#IoRestoaCasa e leggo un classico: ‘La distinzione’ di Pierre Bourdieu presentato da Pierfranco Pellizzetti
Pierfranco Pellizzetti
L’argomento
Prima ancora che il titolo del saggio, è il sottotitolo a dichiarare esplicitamente l’obiettivo di questa ricerca del 1979: Critica sociale del gusto.
In una fase storica in cui il pensiero corrente persegue la neutralizzazione delle insorgenze sociali del decennio precedente, viene avanzata la tesi scandalosa che l’omologazione delle classi attraverso l’accesso ai consumi sia solo finzione. Le differenze esistono, eccome! Solo che il sistema delle disuguaglianze si determina ben prima delle collocazioni nei rapporti di produzione, nella differente attribuzione di capitale al momento della nascita (la cosiddetta «lotteria delle nascite»). E non si tratta solamente di capitale economico, ma anche di capitale culturale (linguaggi e strumenti orientativi, «dividendo il pubblico in due caste antagoniste, quelli che capiscono e quelli che non capiscono») e di capitale relazionale, inteso come la rete di rapporti interpersonali che diventano preziose «risorse per l’azione».
Al di là dell’omologazione ecumenica finalizzata alla sterilizzazione del conflitto, l’occhio allenato del sociologo refrattario alle imposizioni dall’establishment, il pensiero pensabile, individua i segni e i segnali delle nuove (eterne) divisioni. Praticando il compito di «mostrare come l’evidente sia sempre costruito, a partire da poste in palio e rapporti di forza» 1. Segni e segnali che rivelano le sottili e pur quasi invalicabili perimetrazioni che si instaurano all’interno del corpo sociale. Sicché «il modo con cui vengono tracciati i confini tra le varie classi è influenzato dal progetto strategico di “contare” o di “contarsi” o di “annettersi”, quando addirittura non costituisce una semplice registrazione di un determinato stadio giuridicamente garantito del rapporto di forza tra i gruppi classificati. I confini rappresentano in questo caso delle frontiere da attaccare o da difendere a viva forza, e i sistemi di classificazione che li fissano costituiscono strumenti di conoscenza assai meno di quanto siano strumenti di potere, subordinati a precise funzioni sociali e indirizzati, in modo più o meno scoperto a soddisfare gli interessi di un determinato gruppo» 2. Una strutturazione che farebbe ritornare alla mente il modello dei «tre ordini» bloccati, propri dell’ancien régime.
Sicché una determinata classe è definita dal modo in cui viene percepita, non meno che dal suo stesso modo di essere. Un intreccio di apparenze che diventano sostanza nel rapporto conflittuale tra dominanti e dominati, in cui la posta in gioco «è costituita dal potere sugli schemi di classificazione e sui sistemi classificatori che stanno alla base delle rappresentazioni». Nella visione ipercritica (e – si potrebbe dire – neoantagonista postmarxista) di Pierre Bourdieu del situazionismo consumista in auge in quegli anni di vague postmoderna. Una partita in cui «il gusto – in quanto padronanza pratica del modo in cui si distribuiscono le varie proprietà, che consenta su sentire o presentire ciò che probabilmente si verificherà o non si verificherà, e, in modo inscindibile, di sentire o no affinità con un individuo che occupa una determinata posizione nello spazio sociale – funziona come una specie di senso dell’orientamento sociale (sense of one’s place), per cui indirizza coloro che occupano un determinato posto nello spazio sociale verso le posizioni sociali adatte alle loro proprietà» 3.
In altre parole, lo spazio sociale come determinante delle rappresentazioni che segnalano il posizionamento dei vari agenti.
Sicché la sonda sociologica agisce come dispositivo di smascheramento.
