#IoRestoaCasa e guardo un classico: ‘I gioielli di Madame de…’ di Max Ophüls presentato da Mario Sesti
Mario Sesti
Parigi 1932. Louise, la Madame de… che dà il titolo al film 1, moglie del generale André, decide di vendere un paio d’orecchini di diamanti, senza dirlo al marito, per pagare certi debiti. Davanti a lui, la donna sostiene di averli distrattamente perduti a teatro. La notizia però si diffonde e il gioielliere a cui Madame de… si è rivolta decide, per prudenza, di avvertire il generale di questa vendita segreta. L’uomo ricompra gli orecchini e li dona a sua volta a un’amante, che li perde al gioco a Costantinopoli, dove li acquista un diplomatico italiano, il barone Fabrizio Donati. Giunto a Parigi, l’uomo conosce Madame de…, si innamora di lei e le regala, come pegno d’amore, proprio i due gioielli. La donna, per riuscire a indossarli, vuole far credere al marito di averli ritrovati casualmente. Il generale però ha intuito la relazione segreta di sua moglie e decide di sfidare a duello Donati. Louise, venutolo a sapere, cerca di convincere il barone a non presentarsi all’appuntamento concordato. Ma la sua è una vana speranza: l’indomani infatti il duello ha luogo. Louise si ferma in una chiesa per chiedere una grazia e offre sull’altare come pegno gli orecchini. Poi si reca ad assistere alla sfida. Udito un colpo di pistola, si sente male e si accascia. La sua domestica, andata avanti per vedere, quando torna da Louise si accorge che la donna sta morendo. Rimangono, conservati nella teca, gli orecchini.
Questa la trama di I gioielli di Madame de…, il cui autore, benché meno conosciuto di altri, fu amato da grandissimi registi, tra i quali alcuni tra i più carismatici della modernità del cinema, Truffaut e Kubrick. Il secondo rimaneva ipnotizzato dalla tecnica dei suoi lunghi carrelli, il primo dal perfezionismo del suo stile: Max Ophüls, scrisse il regista dei Quattrocento colpi, sembra uno di quegli artigiani capace di scalare da solo la facciata di una cattedrale per sistemarvi nel rosone un monile come un orologiaio che con una pinzetta sistemi un invisibile bilancino nella meccanica microscopica di un cronometro 2.
Ma la sua macchina da presa che danza con Strauss si fa largo in uno spazio gremito di separè, tavoli, divani, camerieri, scale, scalette, logge, balconcini, sete, merletti, broccati, stucchi, reti, penombre e le sue attrici, capaci di affrontare i più invisibili tormenti del sentimento con lo stoicismo della grazia di un sorriso, non sarebbero che freddi gioielli se grazie a esse il suo cinema non continuasse tuttora a trasmetterci un piccolo enigma che i suoi film servirono con serena e inesorabile rassegnazione. «La felicità non è mai gaia», si dice in uno dei suoi film più belli, Il piacere, tratto da Guy de Maupassant. È forse l’unica sentenza che possa avvicinarsi a un significativo epitaffio da apporre sul monumento che la sua intera filmografia ha disseminato in quasi trent’anni di cinema realizzato in Germania, Olanda, Francia, Italia e Stati Uniti.
I gioielli di Madame de…, tratto da un romanzo breve di grande successo di Louise de Vilmorin, è considerato tra i suoi film di più intensa e personale maturità. Il fascino segreto del film, ancor più che nella soffice e virtuosistica ricchezza linguistica con cui sono messe in scena le superfici (costumi, arredi e scenografia) o nella soave mobilità della macchina da presa, sta forse nella sperimentazione di una sorprendente modulazione tonale, che trascolora dalla commedia alla tragedia prendendo possesso dello spettatore per assorbimento, prima che questi si renda conto dell’inappellabilità dell’esito finale. È una strategia di racconto sorretta da interpreti che indossano i loro personaggi tenendoli in bilico perenne tra ironia e disillusione, collera e affetto, sofferenza e premura. L’autore dirige superbamente Danielle Darrieux, Charles Boyer e Vittorio De Sica, tutti prigionieri tanto di un’inviolabile disciplina sociale quanto del sogno impossibile di poterla trasgredire.
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1. I gioielli di Madame de… (Madame de…), Francia/Italia, 1953, regia di Max Ophüls, con Danielle Darrieux, Charles Boyer, Vittorio De Sica, Jean Debucourt.
2. F. Truffaut, I film della mia vita, Marsilio Editore, Bologna 1978.
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