#IoRestoaCasa e leggo un classico: Il giovane Marx critico di Hegel presentato da Paolo Flores d’Arcais
Paolo Flores d'Arcais
La serrata critica che in diversi scritti giovanili Marx muove a Hegel – mostrando che la sua filosofia è in realtà teologia – può rappresentare un punto di partenza per una filosofia rigorosamente materialistica e per la teoria di un’auspicabile sinistra dell’emancipazione umana radicale. Ma anche per sottoporre ad analoghe critiche il Marx maturo, che cade in molte delle trappole filosofiche che egli stesso aveva smascherato nel maestro.
I testi qui presi in esame sono: 1) la Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, stesa con quasi certezza tra gli anni 1841 e 1843; 2) la «Critica della dialettica e della filosofia hegeliana in generale», contenuta nei Manoscritti economico-filosofici composti dal marzo al settembre 1844 a Parigi; 3) «Per la critica della filosofia del diritto di Hegel. Introduzione», pubblicato negli Annali franco-tedeschi usciti a Parigi nel febbraio 1844, rivista diretta da Marx stesso insieme a Arnold Ruge e di cui non usciranno altri numeri 1.
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Nato a Treviri il 5 maggio 1818, nel 1841 Marx ha ventitré anni, ventisei nel 1844, ma è già una figura rilevante della «sinistra hegeliana» che, sulla scia di Feuerbach, ha ormai rotto con le dottrine di Hegel (morto nel 1831). Dal 5 maggio 1842 al 17 marzo 1843 Marx ha scritto assiduamente sulla Gazzetta renana, rinunciando infine per problemi di censura. Il distacco da Hegel, che ormai è vera e propria contrapposizione, matura insieme al progressivo convincimento che il comunismo, cioè l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, è la forma storicamente concreta che dovrà assumere l’emancipazione umana.
La critica che Marx rivolge a Hegel riguarda tanto il metodo (la dialettica) quanto i contenuti e gli svolgimenti «enciclopedici» (filosofia della natura, del diritto, della politica, della storia…), e anzi la connessione indisgiungibile tra i due aspetti. Proprio in questo consisterà lo «spiegarsi criticamente con la propria madre, la dialettica hegeliana» (2, 259), che Marx rimprovera ai «giovani hegeliani» Strauss e Bruno Bauer di non riuscire a realizzare.
Nella sua critica Marx intende invece andare direttamente al cuore del sistema dialettico (metodo e svolgimento, che fanno tutt’uno, ripetiamolo), mostrando che la filosofia di Hegel è in realtà teologia, religione spacciata per filosofia, e che nella monumentale trattazione idealistica di tutta la realtà – perché in effetti Hegel affronta e ri-espone tutto il sapere del suo tempo, dalle scienze naturali alle vicende della storia universale, dalle religioni all’arte alla storia della filosofia – tutto viene misticamente rovesciato e presentato per l’opposto di quello che è. La natura viene scambiata di posto con l’idea, la carne con lo spirito, l’essere con il pensiero, il reale con il razionale, il soggetto con il predicato, la critica filosofica con la speculazione (il)logica.
Marx intende partire dalla realtà, materialisticamente. Nella realtà le cose stanno così: «L’uomo è immediatamente ente naturale», una parte della natura, uno tra gli oggetti della natura. «Crea, pone soltanto oggetti, perché è posto da oggetti, perché è intrinsecamente natura. […] L’uomo reale, corporeo, che sta sulla ferma solida terra, espirando e aspirando tutte le forze naturali, pone nel suo alienarsi, le sue reali, oggettive forze sostanziali come oggetti estranei» (2, 267). Ad esempio il suo lavoro, alienandosi, diventa ricchezza (altrui), la sua immaginazione pone Dio fuori di sé come reale. In questo modo avviene che «l’ente umano si oggettivi disumanamente in opposizione a se stesso» (2, 262). «La religione, la ricchezza [la proprietà privata] etc., sono soltanto la realtà alienata dell’oggettivazione umana, delle forze essenziali umane» (2, 263). Alienata, perché l’uomo, che produce ricchezza e religione, viene dominato da questi suoi prodotti come potenze estranee, Capitale o Dio, cui deve soggiacere.
Di fronte a questo andamento della realtà «tale qual è» (la formula si ripresenta di continuo in questi testi), Marx svela la traduzione teologica hegeliana: il movimento reale con cui l’uomo estrinseca le proprie forze viene raccontato come l’alienarsi dello Spirito infinito nelle sue manifestazioni finite. Non già, come effettivamente è, l’uomo che si aliena nella religione o nella ricchezza (per altri), ma lo Spirito (prodotto dall’uomo!) che si aliena nella finitezza dell’uomo. Hegel trasforma «l’umanità della natura e della natura prodotta dalla storia, dei prodotti umani» in «prodotti dello spirito astratto, […] momenti spirituali, enti del pensiero» (2, 263). «L’intera stessa Enciclopedia non è che l’essenza dispiegata dello spirito filosofico, la sua auto-oggettivazione» (2, 261).