Difatti il saggio più famoso del bastian contrario, seppure cattedratico al Collège de France, disegna nella società di quegli anni, apparentemente inclusiva e welfariana, magari socialdemocratica, «campi» in cui le divisioni continuano a produrre segmentazioni attraverso le barriere apparentemente invisibili dei gusti e dei disgusti; soprattutto delle opzioni estetiche come espressione distintiva di una posizione privilegiata nello spazio sociale. L’affermazione pratica di «una differenza necessaria»; di cui il concetto di «habitus» costituisce la discriminante. Ossia il processo attraverso il quale gli individui interiorizzano le strutture del mondo sociale e le trasformano in schemi di classificazione che guidano i loro comportamenti e le loro scelte, determinando le preferenze: «Le prese di posizione oggettivamente e soggettivamente estetiche, ad esempio la cosmesi del corpo. L’abbigliamento o l’arredamento della casa, costituiscono altrettante occasioni di provare o affermare la posizione che si occupa nello spazio sociale come rango da conservare o distanza da mantenere» 4.
Dunque, facendo emergere diseguaglianze che il pensiero mainstream dell’epoca non sapeva o non voleva evidenziare; anche se ben presto verranno alla luce nei nuovi corsi politici controrivoluzionari, che già si profilavano all’orizzonte. Che stavano passando dall’incubazione a quella che sarebbe diventata una fase esplosiva. Il mastodontico trasferimento di risorse dalla fascia mediana della società fino ai vertici del privilegio che coincide con l’ultimo quarantennio, attraverso quella finanziarizzazione del mondo che «accresce le disuguaglianze di ricchezza in misura mai vista dal Medioevo: al presente 35 milioni di persone, lo 0,7 per cento della popolazione, possiedono il 44 per cento, pari a 116 trilioni di dollari. […] In forza di tali caratteristiche, il sistema finanziario così com’è esercita un dominio schiacciante sull’economia e sulla politica» 5. Una terribile minaccia incombente sulla civiltà democratica, di cui Bourdieu individuava le sintomatologie con largo anticipo, in quella che potremmo definire la «discriminazione estetica», il classismo delle forme come perimetrazione sostanziale al servizio dell’esclusione.
Intanto il distanziamento tra ceti dominanti e dominati dal simbolico è diventato fisico, la separatezza che nelle metropoli globali cresce tra «i quartieri vetrina», dove si concentrano la ricchezza e la frequentazione delle plutocrazie, e le enclave periferiche del degrado, che intercettano i fenomeni di marginalizzazione dei ceti medi, ormai in scivolamento verso la povertà. Visto che – come è stato detto – ormai «i poveri sono del tutto inutili».
L’autore
Pierre Bourdieu (1930-2002), sociologo indignato che ha suscitato a sua volta indignazione in numerosi ambienti compreso quello proprio, accademico; sempre circondato da una corte adorante di allievi secondo il modello molto parigino della setta intellettuale chiusa («i lacaniani», «i furetiani» o – appunto – «i bourdivins»).
Volendo azzardare al suo riguardo una teoria spicciola della mentalità, si potrebbe congetturare che il pensiero «lineare» (va sempre così!) induce al mainstream, mentre quello «laterale» (perché no?) orienta al contro. Una particolare disposizione al «contro» potrebbe essere riscontrata in chi sta a cavallo di più mondi, nella condizione biografica e intellettuale «del meticcio». Una sensibilità ai segni delle differenze. Come – ad esempio – il n
on particolarmente amato da Bourdieu Karl Marx («la teoria marxiana cade in un errore simile a quello che Kant denunciava nell’argomento ontologico o che lo stesso Marx rimproverava a Hegel: compiere un “salto mortale” dall’esistenza in teoria all’esistenza in pratica, o, per dirla con Marx, “dalle cose della logica alla logica delle cose”» 6), di estrazione sociale borghese ma rapidamente scivolato in una condizione proletaria.
