In ricordo di Carlo Ripa di Meana

Paolo Flores d'Arcais

Nel ripercorrere la lunga storia politico-civile di Carlo Ripa di Meana i giornali pressoché unanimemente hanno ricordato la sua Biennale del Dissenso del 1977 come l’episodio cruciale e caratterizzante. Il legame che ho avuto con Carlo nasce proprio in quel periodo di frequentazione quotidiana, si prolunga per due e tre anni quando dirigo il Centro culturale Mondoperaio e poi praticamente finisce tranne occasioni sporadiche.

E’ verissimo che la Biennale del Dissenso è un po’ l’emblema e la sintesi del suo impegno e anche del suo carattere. Ripa di Meana ha militato in molti partiti, e quando lo ha fatto è stato con lealtà, che non ha però mai scambiato e umiliato a fedeltà. All’epoca della Biennale era socialista, e anzi craxiano. Avevo da anni rapporti molto stretti con il dissenso nell’Est (la mia prima moglie, Irena Grudzinska, era stata arrestata con Michnik e tanti altri durante le manifestazioni del marzo ’68 a Varsavia) e a Roma conoscevo bene Jiri Pelikan, direttore della radiotelevisione cecoslovacca nel periodo Dubkek, che in esilio da anni teneva molti collegamenti sia in Occidente che in patria con quanti alla “primavera di Praga” restavano legati, e che Ripa di Meana conosceva fin da quando avevano lavorato a Praga per l’internazionale degli studenti comunisti.

Fu proprio tramite Pelikan, e quando ormai si avvicinava l’estate, che Carlo mi chiese di essere il responsabile della grande conferenza di tre giorni che doveva inaugurare a metà novembre la Biennale dedicata al Dissenso, promettendomi carta bianca. Promessa che puntualmente mantenne, respingendo pressioni governative (soprattutto democristiane e socialdemocratiche o repubblicane) di inserire nomi di intellettuali italiani a loro legati.

Raramente mi è capitato di lavorare in un ambito “estraneo” (i vertici della Biennale erano in sostanza dominati dal governo, cui ero esplicitamente ostile, con strapuntini per il Pci, con il quale ero in pessimi rapporti, e più che mai proprio sul tema del dissenso nei paesi comunisti) con una tale libertà.

Immediatamente dopo l’estate il lavoro per la Biennale era quotidiano, ci vedevamo e sentivamo di continuo, Ripa di Meana ebbe l’intelligenza di andare a fare la prima conferenza stampa a Parigi, dove la concentrazione di dissidenti in esilio era massima, rendendo così con quella eco internazionale più difficili ostacoli e pressioni che lo colpivano. La frequentazione non era solo di lavoro, ma personale e di amicizie.

A Parigi ad esempio (lo racconto perché tutti i giornali hanno raccontato l’episodio della gelosia di Marina che una volta con un calcio in pubblico gli spezzò un osso della gamba, e di questi episodi “turbolenti” di una grande amore Carlo non si è mai vergognato) alloggiavamo all’hotel Taranne, proprio sopra la brasserie Lipp, con noi c’era sempre anche un fotografo molto bravo, Lorenzo Cappellini, tra noi Topone. Un pomeriggio ero alla reception quando dall’ascensore esce Topone che mi fa gesti di sbigottimento e disastro: Marina ha avuto un accesso di gelosia perché Carlo andava a un incontro con una giornalista del New York Times (o testata altrettanto importante, potrei sbagliarmi) una signora settantenne, e convinta che avessero una tresca ha cominciato a distruggere la stanza, tranciare il divano, strappare la carta da parati e infine gettare le due valige di Carlo dalla finestra del quarto piano (una atterra su una fila di taxi in posteggio). Ma Carlo affronta al ritorno quell’emergenza (Topone e io ci mettemmo all’uscita della metropolitana per intercettarlo e metterlo al corrente prima che si rivedessero) con la serenità, ironia, affabilità (con Marina affettuosità estrema) a cui negli anni aveva saputo educarsi, al punto che sembrava spontanea, un tratto essenziale della sua personalità.

Ripa di Meana svolgeva il suo compito, che era dirigere la Biennale, con una capacità rara di saper smorzare i conflitti, ascoltare e dare attenzione a tutti, ma tener sempre fermi i valori che riteneva irrinunciabili (ai tempi di Mani Pulite uscì dal governo Amato contro il decreto Conso, il famoso “colpo di spugna”). Sapeva che dirigere significa anche farsi aiutare, senza alcuna remora o timore: mi chiese di scrivere io un articolo che sarebbe apparso il giorno dopo a sua firma sul Monde, e un altro (forse due) per il Gazzettino, sempre chiedendolo per amicizia e ringraziando, cose che feci più che volentieri. Ovviamente non ne feci parola mai con nessuno. L’energia, molto cortese ma catafratta, con cui rispetto alle pressioni governative mi aveva garantito la totale autonomia nella scelta di relatori e partecipanti meritava questo e altro.

I quasi due mesi che passai a Venezia per preparare la Biennale (Hotel Do Pozzi, Carlo aveva invece affittato con Marina la casa della figlia di Toscanini, grande e dove c’erano quasi sempre ospiti a rotazione, Topone quasi fisso, Moravia molto spesso) sono restati per me indimenticabili. Per un mese venne ad aiutarmi mia moglie Anna, aggratis come si dice, prendendo le ferie dal suo ufficio (allora non eravamo sposati, stavamo insieme da pochi mesi) perché i funzionari della Biennale che dovevano fornirmi il supporto organizzativo e di segreteria erano un disastro. Anche qui Carlo non fece una piega, era consapevole e voleva raggiungere un obiettivo che sembrava arduo (il tutto fu organizzato davvero in un tempo brevissimo per una manifestazione di quelle dimensioni) ma seppe districarsi tra sindacati, malumori e necessità obiettive con le doti di affabilità e fermezza che ho prima ricordato.

Le stesse che utilizzò quando Il Manifesto organizzò una specie di controbiennale sul Dissenso, invitando personalità molto diverse dalle nostre per il lato occidentale, e solo i dissidenti che considerava “di sinistra” secondo la propria ottica (che all’epoca era maoista).

E quando Craxi mi licenziò dal Centro culturale Mondoperaio, perché prendendo alla lettera come sempre la mia autonomia, avevo pubblicato sull’Europeo (diretto da Lamberto Sechi e Claudio Rinaldi) un articolo dal titolo “Il Psi dal Progetto alle poltrone”, in occasione del ritorno dei socialisti al governo dopo i due anni di posizione bifronte contro Dc e Pci allo stesso modo, mi telefonò per esprimermi solidarietà, benché con quell’articolo fosse in completo disaccordo.

(3 marzo 2018)



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