Marx riconosce a Feuerbach di aver compiuto il primo decisivo passo, «l’aver fondato il vero materialismo e la scienza reale, […] l’aver provato che la [vecchia] filosofia non è altro che la religione trasposta in pensieri, […] un’altra forma e un altro modo dell’alienazione dell’essere umano, da condannare parimente» (2, 259). Hegel parte da Dio, insomma, benché un Dio filosofico. E tutta la realtà non è altro che l’alienarsi di questo Dio filosofico, le sue res gestae nella molteplicità empirica della finitezza spaziale e temporale, naturale e storica. Non è più la natura a essere, e l’uomo in essa, e la storia come prodotto umano, bensì natura e storia sono solo l’epopea dell’alienazione di Dio, il manifestarsi di Dio.
Questa divina alienazione, cui vengono ridotti hegelianamente il mondo e l’uomo, avrà fine quando lo Spirito alienato troverà nella filosofia, e anzi al culmine della storia di essa, la piena autocoscienza del suo intero percorso, e se ne riapproprierà dunque come Spirito assoluto. Fuor di perifrasi: Dio si riconosce come Dio nella sua assolutezza e interezza delle proprie manifestazioni attraverso la filosofia di Hegel. Hegel è il sapere di Dio.
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Tutti i qui pro quo mistici della filosofia hegeliana vengono analizzati da Marx in modo particolarmente dettagliato commentando i paragrafi 261-313 dei Lineamenti di filosofia del diritto. Vediamolo in particolare in due luoghi topici, nel rapporto tra famiglia, società civile e Stato e nell’analisi della figura del sovrano.
Sulla prima questione Marx riporta il paragrafo 262 dei Lineamenti di Hegel: «L’idea reale, lo spirito, che scinde se stesso nelle due sfere ideali del suo concetto, la famiglia e la società civile, come sua finità, per essere, muovendo dalla loro idealità, spirito reale per sé infinito, assegna perciò a queste sfere la materia di questa sua finita realtà, gli individui in quanto moltitudine, cosicché nel singolo questa assegnazione appare mediata dalle circostanze, dall’arbitrio e dalla propria scelta della sua determinazione». E commenta: «Traducendo questa frase in prosa ecco quel che ne segue: […] famiglia e società civile appaiono come l’oscuro fondo naturale da cui si accende la luce dello Stato. […] Lo Stato ne scaturisce in una guisa inconsapevole e arbitraria» (1, 17). In altri termini, «famiglia e società civile sono i presupposti dello Stato, sono essi propriamente gli attivi. Ma nella speculazione diventa il contrario: mentre l’idea è trasformata in soggetto, quivi i soggetti reali, la società civile, la famiglia, “le circostanze, l’arbitrio” etc., diventano dei m
omenti obiettivi dell’idea, irreali, allegorici» (1, 18).
La realtà non è più la realtà ma la manifestazione dell’idea, ed essa idea non può più essere ciò che è in realtà (ogni idea è un’idea umana, un prodotto del cervello di un uomo) ma diventa una Entità a sé stante: «La cosiddetta “idea reale” (lo spirito come spirito infinito, reale,) è rappresentata come se agisse secondo un principio determinato e per un’intenzione determinata» (1, 17), diventa cioè una Persona dotata di volontà, una ipostasi (personificazione di un’idea). Ecco il «misticismo logico, panteistico» (1, 18) che percorre ogni pagina hegeliana. Questa Persona è qui lo Stato. Più avanti è il Sovrano. Saranno sempre e comunque incarnazioni momentanee, transeunti, dialettiche dell’Idea, cioè di Dio.
Nella versione mistica di Hegel «il potere del sovrano contiene esso stesso in sé i tre elementi della totalità: […] l’universalità della costituzione e delle leggi, la deliberazione come rapporto del particolare con l’universale, e il momento della decisione ultima come autodeterminazione» (1, 30). Marx pone talvolta su due colonne affiancate il testo di Hegel a sinistra e la sua disarticolazione critica a destra, proprio per rendere adamantina la collisione tra descrizione secondo realtà e inversione secondo teologia. Ad esempio in Hegel (§ 279) «la sovranità […] esiste soltanto come soggettività certa di se stessa e come autodeterminazione astratta, perché senza fondamento, della volontà, nella quale […] si trova l’estremo della decisione. […] Ma la soggettività è nella sua verità soltanto come soggetto, la personalità come persona. […] Perciò questo momento assolutamente decisivo della totalità non è l’individualità in generale, ma un individuo, il monarca» (1, 33-4). Ma personalità e individualità sono astrazioni, la cui base reale sono i singoli e molti individui, le singole e molte persone.
