In università si discute di sinistra e identità nazionale

Benedict Anderson,

di Jacopo Custodi

Il 28 e 29 Novembre 2019 si è tenuto alla Scuola Normale Superiore un convegno internazionale in cui si è discusso di come la sinistra, ed in special modo quella radicale, si rapporti all’identità nazionale.

Durante i due giorni di conferenza si sono confrontati accademici provenienti da paesi e continenti diversi, che hanno portato riflessioni su esperienze molto eterogenee tra loro. Se dovessimo condensare in una frase il pluralismo che ha contraddistinto questa conferenza, potremmo dire che, per spiegare i rapporti fra sinistra e nazionalità, “il contesto conta”. Una banalità forse, specialmente negli studi politici e sociali, dove questo principio vale praticamente per qualsiasi cosa. Eppure è una chiave di lettura che fatica a imporsi a sinistra quando si parla di nazioni e nazionalismi. Ciò che nel dibattito di sinistra spesso prevale, infatti, è una rigidità analitica che impedisce di cogliere il polimorfismo e la complessità dell’identità nazionale.

Un buon punto di partenza per uscire da questa impasse sono gli studi secondo cui le nazioni altro non sono che comunità immaginate. Sono immaginate per il semplice fatto che perfino «gli abitanti della più piccola nazione non conosceranno mai la maggior parte dei loro compatrioti, né li incontreranno, né ne sentiranno mai parlare, eppure nella mente di ognuno vive l’immagine del loro essere comunità». Cercare di analizzare queste comunità immaginate in termini di falsità/genuinità è sempre fuorviante e ingannevole: ciò che conta, per Anderson, è lo «stile in cui sono immaginate». L’identità nazionale non è quindi una caratteristica oggettiva, non è né immutabile né predeterminata, ma è una costruzione politica. E, soprattutto, può combinarsi con altre identità, a volte persino apparentemente antitetiche. Ad esempio, nelle discussioni sull’America Latina è emerso come in grandi fette della sinistra latinoamericana esista un forte sentimento di identificazione sia verso il proprio paese che verso l’intero subcontinente latinoamericano, al punto da usare lo stesso termine, patria, per indicare sia la nazione che l’America Latina. In questo, non molto è cambiato dai tempi in cui Ernesto Guevara dichiarava all’ONU: «Sono cubano e argentino e, se le signorie illustrissime dell’America Latina non si offendono, provo un tale patriottismo per l’America Latina, per qualsiasi paese dell’America Latina, che nel momento in cui fosse necessario, sarei disposto a dare la mia vita per la liberazione di qualsiasi nazione latinoamericana». Questo ci ricorda come ‘identità nazionale’ e ‘questione nazionale’ non siano la stessa cosa. Rivendicare la prima non implica necessariamente rivendicare anche la seconda. Ed è vero anche il contrario: ad esempio, nel discorso del movimento Eurostop, che fa parte di Potere al Popolo, la questione nazionale emerge fortemente nell’avversione per l’Unione Europea, ma questo avviene senza nessuna rivendicazione, né a livello simbolico né retorico, dell’identità nazionale italiana. L’identità nazionale è a volte assente dove ci aspetteremmo di trovarla, ed altre volte invece emerge dove non ce la saremmo aspettata. Ad esempio, l’intervento sul Portogallo ha mostrato come il Partito Comunista Portoghese, nel celebrare l’anniversario della Rivoluzione Bolscevica del 1917 e l’internazionalismo proletario, finisca per farlo tramite un repertorio simbolico fortemente nazionale, incentrato sulla rivoluzione portoghese del 1974. E perfino gli Anticapitalistas spagnoli, internazionalisti che arrivano dal trotskismo, alle ultime elezioni regionali in Andalusia hanno condotto una campagna elettorale incentrata sull’identità nazionale andalusa, con un acceso radicalismo identitario. La bandiera nazionale andalusa è diventata la bandiera della campagna elettorale ed i riferimenti alla cultura e alla tradizione andalusa erano molto presenti nel loro discorso politico.

