#IoRestoaCasa e leggo un classico: ‘Il caso e la necessità’ di Jacques Monod presentato da Telmo Pievani
Telmo Pievani
Tra i fondatori della biologia molecolare, premio Nobel per la medicina, intellettuale militante, scrittore, amante dell’arte: Jacques Monod era un uomo di cultura a tutto tondo, che avvertiva profondamente il dovere di prendere posizione a favore dei diritti umani, contro ogni integralismo religioso e contro tutte le ideologie totalitarie. A sessant’anni mise in gioco tutta la sua cultura filosofica e la sua militanza politica in un capolavoro di meno di duecento pagine: Il caso e la necessità, che uscì in Francia e poi in tutto il mondo nel 1970. Bestseller per decenni, il libro coniuga scienza e filosofia presentando una nuova ‘filosofia naturale’ radicalmente anti-antropocentrica in cui la presenza umana nell’universo diventa del tutto marginale, frutto di una lotteria fortunata, senza alcun piano preordinato.
Partigiano e soldato pluridecorato per i suoi meriti nella Resistenza francese al nazifascismo, Jacques Monod fu non soltanto uno dei fondatori della biologia molecolare, ma anche un ottimo violoncellista e corista, un intellettuale militante, uno scrittore, un amante dell’arte – anche grazie alla moglie Odette Bruhl, archeologa e orientalista – un uomo di cultura a tutto tondo, con un viso scolpito, spigoloso, un sorriso smagliante, esibito quasi con timidezza. Per lui lo scienziato aveva il dovere di prendere posizione, anche duramente, a favore dei diritti umani, contro ogni integralismo religioso e contro tutte le ideologie totalitarie, compresa quella sovietica che gli aveva fatto abbandonare il Partito comunista francese già nel 1945 per poi impegnarsi attivamente nelle reti internazionali di aiuto ai dissidenti.
Monod era consapevole dei reciproci sospetti tra scienziati e filosofi, ma nonostante ciò scriveva: «Lo scienziato deve pensare la propria disciplina nel quadro generale della cultura moderna, per arricchirlo non solo di nozioni importanti dal punto di vista tecnico, ma anche di quelle idee, provenienti dal loro particolare campo d’indagine, che essi ritengano significative dal punto di vista umano. Il candore di uno sguardo nuovo (quello della scienza lo è sempre) può talvolta illuminare di luce nuova antichi problemi». Scienza e filosofia insieme, dunque, per ripensare ad antichi problemi (chi siamo? da dove veniamo? eravamo previsti?) con nuove evidenze e sguardi rinnovati.
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Bestseller per decenni, Il caso e la necessità uscì in Francia e poi in tutto il mondo nel 1970. Il grande genetista era da cinque anni Premio Nobel per la Medicina insieme ai due colleghi dell’Istituto Pasteur di Parigi, André Lwoff e François Jacob (tutti e tre partigiani e combattenti per la libertà), per le loro scoperte fondamentali sulla regolazione genica ottenute lavorando sul batterio intestinale Escherichia coli.
A sessant’anni Monod mise in gioco tutta la sua cultura filosofica e la sua militanza politica in un capolavoro di meno di duecento pagine. L’obiettivo era presentare una nuova «filosofia naturale», cioè le conseguenze filosofiche delle ultime scoperte della biologia molecolare e della genetica, divenute pienamente scientifiche giacché si basavano sull’evidenza di meccanismi oggettivi che escludono sistematicamente qualsiasi «progetto» o «fine» intrinseco nella natura.
Non c’è teleologia nella natura e nella biologia, ma solo teleonomia, distingue Monod. La teleonomia degli esseri viventi è il loro modo di assicurarsi la conservazione, trasmettendo da una generazione all’altra l’invarianza caratteristica della loro specie. Tra conservazione e mutazione si instaura però un rapporto dialettico, perché il DNA è la formidabile invenzione dell’evoluzione grazie alla quale l’informazione genetica permane stabilmente e si trasmette di generazione in generazione, ma al contempo accumula mutazioni che sono il carburante di qualsiasi cambiamento evolutivo. Nel genoma troviamo quindi insieme stabilità e trasformazione, fedeltà di trasmissione ma sempre un po’ imperfetta, invarianza e variazione, permanenza e mutamento. La mutazione stessa è un Giano bifronte: causa di malattie genetiche, ereditarie o acquisite; e insieme, sorgente di variazione su cui agisce la selezione naturale e dunque materia prima dell’evoluzione.
