#IoRestoaCasa e leggo un classico: ‘Paradiso perduto’ di John Milton presentato da Giulio Giorello

Giulio Giorello

Poeta, saggista, diplomatico, teologo… la figura di John Milton è una tra le più ricche e interessanti del Seicento inglese. Nel capolavoro che qui presentiamo racconta della caduta di Adamo ed Eva dal Giardino dell’Eden, di quella disubbidienza originale che ha una straordinaria conseguenza: la scoperta della libertà. Una scoperta che, di fatto, rappresenta l’atto di nascita dell’essere umano. Senza quel ‘peccato’ infatti non saremmo soggetti capaci di compiere scelte libere ma meri automi.



La mente è il proprio luogo, e può in sé fare un cielo dell’inferno, un inferno del cielo. I, vv 253-254

Così, nel Libro I del Paradiso perduto, si esprime Satana («condottiero di luminosi eserciti/ che nessun altro che l’Onnipotente avrebbe potuto sconfiggere», I, vv 272-273). Una «straordinaria considerazione», notava Roberto Sanesi nel presentare il poema di John Milton in una nuova traduzione italiana 1. E ancora: «C’è dunque come uno stallo nella posizione di Satana, e Satana vi si dibatte senza uscita: […] i suoi monologhi a voce alta, il suo gesticolare furioso, le sue crisi di una ragione che si direbbe sempre letterale […] segnano il tipo di infermità che egli porta su di sé e di cui tenta di infettare Eva» 2. Nonché Adamo, servendosi di Eva.

Si congettura che la composizione dell’opera vada collocata tra il 1658 e il 1665, un periodo difficile per il poeta e scrittore politico (nato a Londra nel 1608) non solo per la cecità (a partire dal 1652), ma per le vicende del paese. Nel settembre del 1658 era morto Oliver Cromwell e con la restaurazione del potere monarchico (1660) il «repubblicano» Milton viene arrestato e imprigionato per alcuni mesi. Lasciato presto libero, ma escluso da qualsiasi incarico pubblico, è costretto a riprendere l’insegnamento privato. La «spenta luce» dei suoi occhi l’obbliga a ricorrere a lettori e scrivani. Nel 1667 pubblica la prima edizione, in dieci libri, di Paradise Lost. La seconda edizione, quella definitiva, in dodici libri, esce nel 1674. Ma già nell’Areopagitica (ovvero Discorso per la libertà della stampa, 1644) Milton aveva scritto: «Molti son quelli che biasimano la Provvidenza per aver permesso ad Adamo di peccare. Oh lingue stolte! Quando Dio lo fornì di ragione, Egli lo fece libero di scegliere: altrimenti, Adamo sarebbe stato un mero automa, uno di quegli Adami che vediamo nelle rappresentazioni dei burattini» 3. Milton innesta così sul tronco della ragione classica (si pensi all’Etica nicomachea di Aristotele) il frutto proibito della tradizione ebraico-cristiana: ogni essere umano è individuo 4 perché Dio «lo ha formato libero e libero deve rimanere», come dichiara il Signore stesso al verso 124 del Libro III del Paradiso perduto.

Nel Libro I era stato evocato lo sfogo dello sconfitto Satana, che si risolve a convocare il consiglio plenario dei suoi compagni di rivolta per decidere quale sia la strategia migliore per «riacquistare il cielo». Nel Libro II tale «solenne concilio in Pandemonium, che è il campidoglio di Satana», si divide tra coloro che sono disposti ad azzardare una nuova battaglia e quelli che esitano, come se si fossero arresi alla loro condizione presente. Alla fine si preferisce una terza proposta: indagare sulla verità di una profezia che riguarda «un altro mondo, e un’altra specie di creatura uguale o non di molto inferiore» che in quel tempo avrebbe visto la luce. Satana stesso si incarica della «difficile ricerca», riuscendo a varcare le porte dell’inferno e a penetrare in quel mondo «allora creato da poco». Nel Libro III Dio osserva la missione demoniaca e al Figlio, che siede alla sua destra, predice il successo di Satana nel pervertire la nuova stirpe, quella degli esseri umani, a cominciare dai progenitori, Adamo ed Eva. E chiarisce come la giustizia divina non possa subire imputazione alcuna: chi è già caduto (gli angeli ribelli al seguito di Satana) e chi cadrà (le creature umane)

se non avessero avuto libertà, quale prova sincera

mi avrebbero portato di vera libertà, di costante

fede e amore, dove soltanto avessero mostrato

di eseguire le azioni a cui erano stati costretti,

e mai ciò che da soli avrebbero voluto?

