo (2004), la Gran Bretagna, la Spagna e la Slovenia (2005), la Repubblica Ceca (2006), l’Ungheria (2007).
Senza contare che già dal 1994 l’Unione Europea si era espressa al riguardo, emanando una risoluzione per la parità dei diritti dei gay e delle lesbiche. Nel 2000, inoltre, l’Unione Europea aveva chiesto esplicitamente agli Stati membri di "garantire alle famiglie monoparentali, alle coppie non sposate e alle coppie dello stesso sesso parità di diritti rispetto alle coppie e alle famiglie tradizionali, in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali". E infine, con la Risoluzione del 4 settembre 2003 sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione Europea, il Parlamento ha rinsaldato le sue posizioni. Oltre alla richiesta, già formulata, di favorire il riconoscimento delle coppie di fatto, eterosessuali od omosessuali che siano (punto 81), ha sollecitato gli Stati membri ad attuare il diritto al matrimonio e all’adozione di minori da parte di persone omosessuali (punto77).
E l’Italia? Fanalino di coda, come sempre, insieme alla Bulgaria, alla Romania, alla Bielorussia, alla Serbia, all’Ucraina. E al Vaticano. Parlando in termini squisitamente politici, tutti paesi nei quali la democrazia è un fatto piuttosto recente. Tranne il Vaticano, s’intende, dove i tre poteri dello stato sono concentrati tutti nella persona del Papa. E quando un’unica persona detiene i tre poteri non si parla di democrazia ma di assolutismo. L’esatto opposto.
E trattandosi di uno staterello di meno di mezzo chilometro quadrato, con appena 800 abitanti, evidentemente risente della ristrettezza dei confini. E confonde quello che in casa sua può liberamente definire reato con quello che, in casa d’altri, al massimo può stigmatizzare come peccato. Cosa che gli italiani, anche gli italiani cattolici, sanno benissimo: il peccato riguarda la sfera intima di un individuo, che lo costringe a fare i conti con la propria coscienza, la propria fede, le proprie convinzioni morali e religiose; il reato riguarda la sfera pubblica, di un individuo, costringendolo invece a fare i conti con l’ordinamento giuridico di uno stato, con le sue leggi, quelle che i cittadini di quello stato si sono dati.
Può, uno Stato democratico, nell’emanare una legge, tenere conto delle convinzioni religiose di una parte dei suoi cittadini? Se i cittadini italiani di religione islamica considerano peccato mangiare la carne di maiale, può essere considerato un reato mangiare due fette di prosciutto? Perchè, in linea di principio, le due fette di prosciutto valgono quanto le unioni di fatto, la procreazione assistita, l’interruzione di gravidanza. Il principio è lo stesso: la legge segue un principio religioso, non un principio che tuteli l’interesse dei cittadini dello Stato.
Vero è che ci sono peccati che sono anche reati. Il furto è un reato, ma è anche un peccato. Ma le motivazioni alla base sono totalmente differenti. Il furto è un peccato perchè chi lo commette contravviene al comandamento "Non rubare". Ma non è questo il motivo per cui viene considerato reato. E’ considerato reato perchè lede la proprietà altrui, e lo Stato tutela la proprietà. Motivazioni che non hanno niente a che spartire l’una con l’altra.
Questo dovrebbe far comprendere che un comportamento socialmente o moralmente riprovevole non è considerato un reato, a meno che non leda uno o più principi fondamentali, veri e propri cardini dello Stato.
Ovviamente, questo concetto, potabilissimo anche ai meno dotati intellettivamente, non pare troppo semplice da comprendere per le gerarchie vaticane. Probabilmente per la scarsa dimestichezza col concetto di democrazia.
