Insolvenza Alitaliana

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di Pietro Reichlin, da lavoce.info

Non c’è più un’alternativa tra rilancio e fallimento: l’Alitalia ha già imboccato la strada della procedura di insolvenza, che si concluderà con la vendita degli asset e il licenziamento dei lavoratori. Ma il fallimento avviene con una procedura particolare. Che dà alla cordata costituita da Intesa San Paolo uno straordinario potere contrattuale, frutto della ricerca a qualsiasi prezzo dell’italianità. Mentre tutti i costi dell’operazione ricadono sui contribuenti, si regala così un’altra fetta del mercato nazionale, con ampi vantaggi oligopolistici, ai soliti noti.
È ormai chiaro che l’offerta Air France-Klm per Alitalia dello scorso marzo, rifiutata dai sindacati e da Silvio Berlusconi, era molto migliore dell’attuale piano di salvataggio predisposto da Intesa San Paolo. Gli azionisti e i creditori avrebbero ottenuto un sia pur limitato risarcimento, gli esuberi sarebbero stati probabilmente inferiori e parzialmente a carico della compagnia franco-olandese, non si sarebbe rischiata una procedura di infrazione delle regole comunitarie, non si sarebbero gettati al vento 300 milioni di prestito ponte e non avremmo dovuto legare le mani all’Autorità antitrust.
Arrivati al punto in cui siamo, però, l’alternativa al piano di Intesa San Paolo non è la vendita ad Air France-Klm alle condizioni proposte nel marzo 2008. Questa opzione è ormai scaduta e irripetibile. Non resterebbe, allora, che il fallimento della nostra compagnia di bandiera, un evento assai peggiore. Corrado Passera e soci appaiono, dunque, come chi è in grado di salvare il salvabile, prendendo ciò che vi è di buono e redditizio della vecchia compagnia e rilanciando il marchio Alitalia.

UNA PARTICOLARE PROCEDURA DI FALLIMENTO

In realtà, non esiste più un’alternativa tra rilancio e fallimento. L’Alitalia ha già imboccato la strada della procedura di insolvenza, che si concluderà con la vendita degli asset e il licenziamento dei lavoratori. Al contrario di ciò che accadde per Parmalat, la nostra compagnia di bandiera non è un’impresa sostanzialmente sana, ma finanziariamente dissestata. Può continuare a essere operativa (al riparo dalle azioni dei creditori) solo per il tempo necessario alla sua liquidazione.
Il piano implica, piuttosto, che il fallimento di Alitalia avvenga mediante una procedura particolare. Il governo nomina un commissario straordinario con il mandato di vendere a trattativa privata alcuni asset (inclusi gli slot) e trasferire parte del personale della vecchia compagnia a una nuova compagnia già pronta per l’acquisto. Tutto ciò che non interessa alla newco, incluso il personale in esubero, rappresenta un costo a carico esclusivo dei contribuenti italiani. In base a questa transazione, sembra che il commissario non potrà restituire alcun debito (compreso il prestito ponte di 300 milioni) e che il marchio Alitalia verrà ceduto a costo zero.
Mostrando qualche rimorso, il governo annuncia che troverà i soldi per risarcire i piccoli risparmiatori. Dunque, chi non si è mai occupato di Alitalia, neanche per sapere quanto valeva sul mercato, partecipa alle perdite: i 300 milioni di prestito ponte che non saranno mai risarciti, il mancato incasso per le azioni Alitalia e i costi per assorbire gli esuberi di personale. Chi, invece, ha deciso di rischiare, consapevolmente, i propri soldi in Alitalia sarà parzialmente compensato. Èdifficile comprendere quale idea di giustizia sia alla base di tale decisione. Infine, poiché la newco assorbirà anche Air One e il governo ha deciso di bloccare l’Autorità antitrust (per ragioni di “rilevante interesse nazionale”), essa sarà in grado di garantirsi a costo zero un “premio da monopolio” sulla tratta Roma-Milano.