Nel 1967, in occasione del suo ingresso al Collège de France come professore di Biologia molecolare, Monod aveva pronunciato una memorabile prolusione sulla sua «etica della conoscenza», che sarebbe poi diventata l’ossatura del libro messa alla prova in alcune conferenze californiane del 1969. Il titolo è una citazione di Democrito: «Tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità». Per Monod l’organismo è una macchina chimica a base di proteine, che si costruisce da sé, quindi non vi è più spazio per vitalismi e animismi di alcun tipo. La filosofia e la cultura devono trarne le dovute conseguenze. Gli organismi non si limitano a conservare se stessi e ad autoregolarsi, ma evolvono, perché il caso perturba la loro invarianza, piccoli eventi fortuiti alterano le combinazioni e le interazioni molecolari. Il caso quindi è la fonte di qualsiasi novità biologica, di qualsiasi mutazione del DNA e di qualsiasi creazione nella biosfera: «Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, è alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione».
Le alterazioni casuali (come il mutante di E. coli che riesce a metabolizzare il lattosio attraverso la produzione di un enzima, spunto iniziale dal quale erano partite le ricerche al Pasteur all’inizio del secondo dopoguerra) vengono conservate, riprodotte e moltiplicate dall’organismo secondo la necessità della teleonomia e dell’invarianza riproduttiva. Qui irrompe l’ambito della necessità, cioè la selezione naturale darwiniana che vaglia e filtra le mutazioni genetiche casuali agendo sulla sopravvivenza e la riproduzione degli organismi, cioè dei fenotipi interi, macroscopici, che interagiscono con il mondo, si adattano all’ambiente e lo trasformano. L’avvenimento singolare e imprevedibile della mutazione viene inscritto nella logica della determinazione selettiva. La selezione, da sola e cieca a ogni progetto, «ha potuto trarre da una fonte di rumore tutte le musiche della biosfera». Così emerge ed evolve l’ordine morfogenetico della vita dal disordine termodinamico: «Caso trasformato in ordine, regola, necessità». Ed è questo «il senso più profondo, per noi, del messaggio che ci giunge dall’abisso dei tempi».
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Il dualismo caso-necessità permette a Monod di divulgare in modo sintetico trent’anni di ricerche da Nobel. Tutto era partito da una semplice domanda: come fa il DNA (di cui ancora alla fine della Seconda guerra mondiale non si conosceva la struttura a doppia elica) a indirizzare la produzione di certe proteine e non altre? Come si possono sviluppare, partendo dallo stesso corredo genetico, cellule diverse? Il tema generale insomma è il collegamento tra il DNA e l’organismo, tra il genotipo e il fenotipo che si sviluppa e si adatta alle circostanze interagendo con altri organismi e con il mondo fisico. Monod, Lwoff e Jacob capiscono per primi che i geni hanno una regolazione della loro espressione, cioè interruttori biochimici che li accendono e li spengono a tempo debito e in modo coordinato, e che in tal modo si realizzano i processi fondamentali della vita, cioè la sintesi delle proteine, il differenziamento cellulare e lo sviluppo dell’organismo.
In pratica, i tre francesi gettano le basi per la comprensione degli esseri viventi come strutture molecolari rette da circuiti di regolazioni positive e negative, dando una cornice empirica essenziale a generazioni di biologi molecolari dopo di loro. Questi processi e queste strutture della vita sono universali, cioè valgono per qualsiasi essere vivente sulla Terra. Poi verranno altri contributi fondamentali come l’RNA messaggero e la regolazione allosterica, cioè l’attivazione o disattivazione di un enzima o una proteina per mezzo di una molecola, detta effettore, che svolge tale funzione legandosi presso un sito della proteina, modificandone la struttura tridimensionale e così facendo alterandone le funzioni. Tutta questa scienza da manuale traspare dalle righe di Il caso e la necessità
, soprattutto nei capitoli dal 3 al 6.
