“Io, cattolico, dico basta a questa Chiesa: farò sciopero della messa”

Ferruccio Sansa

Tra gestioni finanziarie opache, mancato pagamento dell’Ici, vite mondane e scandali vari, la Chiesa è sempre più distante dai valori del Vangelo. E’ ora che i cattolici escano dal loro silenzio e facciano sentire il proprio malcontento verso le gerarchie ecclesiastiche: lo "sciopero della messa" può essere uno strumento per cambiare le cose.

Quanto silenzio dai cattolici! Tanti di noi, come cittadini, si sono ribellati contro il male del berlusconismo. Tanti scendono in piazza per difendere il loro lavoro. Abbiamo mostrato di avere caro, giustamente, il ruolo di cittadini italiani, di voler far sentire la nostra voce.

Per questo mi colpisce ancora di più il silenzio di fronte ai mali profondissimi della nostra Chiesa. Lo dico da cattolico, pur con molti dubbi. È un silenzio dovuto al senso di obbedienza, di soggezione che fa parte della cultura cattolica. Magari a un comprensibile rispetto. O forse anche al timore, in un momento di profonda crisi materiale e morale, di mettere in discussione uno dei pochi sostegni rimasti. Ma oggi, di fronte agli ultimi scandali, mi chiedo se questo silenzio “rispettoso”, non rischi di diventare colpevole.

Insomma, se facciamo sentire la nostra voce nelle questioni che riguardano la vita quotidiana di cittadini, non dovremmo come fedeli avere almeno altrettanto a cuore quell’altra cittadinanza che addirittura chiama in causa l’esistenza eterna e la nostra identità più profonda (l’anima)? Non corriamo il rischio di assistere passivamente a una crisi che minaccia di travolgere definitivamente la Chiesa di cui pure diciamo di essere parte?

Se il disagio, credo, supera un limite, allora il rispetto deve essere almeno accompagnato dalla critica. Addirittura dalla protesta.
Lo dico dopo aver parlato con tanti uomini e donne che condividono con me la stessa fede e le stesse preoccupazioni. Non intendo quelli che una volta venivano chiamati “cattolici del dissenso”. Parlo di cattolici moderati, perfino di tanti sacerdoti. Ho sentito parole dure, durissime, indirizzate alle gerarchie ecclesiastiche. Discorsi che mettono in discussione i livelli più alti, perfino l’atteggiamento del Papa.
Persone cui sta a cuore il destino della Chiesa. Ma non solo: uomini che vedono vacillare anche la propria fede. Parlo anche e soprattutto per me stesso.
Lo so, lo sappiamo tutti: la fede va molto oltre le gerarchie ecclesiastiche e chi le rappresenta. Ormai, però, non siamo soltanto a quello: nell’azione della Chiesa, nel suo complesso, le ombre rischiano di essere troppe.

E così il disagio, il dissenso profondo rischiano di intaccare anche la fede e provocano uno smarrimento che travolge tutta la persona. Parlo per me, tiepido fedele. Non riesco nemmeno a immaginare il dolore che provano quei sacerdoti vecchi, stanchi che si sentono abbandonati dalla Chiesa cui hanno dedicato – non senza sacrifici – la loro intera esistenza. Ascoltando le loro parole avverto talvolta un senso di solitudine che sconfina con la disperazione. Avverto rabbia, quasi acredine. Ma a volte mi viene perfino da pensare a che cosa debba provare Cristo (il figlio di Dio o anche semplicemente l’uomo, comunque morto sulla croce) sentendosi sempre più solo. Spesso addirittura tradito.

Lo so, ci sono milioni di cattolici che ogni giorno si riuniscono per pregare animati da una fede sincera e appassionata. Che svolgono un ruolo fondamentale nell’aiuto dei più poveri contribuendo in modo decisivo anche alla vita sociale e civile del nostro Paese. E, però, non possiamo più negarlo, la Chiesa nel suo complesso pare sempre più distante.

Viviamo in un tempo di contraddizioni indicibili. Insopportabili. Da questa parte del mondo abitiamo in case riscaldate d’inverno, condizionate d’estate, spendiamo fortune per le nostre vacanze, viaggiamo in aereo una volta la settimana per lavoro, e a poche centinaia di chilometri da noi c’è chi muore ancora letteralmente di fame. Chi non ha i soldi per sconfiggere l’aids (con medicine che sarebbero reperibili sul mercato) o la malaria. Ci sono milioni di bambini le cui esistenze sono spazzate via da banalissime infezioni. Di fronte a questo delirio la Chiesa avrebbe il dovere di far sentire la sua voce ogni giorno, ogni istante. Dovrebbe, a volte penso, abbandonare gli splendidi marmi dei palazzi vaticani per correre in Africa.

Mi vengono in mente le pagine geniali e visionarie di “Roma senza Papa”, il libro dimenticato di Guido Morselli che racconta di una Chiesa che abbandona la sua Capitale.
Invece i vertici della Chiesa di Roma paiono sempre più distanti di fronte a questi mali che dovrebbero essere il cuore del suo messaggio. Certo, ci sono i missionari, ma sono sempre più soli, più spaesati. Chiedete a loro, leggete i messaggi che lanciano dai blog (sul sito www.misna.org, per esempio).

Non è vero che la gente si allontani dalla Chiesa perché spaventata dal troppo rigore. Al contrario: credo che i cattolici, ma non soltanto, chiedano parole ancora più chiare. Aspettino una chiamata all’impegno. E non è neanche vero che la Chiesa sia in crisi perché gli uomini vogliono che si adegui ai tempi, rischiando così di trasformarsi da fede in “semplice” morale. Niente di più falso: noi tutti cattolici vorremmo essere guidati, anche richiamati se necessario, alle questioni fondamentali dell’esistenza.