Spiega perciò Marx: «Se Hegel avesse preso, come punto di partenza, i soggetti reali come basi dello Stato, non avrebbe trovato necessario di soggettivare in guisa mistica lo Stato. […] La soggettività è una determinazione del soggetto, la personalità una determinazione della persona. Invece di concepirle soltanto come predicati dei loro soggetti, Hegel fa indipendenti i predicati e li lascia poi tramutarsi, in guisa mistica, nei loro soggetti» (1, 34). In questo modo, partendo dalla sovranità «deduce» la necessità di un monarca. Mentre democraticamente si potrebbe dire che «il cittadino in quanto determina l’universale è il legislatore; in quanto decide nel particolare e realmente vuole è il sovrano» (1, 36).
L’infinita maestà dello Stato, incarnazione dello Spirito (cioè di Dio) nella vicenda politica, deve trovare a sua volta una incarnazione empirica, che sarà di acritico e crasso materialismo: «Il corpo del monarca determinerebbe la sua dignità, […] la nascita stabilirebbe la qualità del monarca, come la nascita stabilisce la qualità di bestiame». Ma «la nascita dell’uomo quale monarca è passibile di erigersi in verità filosofica tanto poco quanto l’immacolata concezione di Maria madre» (1, 45). «Sua Maestà il caso» diventa così «la reale unità dello Stato» (1, 47).
Lo stesso meccanismo della dialettica hegeliana, per cui un soggetto reale (empirico e plurale) viene vanificato a vantaggio della sua astrazione, ma questa astrazione può poi incarnarsi in qualsiasi arbitrario dato empirico, che verrà perciò spacciato come Razionale (in una lettera dell’ottobre 1806, periodo «rivoluzionario» della sua vita, Hegel scriverà di aver visto in Napoleone che attraversa Jena «lo spirito del mondo seduto a cavallo che lo domina e lo sormonta»), viene svelato e illuminato da Marx per quanto riguarda il potere governativo, la burocrazia, il potere legislativo, le corporazioni, le classi, il patriottismo, la rappresentanza, e insomma tutto l’insieme delle istituzioni e dei rapporti sociali.
Il doppio movimento per cui la concretezza dell’empiria si perde nell’astrazione, e l’astrazione personificata (ipostasi) deve però poi presentarsi attraverso un contenuto concreto arbitrario, può spingersi fino a quell’astrazione totalmente vuota, quell’ipostasi delle ipostasi, che è l’Essere. Le manifestazioni di detto Essere, spacciate per necessarie, costituiranno il mero arbitrio di quel singolo pensatore.
Marx ha in sostanza dimostrato come l’hegelismo sia la forma filosofica dispiegata dell’animismo, questa vocazione biologica, ma non destino, di Homo sapiens, che da esso può emanciparsi proprio con la critica e la scienza 2. Animismo che, nelle più diverse fogge e travestimenti, continua a essere la verità di troppa filosofia contemporanea.
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L’attualità di questa definitiva critica marxiana al meccanismo teologico e mistico dell’ipostatizzazione, risulta di abbacinante evidenza se solo si pensi alla sarabanda di ipostatizzazioni che percorre la filosofia del Novecento, a partire da quell’hegelismo estremo che è la filosofia heideggeriana, in cui le diverse epoche storiche, periodizzate secondo arbitrio del filosofo, divengono «invii dell’Essere», incarnazioni di Dio, fino al profeta imbianchino e Führer, ahimè per Heidegger sconfitto, del Reich millenario. Ipostasi e teologie che hanno colonizzato il pensiero europeo di «sinistra» e che la fanno ancora da padrone, massime nella filosofia italiana.
Per Marx, tuttavia, il «compito della filosofia» è di essere «operante al servizio della prassi» (3, 395): «La critica non si pone più come fine a sé, ma solo come mezzo. Il suo stato d’animo fondamentale è l’indignazione, il suo compito essenziale la denuncia» (3, 397). Proprio sotto questo profilo la sua critica delle transustanziazioni mistiche diventa attuale, e anzi irrinunciabile, quale critica del piombo hegeliano che permane nel Marx maturo e offre varco e appoggio alla metamorfosi dell’emancipazione comunista in schiavitù comunista. Vediamo.