Scienza che diventa (o torna a essere) filosofia naturale. Una filosofia naturale radicalmente anti-antropocentrica. Per Monod, se questo è il funzionamento della vita e dell’evoluzione, la presenza umana nell’universo diventa del tutto marginale, frutto di una lotteria fortunata, senza alcun piano preordinato. Ogni metafisica antiscientifica e ogni sistema di credenze che si basi sull’idea di un’evoluzione finalizzata alla comparsa dell’umanità vanno rigettati senza remore, tanto più che diventano sempre giustificazione di dogmi etico-religiosi conservatori e oppressivi. Se i valori si basano sul finalismo, allora in tal caso «la scienza attenta ai valori». Il potenziale umano si alimenta, invece, con la libertà inviolabile di autodeterminarsi e con la conoscenza, scientifica e non solo, senza la quale non vi può essere fondamento per l’etica. In Monod, un’etica della solitudine umana, un’etica senza numi tutelari né trascendenze risolutive, un’etica di radicale autonomia. Siamo cosmicamente irrilevanti, ma sappiamo di esserlo e possiamo farne tesoro. Siamo invischiati nei nostri limiti biologici, ma aspiriamo alla libertà.
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Monod non apparteneva ad alcuna Chiesa, ultramondana o secolare che fosse. Nell’ultimo capitolo scrive: «L’antica alleanza è infranta; l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. A lui la scelta tra il Regno e le tenebre», dove per «Regno» intendeva il riscatto della ragione, della laicità e di ideali socialisti e umanisti scevri da qualsiasi profetismo storicistico. La condizione umana, infatti, è lacerata nel suo illusorio dualismo tra la natura materiale di un mammifero bizzarro quale noi siamo e gli slanci ideali straordinari di cui questo animale è capace nella scienza, nell’arte, nella poesia e nella politica.
A quasi mezzo secolo di distanza da questo libro, il bilancio è disarmante. I fondamentalismi imperversano trasversali e diffusi, l’antiscientismo prolifera sul tecnologico web, la politica ignora bellamente le conoscenze scientifiche, e il potente di turno teorizza che non contano i fatti ma il percepito. Al primo sintomo, tutti indistintamente corriamo in ospedale e godiamo delle applicazioni mediche delle ricerche di Monod, ma le nostre menti rifiutano ostinatamente la sua filosofia naturale. Come lui aveva lucidamente previsto, altre sante alleanze integraliste tentano i nostri cervelli intrisi di animismo. Continua insomma «l’eroico sforzo dell’umanità che nega disperatamente la propria contingenza».
Il caso e la necessità è uno dei saggi più coerentemente laici e antitotalitari del secolo scorso. L’epigrafe di apertura è il paragrafo conclusivo del Mito di Sisifo dell’amico carissimo Albert Camus, scomparso dieci anni prima. Entrambi nella Resistenza durante il conflitto, si erano incontrati nel 1948 quando Camus aveva chiesto a Monod una stroncatura analitica del lamarckismo in salsa staliniana di Trofim Lysenko, il sicario della genetica russa. Non è soltanto una dedica, quella di Monod a Camus, ma il riconoscimento di un’affinità profonda che impregna tutto il libro, l’affinità tra due Nobel ribelli, due nemici di ogni oppressione e ingiustizia, due uomini liberi. Secondo Monod, era stato Camus a comprendere a fondo il significato più alto delle nostre vite, che possono essere felici anche facendo i conti con l’evidenza della loro finitezza, del fatto che abbiamo una sola vita a disposizione. La splendida chiusa di Camus diventa l’inizio di Monod, fusione di esistenzialismo e illuminismo scientifico: «La lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice».
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