Due individui dello stesso sesso che hanno una relazione possono essere considerati da alcuni (ancora oggi!) individui dalla dubbia moralità (nelle sacre stanze spesso accadono cose davvero ripugnanti), ma non commettono alcun reato. Non contravvengono ad alcun principio cardine dell’ordinamento giuridico dello Stato Italiano. Ma nel momento in cui si comincia ad avanzare l’ipotesi di riconoscere alle "coppie di fatto", sia eteresessuali che, soprattutto, omosessuali, diritti e doveri simili a quelli previsti per le coppie unite in matrimonio, scoppia lo scandalo. E mentre gli altri civilissimi paesi europei approvano le leggi che regolano le unioni di fatto, noi restiamo indietro, a confermare, qualora ce ne fosse ancora bisogno, la nostra arretratezza in termini culturali e sociali. Proprio l’Italia, un tempo lontano considerata una delle culle della civiltà…
Il "balletto" delle proposte di legge è cominciato coi Pacs, passando per i Dico, i Cus e gli ultimissimi DiDoRe. Noi italiani, che amiamo gli acronimi, non ci curiamo troppo di quanto certi nomi possano apparire ridicoli.
Ad ogni proposta di "legalizzare" le coppie di fatto, un’ondata di recriminazioni dal Vaticano e dai politici sempre disposti a calpestare i diritti delle minoranze pur di non perdere il voto dei cattolici. Come se i cattolici, tutti i cattolici, fossero d’accordo con quanto sostengono i cardinali, i vescovi, il Papa.
Da un punto di vista economico, i DiDoRe sono a costo zero per lo Stato italiano: manca l’obbligo di assistenza morale e materiale, manca il regime patrimoniale degli acquisti fatti in comune, manca la reversibilità della pensione, manca ogni norma sull’eredità. In pratica, vediamo cosa dice questo progetto di legge.
In caso di malattia o ricovero di uno dei due conviventi, l’altro ha diritto di visitarlo e accudirlo (oggi, teoricamente, la famiglia invece potrebbe opporsi).
Un convivente può nominare l’altro proprio rappresentante in caso di malattia invalidante o di morte.
Se un convivente proprietario della casa dove i due abitano insieme muore, l’altro può continuare a risiedervi, almeno fino a che non si leghi a qualcun altro. Se invece la casa è in affitto e il contratto di locazione viene sciolto anticipatamente dal convivente che ne è intestatario (anche qui, magari in caso di morte), l’altro può succedergli.
Se uno dei due conviventi è in stato di bisogno (secondo la definizione del Codice civile), l’altro deve prestare gli alimenti, anche se la convivenza finisce, ma per un periodo proporzionato alla durata della coppia.
Non sono invece previsti diritti successori, l’assegnazione di case popolari, agevolazioni sul posto di lavoro, reversibilità della pensione.
L’Avvenire e Famiglia Cristiana non hanno
risparmiato critiche e polemiche, e alcuni noti esponenti politici hanno immediatamente deciso di tirare fuori i vessilli di sostenitori dei principi cattolici, primi tra tutti Maurizio Gasparri e Luca Volontè. Sì, quegli stessi che si erano schierati a favore di don Pierino Gelmini appena fu resa nota l’indagine a suo carico.
In particolare, Luca Volontè (esponente dell’UDC) definisce il riconoscimento delle coppie di fatto come un "privilegio" concesso agli omosessuali. Evidentemente, tra le fila dell’UDC non è molto chiara la differenza tra diritto e privilegio. Forse sarebbe il caso di dare una rispolverata a questi concetti, perchè certe dichiarazioni, battute dall’Ansa e riportate dai giornali, oltre ad essere offensive, danno la misura della persona che le proferisce.
Personalmente, preferirei che cardinali e monsignori si astenessero dall’infiammarsi tentando in ogni modo di assimilare i peccati ai reati. In ogni caso, preferirei che si attenessero al principio di non ingerenza.
Mariano Rumor, più volte ministro e capo di governi democristiani, ad un vescovo che gli raccomandava caldamente una certa persona, rispose: "Eminenza, terrò conto della sua indicazione quando lei mi permetterà di nominare qualche parroco".
(12 dicembre 2009)
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