Il comunismo è l’emancipazione dell’umanità attraverso l’emancipazione della classe che costituisce la summa delle offese all’umanità, il proletariato («nessuna ingiustizia particolare, ma la piena ingiustizia è stata perpetrata contro di essa; […] rappresenta la totale perdita dell’uomo e può dunque ritrovare se stessa col totale riscatto dell’uomo», 3, 410-11).
Ma il proletariato «reale, corporeo, che sta sulla ferma solida terra», che lavora sfruttato, è costituito dall’insieme dei singoli proletari, operai e contadini. Eppure questo soggetto reale, che deve potersi emancipare, viene da Marx presentato in due occasioni cruciali come astrazione e ipostasi rispetto ai proletari «dai campi e dalle officine». Nel Capitale i proletari costituiscono infatti il «lavoro salariato», cioè «il c
apitale variabile», categorie del meccanismo di accumulazione e riproduzione capitalistico destinate (predisposte! hegelianamente) a provocare il crollo del sistema, poiché detto capitale variabile, che è l’unica parte di capitale a produrre plusvalore, non potrà che diminuire asintoticamente in percentuale, provocando la caduta tendenziale del saggio di profitto che renderà il sistema capitalistico impossibile da perpetuarsi, propiziandone il collasso attraverso le convulsioni di successive crisi «più generali e più violente» 3.
Il proletariato è poi, sotto il profilo della storia universale, l’ultima classe a incarnare la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti sociali di produzione, contraddizione che costituisce il motore dello svolgimento storico da epoca a epoca secondo la filosofia marxiana. L’andamento della storia possiede perciò anche in Marx la sua intellegibilità e necessità (dialettica!), che a differenza di Hegel non riguarda solo il passato ma si proietta nel futuro. Lo Spirito di Hegel assume il nome materialistico di lotta di classe, ma è pur sempre il Deus ex machina di una storia che deve avere la sua logica, che non viene accettata per quello che è, coacervo e risultante sempre contingente di forze, motivazioni, interessi, spinte, passioni, invenzioni (e ovviamente anche lotte sociali) imprevedibili.
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Di modo che per Marx la definitiva emancipazione umana, il comunismo, è «il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente» 4, ma i proletari reali, i «proletari di tutto il mondo unitevi!», sono tali solo se all’altezza del compito storico assegnato loro dalla filosofia marxista: abolire la proprietà privata dei mezzi di produzione. Sono divenuti l’ipostasi dei proletari in carne e ossa. E se volessero altrimenti? Il proletariato per essere tale deve insomma essere marxista: «Come la filosofia trova nel proletariato le sue armi materiali, così il proletariato trova nella filosofia le sue armi spirituali» (3, 411), perché «il cervello di questa emancipazione è la filosofia, il suo cuore il proletariato. La filosofia non può realizzarsi senza la soppressione del proletariato, il proletariato non può sopprimersi senza la realizzazione della filosofia» (3, 412). Dove la filosofia, esattamente come in Hegel, è una filosofia: la propria.
Lenin trae da questa filosofia conseguenze estreme, ma legittime. La classe è tale solo se dotata di coscienza di classe, il partito costituirà perciò l’avanguardia della classe, perché nel partito e attraverso il partito, marxianamente, «la teoria diventa potenza materiale non appena si impadronisce delle masse» (3, 404). Questa inversione mistica/teologica tra proletari in carne e ossa e ipostatizzata «coscienza del proletariato» si manifesta come tragedia (inevitabile) quando i proletari reali di Kronštadt, marinai e operai, che hanno il loro reale potere nel soviet, insorgono contro il potere del partito (che pure in Russia è andato al potere con il programma «tutto il potere ai soviet!), e vengono massacrati dal proletariato/filosofia inviato da Lenin e Trockij nella forma di Armata rossa. Il totalitarismo di Stalin e Mao conseguirà logicamente. La dura empiria dimostra (sistematicamente!) che l’abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione non contiene dialetticamente in sé il positivo dell’emancipazione ma può concludere in una nuova forma di oppressione e sfruttamento, perfino peggiore di quella soppressa.
1. Nelle citazioni che seguono indicheremo i testi con i numeri 1, 2 e 3 seguiti dal numero di pagina. (1) e (2) vengono qui citati nell’edizione curata da G. della Volpe, K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma 1963. (3) viene citato nell’edizione curata da L. Firpo, K. Marx, Scritti politici giovanili, Einaudi editore, Torino 1950.
2. Si veda il bellissimo Nati per credere di V. Girotto, T. Pievani, G. Vallortigara, Codice edizioni, Torino 2008.
3. Così in K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito comunista, Einaudi, Torino 1962, p. 108.
4. K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma 1958, p. 32.
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