Invece la Chiesa pare confondere il rigore con la rigidità. Con la conservazione. Talvolta con la difesa di privilegi e posizioni di potere. E poi c’è l’attenzione ai riti, alle forme, perfino ai paramenti. Ma non erano i profeti (Giobbe) a dire “nudo sono uscito dal ventre di mia madre e nudo vi ritornerò”?

Il punto, mi pare, è che la Chiesa pare sempre più concentrata sulle questioni terrene. Non solo: ormai quotidiani sono gli scandali (non c’è bisogno di ricordare lo Ior del passato e del presente, le troppe ombre sui rapporti con la banda della Magliana, sulla morte di Emanuela Orlandi, sull’omicidio del capo delle Guardie Svizzere), poi episodi di aperta corruzione, contiguità con personaggi discussi. Gli affari di imprenditori legati al Vaticano, per esempio nel mondo del mattone. No, non si può più parlare di casi isolati, qui viene il dubbio che una fetta consistente della Chiesa, se non la sua maggioranza, abbia imboccato una strada sbagliata.
Per non dire della difesa di Berlusconi e delle incredibili intrusioni nella vita politica del nostro Paese, in aperto contrasto con il principio della laicità. E ancora viene in mente un profeta, Michea, non un rivoluzionario, quando parla dei profeti “che annunciano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano la guerra”.

E poi c’è il macigno del rapporto mai risolto con il sesso che ha fatto del corpo, e talvolta perfino dell’amore, un nemico (eppure proprio sant’Agostino diceva “ama e fai ciò che vuoi”). C’è il celibato che sta schiantando tanti sacerdoti, arrivando perfino a mettere in discussione la credibilità della loro missione. Non sono casi isolati, basta parlare con un prete per accorgersene. Ci sono diocesi in cui l’eccezione rischia di diventare la regola. Ma qui non voglio nemmeno discutere le scelte sessuali dei sacerdoti. Sono, credo, fatti loro se coltivano passioni amorose, che siano eterosessuali oppure omosessuali (un discorso a parte merita la pedofilia, che in paesi co
me l’Irlanda ha raggiunto dimensioni endemiche rovinando il rapporto con i fedeli). Il punto è che il rapporto con il sesso costringe tanti sacerdoti a una vita di nascondimento. Perfino di menzogna. E la menzogna dilaga, rischia di contagiare l’intera esistenza di una persona.

Davvero la Chiesa a tanti fedeli sembra ormai lontana, remota. Pare averci lasciati soli nella vita quotidiana. E di fronte ai grandi dubbi dell’esistenza. Eppure quanto bisogno avremmo di sentire la presenza di un Dio padre, come quello descritto da Giobbe. Di un Dio amante, che vuole perdono, non giustizia, come ricorda Osea. Quanto ci manca qualcuno che ci ricordi ogni giorno, in ogni nostra azione, i capitoli 5, 6 e 7 del vangelo di Matteo. Quanto ci consolerebbero di fronte al dolore e alla paura della morte le parole di Sant’Agostino: “Ovunque nell’eternità faremo muovere la luminosità spirituale dei nostri corpi, contempleremo, anche con il corpo, Dio che è incorporeo e che dirige tutto al fine…”.
Ma allora, mi chiedo sempre più spesso, che cosa posso fare? Le gerarchie ecclesiastiche finora sono sembrate sorde a qualsiasi forma di dissenso. Non hanno replicato in modo adeguato e convincente alle tante notizie di cronaca che le riguardavano.

Che cosa devo fare? Devo rassegnarmi al silenzio, lasciando che la Chiesa – che è del cardinale Tarcisio Bertone quanto di ogni singolo fedele – proceda su questa strada?
Credo che sarebbe colpevole. Allora, come un cittadino esasperato che boicotta i “riti” dello Stato laico, penso alla Messa. Per me la Messa – anche con i momenti di noia, con le preghiere distratte dei fedeli, con le prediche talvolta stanche dei sacerdoti – è stato un appuntamento, uno tra i pochissimi, che mi ha accompagnato per tutta la vita. Che mi ha costretto, oltre gli affanni di tutti i giorni, a cercare parole grandi. A individuare, se non risposte certe, almeno un abbozzo di senso.

Da quando sono nato ogni domenica vado in Chiesa. Entro con tutti i miei dubbi, spesso pensando di non credere davvero (mia moglie dice che sono un caso raro di “ateo devoto”, ma vabbé). Però quei colloqui sono stati fondamentali per me. Non importa se pregavo Dio oppure se a volte ci litigavo fino a essere blasfemo (diceva il poeta Giorgio Caproni “Non ti prego perché tu esisti, ma perché tu esista”). Non importa se a volte ero convinto di parlare con me stesso e di ascoltare soltanto le mie parole (quanto poco siamo abituati a conversare con noi stessi, ad ascoltarci).

Ma negli ultimi tempi non è più così. Emergono il disagio, il rischio di essere ipocrita, e poi un dissenso tanto forte da diventare rabbia se non può essere espresso.
Un sentimento tanto forte che rischia di intaccare anche la mia fede. E questo proprio non lo permetterò. Non lascerò che la mia idea di Dio, che addirittura la speranza nella sua esistenza, siano messe in discussione da qualcuno.
Allora domenica prossima non sarò in Chiesa. No, non è un gesto per lasciare ancora più soli tanti sacerdoti, anzi. Ma sento che – per me – è giusto così, anche se non se ne accorgerà nessuno, se non io. Ma se tanti altri lo facessero,  chissà…

(17 febbraio 2012)

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