Che lode avrebbero mai meritato? E che piacere, io,

da un simile tributo di obbedienza,

quando la volontà e la ragione (e la ragione

è essa stessa una scelta) si fossero ridotte

a cose infantili e vane, spogliate entrambe della libertà.

(III, vv 103-109)

E ancora dichiara il Padre:

Per quanto l’avessi saputo, la mia preveggenza

non ebbe alcuna influenza sulla loro colpa,

che anche non prevista si sarebbe provata sicura.

Senza il minimo impulso né l’ombra del destino

o altro che da me fosse immutabilmente previsto

così trasgrediscono, liberamente autori in ogni cosa,

giudicando e scegliendo a modo loro.

(III, vv 117-123)

Dunque, come indica la frase tra parentesi del verso 108, reason also is choice. È per questo motivo che, dice ancor

sarà salvato colui che vorrà, e tuttavia non certo

per proprio volere, ma per la grazia che liberamente

gli avrò concesso.

(III, vv 173-175)

Poiché, però, l’essere umano ha offeso la maestà di Dio, «fingendo d’essere pari alla Divinità», sarebbe inevitabile che perisca

a meno che al suo posto

non vi sia qualcun altro, volenteroso e capace, che paghi

morto per morte l’ammenda rigorosa. Ma dove troveremo,

oh Potenze celesti, dite voi, dove si troverà un amore

talmente grande? Chi vorrà fra di voi farsi mortale

per redimere il crimine mortale, e giusto salvare gli ingiusti?

(III, vv 210-215)

È allora che il Figlio di Dio offre «liberamente» se stesso per riscattare le creature umane. Il Padre accetta e ordina la sua incarnazione… Intanto Satana, dopo varie peripezie, riesce a giungere sulla nostra Terra. Nel Libro IV Milton descrive il Giardino dell’Eden, ove vivono Adamo ed Eva; spiandoli, Satana apprende dai loro discorsi che l’unica proibizione per i nostri progenitori, che hanno «libera e ampia licenza» su tutto il resto, è quella di assaggiare il frutto dell’Albero della Conoscenza. Come la notte si approssima, Adamo ed Eva si preparano al riposo; intanto, l’angelo Gabriele ordina alle sue guardie di perlustrare il Giardino, temendo che vi si sia insinuato «uno spirito malvagio» evaso dall’abisso infernale. Satana viene scoperto mentre è vicino all’orecchio di Eva, per tentarla in sogno. Gabriele l’interroga, Satana minaccia di resistergli; ma nel cielo compare «la bilancia d’oro» dell’Eterno e a quel segno il Tentatore «se ne fuggì mormorando, e insieme a lui fuggirono le ombre della notte» (IV, v 1015). Nel Libro V è l’angelo Raffaele a mettere in guardia Adamo ed Eva del rischio che corrono; e per meglio chiarire le cose racconta dell’insurrezione di Satana e di quelli che sono diventati i suoi accoliti. E nel Libro VI Raffaele continua la narrazione della rivolta, infine disfatta dall’intervento del Figlio di Dio. Poi (Libro VII) rievoca la creazione «in sei giorni» del mondo destinato alla progenie di Eva e di Adamo; e quindi (Libro VIII) è Adamo a chiedere spiegazioni riguardo ai moti celesti; desideroso di trattenere l’angelo, gli riferisce quel che ricorda della sua stessa creazione, accennando alla solitudine iniziale, poi risolta con l’origine di Eva da «una costola, ancora calda di tutti gli spiriti/ che vengono dal cuore» (VIII, v 466), sì che Adamo può infine dire:

Vedo le ossa delle mie ossa, la carne

della mia carne, me stesso di fronte a me stesso.

Donna è il suo nome.

(VIII, vv 494-496)