Certo, si tratta comunque di posizioni relativamente minoritarie nel contesto europeo, dove la gran parte dei partiti di sinistra radicale, se confrontati col concetto di ‘stato-nazione’, vorrebbero volentieri liberarsi della ‘nazione’ per tenere invece lo ‘stato’ (trasformandolo in senso socialista). Curiosamente, la presentazione sul PKK ed il movimento curdo ha fatto notare come su questo Abdullah Öcalan abbia una posizione diametralmente opposta: per il fondatore del PKK, è ‘lo stato’ la parte più problematica dello stato-nazione, mentre la nazione, una volta liberatasi dalla trappola dello stato-nazione, sopravviverebbe diventando finalmente democratica.

Inoltre, le riflessioni incentrate su colonialismo e post-colonialismo hanno sottolineato il fatto che, se a volte la rivendicazione dell’identità nazionale all’interno della sinistra radicale europea ha avuto una dimensione emancipatoria a livello nazionale, questa si è spesso riflettuta negativamente sui popoli colonizzati. A cominciare dalla Comune di Parigi del 1871, i cui simpatizzanti ad Algeri ammettevano solo i francesi tra le loro fila, mentre discriminavano berberi ed arabi.

Ma se elementi di razzismo si sono sedimentati attraverso i secoli nell’idea stessa di nazionalità, quanto è possibile liberarsene oggi? La discussione sul patriottismo ha messo in luce come esistano effettivamente nel suo discorso tentennamenti problematici quando si tratta di condannare con fermezza l’islamofobia. Da questo punto di vista, l’esempio più virtuoso è forse quello di Podemos, che è stato capace di riprendere elementi dell’identità nazionale spagnola senza portarsi dietro nulla della sua dimensione etno-culturale tanto cara alla destra. Nel discorso di Podemos, la ‘patria’ altro non è che uno stato sociale inclusivo, l’orgoglio per le lotte popolari e di classe che hanno contraddistinto la storia spagnola, ed un’idea di comunità che non è basata su nessuna discriminante linguistica, etnica o nazionale. E’ un patriottismo che non identifica un nemico esterno, sia esso l’Unione Europea o i migranti, ma interno: i milionari che evadono le tasse, i politici corrotti e i responsabili delle politiche di austerity sono i veri ‘nemici della patria’, etichettati come indegni di pronunciare la parola ‘Spagna’, compresi i nazionalisti di destra di Vox, attaccati da Iglesias secondo cui «nessun sciovinista con le idee di Margaret Thatcher, cane dei ricchi, ci può dare lezioni su cosa significhi essere uno spagnolo». I veri patrioti, invece, sono i poveri, i lavoratori, le donne del movimento femminista e gli studenti che si mobilitano contro il cambiamento climatico, indipendentemente dal colore della pelle.

In sintesi, l’identità nazionale può avere un effetto positivo molto forte nel creare un sentimento di unità e di comunità fra categorie oppresse, ma può anche creare l’effetto opposto e diventare un’arma dell’oppressore per spezzare l’unità degli oppressi. Era così già ai tempi . «L’antagonismo tra inglesi e irlandesi &
ndash; scriveva il fondatore del socialismo scientifico nel 1870 – rende impossibile ogni seria e sincera collaborazione tra le classi operaie dei due paesi. Esso permette ai governi dei due paesi, ogni volta che lo ritengano opportuno, di togliere mordente al conflitto sociale aizzandoli l’uno contro l’altro». «Questo antagonismo – insisteva – viene alimentato artificialmente e accresciuto dalla stampa, dal pulpito, dai giornali umoristici, insomma con tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti. Questo antagonismo è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, a dispetto della sua organizzazione. Esso è il segreto della conservazione del potere da parte della classe capitalistica. E quest’ultima lo sa benissimo».

In ultima analisi, come ha giustamente sottolineato il sociologo marxista Michael Löwy, autore di un ottimo saggio sulla questione nazionale nel marxismo, l’idea di nazione è contraddittoria e le sue contraddizioni non sono espressione di un tratto eterno della natura umana, ma di condizioni storiche concrete e mutevoli. Ignorare queste sfaccettature in nome di purezze ideologiche e concezioni dogmatiche è una cosa che dovremmo evitare di fare.

Per chi volesse vedere gli interventi della conferenza, sono disponibili sul canale youtube della Scuola Normale Superiore: 1° giorno, 2° giorno.

@JacopoCustodi

(9 dicembre 2019)





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