COSTI VISIBILI E INVISIBILI

Sembra allora più corretto riformulare la domanda iniziale (“rilancio o fallimento?”) nel modo seguente: “quale procedura sarebbe stato meglio adottare per il fallimento di Alitalia?” La procedura adottata dal governo Berlusconi ha la caratteristica di trasferire tutti i possibili ricavi, al netto dei costi, che deriveranno dalla liquidazione della vecchia Alitalia, più altri ricavi generati surrettiziamente dal governo (premio di monopolio) alla nuova compagnia di bandiera. In altre parole, Corrado Passera, Roberto Colaninno e soci sono nelle condizioni di fare un’offerta “prendere o lasciare” al commissario straordinario, che dovrebbe agire nell’interesse di creditori e azionisti della vecchia Alitalia, in qualità di unico acquirente. Questi ricavi saranno sottratti direttamente agli azionisti dell’Alitalia e ai contribuenti in generale.
Per quale ragione la newco dispone di questo grande potere contrattuale? Non sarebbe stato meglio avviare la procedura di insolvenza immediatamente dopo il rifiuto dell’offerta di Air France-Klm, cercando subito nuovi acquirenti? Perché non dare mandato al commissario straordinario di mettere Passera e soci in concorrenza con altri e cercare di vendere gli asset al prezzo più alto? Siamo sicuri che altre compagnie aeree non fossero disponibili a offrire condizioni migliori per l’azionista? L’advisor di un’azienda di cui il ministero del Tesoro possiede la maggioranza del capitale, dovrebbe essere in sintonia con gli interessi dei contribuenti italiani, e avrebbe dovuto avere questo mandato. Con questa procedura, non si capisce come il governo possa aspettarsi l’applauso del sindacato e perché quest’ultimo dovrebbe essere contento, avendo già rifiutato solo pochi mesi fa un’offerta migliore per lavoratori e contribuenti.
Un motivo del grande potere contrattuale della cordata costituita da Intesa San Paolo è la ricerca a tutti i costi dell’italianità. Altri parlano degli effetti positivi della compagnia di bandiera sul mercato turistico nazionale. Ma quale contributo concreto può dare un’Alitalia italiana alla scelta dei turisti stranieri di passare le vacanze sul nostro territorio? Il buon senso dovrebbe suggerire che sia più importante migliorare le infrastrutture, tra cui la qualità degli aeroporti e dei collegamenti. Tra le altre cose, sembra evidente che la nuova Alitalia non sarà mai un concorrente serio sulle tratte internazionali. Secondo Passera, l’operazione “è nell’interesse dei consumatori perché migliora il servizio e aumenta l’efficienza”. Ma Passera si riferisce all’efficienza della sua newco, non all’efficienza dell’industria del trasporto aereo italiano. Se Alitalia fosse stata acquisita da una compagnia aerea più redditizia, avremmo ottenuto, come minimo, lo stesso risultato. L’unica differenza è che quella compagnia avrebbe pagato qualcosa di più allo Stato e agli azionisti privati. Ovviamente, e forse questo è il problema che preoccupava Berlusconi, i profitti aziendali e i compensi per i manager non sarebbero andati alla “cordata italiana”.
Ma l’operazione ha anche importanti costi “meno visibili”. Si regala un’altra fetta del mercato nazionale, con ampi vantaggi oligopolistici, ai soliti noti: un gruppo ristretto di capitalisti che siede in centinaia di consigli di amministrazione e spesso si trova in conflitto d’interesse. Da una parte comprano servizi aeroportuali, dall’altra li vendono; da una parte fanno gli advisor per vendere la vecchia Alitalia, dall’altra si presentano come acquirenti; da una parte presiedono la Confindustria, dall’altra fan
no affari con il governo. Questi stessi capitalisti sono nei consigli di amministrazione dei giornali, nella gestione delle autostrade, nelle grandi banche nazionali o nelle costruzioni. Molti di essi dipendono dalla politica, perché operano in regime di concessioni governative, o perché sono interessati ai nuovi piani regolatori dei comuni e alle opere pubbliche.
Questi dubbi non sono il prodotto di un’ideologia “mercatista”. Il problema è più semplice: quante nuove opere pubbliche, quanti nuovi incentivi alla ricerca, quanti altri buoni pasto per gli anziani, quanti nuovi ammortizzatori sociali potevamo ottenere dal governo se avessimo scelto una diversa procedura?

(6 settembre 2008)



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