Io difendo Scalfari (ma non su Renzi e B.)
Angelo Cannatà
Era il 2011 e mi trovavo da qualche giorno a Lecce con Eugenio Scalfari per la presentazione di Scuote l’anima mia Eros, Einaudi. Era stanco Eugenio, aveva 87 anni. Mi disse che pensava di abbandonare il sistematico appuntamento domenicale su Repubblica: “Farò come Montanelli. Indro scriveva quando aveva voglia. Tu che ne pensi?”. “È vero – risposi – ma l’appuntamento col tuo editoriale, la domenica, è importante per i lettori e per il giornale. Repubblica non sarebbe più la stessa senza la tua firma settimanale”. Scalfari sorrise visibilmente contento, non ha mai nascosto il suo narcisismo, e cambiammo argomento.
Oggi il tema ritorna nel pezzo di Eugenio Ripepe (il Fatto, 13 giugno), che non ho condiviso. Scalfari è un personaggio particolare nella storia d’Italia. Un grande. Con Arrigo Benedetti fonda L’Espresso e nel 1976 avvia l’avventura di Repubblica: due giornali che hanno avuto (hanno) notevole importanza nella formazione dell’opinione pubblica. Ha costruito amicizie significative, Scalfari: con Gianni Agnelli (il protagonista de La ruga sulla fronte, Einaudi, si ispira a lui), con Guido Carli, governatore della Banca d’Italia, Enrico Berlinguer mitico segretario del Pci; Ugo La Malfa, Sandro Pertini, Carlo Azeglio Ciampi. Eccetera. Amicizie non nate per caso. Ma per stima. Per sintonia. Per la percezione del ruolo che Scalfari aveva nella formazione dell’opinione pubblica del Paese.
Dalla denuncia del tentato colpo di Stato di De Lorenzo – e stiamo parlando di Storia, non di cronaca – agli editoriali contro la P2 di Gelli; dalla fermezza nel caso Moro, alle battaglie contro il Psi di Craxi e Tangentopoli, sempre, i suoi giornali hanno difeso lo Stato di diritto e la democrazia. Questo conta. Nei suoi testi oggi ci sono sviste? Sono dovute all’età: Scalfari ha 93 anni. Vogliamo fargliene una colpa? Ritengo un errore insistere su questo punto. Non dimentichiamo che portò Umberto Eco all’Espresso, che dialogava con Moravia, che godeva della stima del cardinale Carlo Maria Martini. Suvvia, basta con questa storia dei refusi. Certo, come tutti, ha fatto anche errori. Li ho evidenziati spesso. Errori di valutazione che non giustificano attacchi alla sua persona.
Insomma: davvero la riconciliazione con la moglie del commissario Calabresi e col figlio Mario – oggi direttore di Repubblica – non ha alcun valore? Da quando il perdono è una categoria dello spirito superata? Davvero si possono giudicare firme e appelli – penso a Vittorio Feltri – decontestualizzandoli, astraendo dal clima ideologico dell’epoca? Siamo seri. Scalfari, Montanelli, Biagi: quando si parla di personalità così forti, non si dovrebbe dimenticare mai la loro storia: Italo Calvino – uno dei grandi del Novecento italiano – lasciò il Corriere per andare a lavorare con l’amico Eugenio a Repubblica; Biagi, quando il giornale di via Solferino visse gli anni bui della P2, trovò naturale scrivere sul giornale di Scalfari (andrebbe riletto il libro che scrissero insieme: Biagi-Scalfari, Come andremo a incominciare? Rizzoli, un lucido scambio epistolare che illumina su un’epoca). Mi fermo qui. Difendo Scalfari? Sì. Certo che lo difendo. Nonostante qualche errore, resta un grande del giornalismo italiano, non sarà certo qualche refuso a sminuirne il talento, il prestigio, la storia.
Caro Eugenio, forse oggi, di fronte alla domanda che mi facesti a Lecce, risponderei così: “Non sarà un articolo in più o in meno a cambiare la tua immagine. Alla tua veneranda età, oggi, è giusto forse centellinare gli interventi; non per evitare stupide sviste, dimenticanze, refusi; piuttosto, perché le tue deboli energie non devi vincolarle alla quotidiana cronaca politica; la tua opinione – così utile anche quando non condividiamo – riservala ai grandi temi del dibattito pubblico: ne abbiamo bisogno (anche) per contestarla”. Infine, Indro Montanelli. Si stimavano nonostante le diversità: “Scalfari e io abbiamo questo in comune: che non sappiamo mai bene se siamo più amici quando facciamo gli amici o quando facciamo i nemici”. Credo sia questo l’atteggiamento giusto. Critica e rispetto. Il resto è noia.
Post scriptum. Ho riconosciuto il ruolo storico della testata di Scalfari. Certo oggi, piena di propaganda renziana (vero o falso che sia l’incontro Casaleggio-Salvini), Repubblica è un’altra cosa. Anche la tua dialettica, caro Eugenio, non può cancellare l’odierna verità. Dici bene: le idee di Repubblica hanno radici in Giustizia e Libertà. Ma come puoi chiudere la “questione-Caimano” – un pregiudicato! – scrivendo che Renzi governerà “con un Berlusconi amichevolmente autonomo”? È una terribile forzatura: si può essere amici con un corruttore pluriprescritto e un frodatore condannato? Cos’è la sua “autonomia” – cos’è per davvero – se i suoi voti sono “necessari”? Puoi negare che B. sarebbe in verità “libero e autonomo” di condizionare – secondo i suoi interessi – l’attività di governo? Ecco il problema odierno di Repubblica: si arrampica sugli specchi. Ha le radici in Giustizia e libertà, è vero, ma sostiene una politica che non è libera né giusta (MicroMega lo dice da tempo): è condizionata da un condannato che la sottopone a ricatto. Peccato.
(20 giugno 2017)
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