Il percorso inverso, pur sempre gravido di marcature psicologiche, compiuto dallo stesso Bourdieu: figlio di un impiegato in fuga dalla regione impoverita del Béarn pirenaico e trapiantato in Algeria, anche una volta asceso al rango accademico il suo habitus come «storia incorporata» mantiene un atteggiamento di sospetto nei confronti della materia di studio; che potrebbe suggerire un risentimento retrostante: l’homo accademicus, i sondaggi d’opinione, l’alta moda, le pratiche sportive, la sociologia del patronato e dell’episcopato. Una demistificazione che investe perfino il mestiere di scienziato, laddove l’oggettività risulta un prodotto sociale («il discorso scientifico è sottomesso alla legge generale della produzione del discorso, produzione che è sempre orientata dall’anticipazione dei profitti, positivi o negativi, di un certo mercato» 7).
Irritante? Probabilmente sì. Ed è lo stesso Bourdieu a dichiarare che «il sociologo è insopportabile» 8. Ma – nel suo caso – gli aspetti urticanti del pensiero risentito svolgono una funzione liberatoria, in cui l’indignazione diventa ribellione.
Come si evince dal suo testamento, apparso postumo, dal titolo inequivocabile di Proposta politica – andare a sinistra oggi: «L’ultima rivoluzione politica, la rivoluzione contro il clero politico e contro l’usurpazione potenzialmente iscritta nella delega, resta ancora tutta da fare» 9.
Per il rafforzamento dello sguardo critico di una sinistra illuminista, un contributo indispensabile.
Attualità del testo
Mentre ormai è sotto gli occhi del pensiero sociologico corrente quel passaggio dalla condizione di «sfruttamento» a quella di «esclusione» come dinamica prevalente della deindustrializzazione occidentale, che Bourdieu e i suoi allievi prefiguravano pionieristicamente oltre trent’anni fa, risulta carica di stimoli attualissimi l’operazione finalizzata a disegnare i campi sociali in dettaglio, promossa da La distinzione. Infatti – grazie alla realizzazione di oltre 1.200 interviste – Bourdieu ottiene una rappresentazione grafica di come i gusti di classe si trasformino in stili di vita; per cui l’alto capitale culturale apprezzerà il Concerto per la mano sinistra, mentre quello basso privilegerà la cantante Dalida, al cinema i professori preferiranno film d’autore (Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti o L’angelo sterminatore di Luis Buñuel), mentre industriali e grossi commercianti opteranno per prodotti tipicamente hollywoodiani (tipo Il giorno più lungo o 55 giorni a Pechino)
Tanto che – a questo punto – è lo stesso promotore della ricerca a chiedersi: «Il modello presentato vale al di là del caso particolare della Francia?» 10.
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Indubbiamente i criteri di giudizio nell’Esagono sono marcati nel profondo dai criteri di un lusso cerimoniale: dai gusti/disgusti resi criterio dominante già nella società di corte nell’ancien régime, poi diventati certificatori di status nel trionfo della borghesia orleanista, fino a trasformarsi in industria della moda e del lusso nell’haute couture parigina. Eppure si potrebbe tranquillizzare al proposito Bourdieu, informandolo che nella ricastalizzazione in atto del tardo capitalismo l’estetica applicata alla moda e l’egemonia culturale ridotta all’apprezzabilità sociale delle maniere confermerebbero la crescente pervasività dei criteri utilizzati nella sua ricostruzione dei campi attraverso le opzioni di consumo.
1 P. Bourdieu, R. Chartier, Il sociologo e lo storico, Dedalo, Milano 2011, p. 44.
2 P. Bourdieu, La distinzione, il Mulino, Bologna 1983, p. 470.
3 Ivi, p. 450.
4 Ivi, p. 57.
5 L. Gallino, Il denaro, il debito e la doppia crisi, Einaudi, Torino 2015, p. 72.
6 P. Bourdieu, Ragioni pratiche, il Mulino, Bologna 1995, p. 24.
7 Id., Il mestiere dello scienziato, Feltrinelli, Milano 2001, p. 9.
8 P. Bourdieu, R. Chartier, op. cit., p. 34.
9 P. Bourdieu, Proposta politica, Castelvecchi, Roma 2005, p. 93.
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