Al tramonto Raffaele si congeda da Adamo, ricordandogli che «dipende dal tuo libero arbitrio resistere o cadere. […] Respingi/ la tentazione della trasgressione» (VIII, vv 640-643). Ma (Libro IX) nel cuor della notte Satana «con forma di nebbia» ritorna nel Giardino ed entra dentro al serpente addormentato. Al mattino Adamo ed Eva escono per le loro occupazioni, e la donna propone che ognun lavori separatamente. Adamo non vorrebbe lasciarla sola, ma cede. Il serpente la trova, e le si rivolge «con molte lusinghe»; Eva, meravigliata di udire il serpente parlare, gli chiede come mai sia potuto accadere. Il serpente le risponde che assaggiando il frutto di un albero del Giardino poté ottenere sia la parola sia la ragione; Eva si fa accompagnare a quella pianta, e scopre che si tratta del proibito Albero della Conoscenza del Bene e del Male. Il serpente dice allora: «Dove sta l’offesa/ che l’uomo ottenga tale conoscenza? […] E dunque,/ umana dea, stendi la mano a coglierlo, assaggialo/ liberamente!» (IX, vv 725-732). Eva così fa, «senza sapere/ che stava inghiottendo la morte» (IX, v 792). Compiaciuta del sapore del frutto, si risolve a parlarne con Adamo; presto l’incontra, e il suo compagno, «sbalordito, stupefatto, attonito» (IX, v 890), le dichiara comunque che è pronto a condividere la sorte di lei («se avrai per compagna la morte, la morte sarà/ per me la vita» (IX, vv 953-954). Eva, però, gli ribatte che la conseguenza sarà «non morte, ma vita accresciuta», e quindi l’esorta ad assaggiare «liberamente» quel cibo proibito (IX, vv 984-988). Adamo, allora, «mangia senza esitare» quel che Eva gli porge. Poi i due danno «sfogo a sazietà/ ai desideri e ai giochi dell’amore» (IX, vv 1042-1043); salvo provare vergogna della loro stessa nudità e accusarsi reciprocamente in una «vana contesa» (IX, v 1189).

Nel Libro X, mentre Dio invia il Figlio a giudicare i trasgressori, Satana torna dai suoi complici per celebrare il proprio trionfo; invece che da applausi viene accolto dal sibilo degli astanti, trasformati insieme a lui in serpenti. Nel Libro XI il Figlio presenta al Padre le preghiere dei nostri progenitori; Dio le accetta, ma dichiara che non devono più restare nel Paradiso. L’angelo Michele intima ad Adamo ed Eva di lasciare quel Giardino; prima, però, rivela all’uomo gli eventi del futuro.

Sotto questo profilo l’ultimo Libro, il XII, dispiega, con le parole dell’angelo, il nucleo della concezione filosofica e politica di Milton. «La pace della coscienza […] non può essere ottenuta attraverso le leggi formali» (XII, vv 296-298). Dice Michele:

Perciò la legge appare imperfetta, e data solo allo scopo

di prepararli [gli esseri umani] nel tempo a un’alleanza migliore,

disciplinati

a passare dalle figure simboliche al vero,

dalla carne allo spirito, e dall’imposizione di leggi rigorose

alla libera accettazione di una vasta grazia,

dalla paura servile al timore filiale, dagli atti legali

agli atti della fede.

(XII, vv 300-305)

La stessa vicenda del popolo ebraico assume un aspetto esemplare. Mosè, «per quanto profondamente caro a Dio», essendo «soltanto il ministro della legge» (XII, vv 306-307), non potrà condurre a Canaan coloro di cui è diventato la guida; piuttosto,

sarà Giosuè, chiamato Gesù dai Gentili, e che porta

il suo nome e il suo ufficio, a schiacciare il Serpente nemico.

(XII, vv 310-312)

Come puntualmente ha notato Sanesi, Jesus è la forma greca dell’ebraico Joshua (Giosuè). Né Michele trascura di narrare ad Adamo la passione e la morte «infame» di Cristo su questa terra, lui che si era rivolto alle creature umane

proclamando la vita a tutti quelli che vorranno credere

alla sua redenzione, e accetteranno per fede come propria

la sua obbedienza, e che saranno i suoi meriti a salvarli,

non già le loro opere, anche se giuste secondo la legge.

(XII, vv 406-410)

Gesù sarà, dunque,

inchiodato alla croce dal suo popolo,

ucciso in quanto egli porta la vita; ma lui

inchioderà a quella croce i tuoi nemici, la legge

contro di te.

(XII, vv 419-416)

E risorgerà, restando sulla terra quel tanto che basta per affidare ai discepoli la via della salvezza. Costoro

insegneranno a tutte le nazioni; poiché da quel giorno

la salvazione sarà predicata non soltanto ai figli

nati dal seme di Abramo, ma anche a tutti i figli

della fede di Abramo nel mondo.

(XII, vv 446-449)

Michele non nasconde che tra i successori degli Apostoli non mancheranno coloro che cercheranno

di imporre

sulle coscienze leggi spirituali attraverso il potere carnale;

leggi […] diverse

da quelle che lo Spirito incise in ogni cuore. Pertanto

che altro faranno se non forzare lo Spirito della Grazia,

e legare la Libertà sua consorte, e disfare i suoi templi viventi,

costruiti per reggere sulla fede, la loro fede,

non la fede di altri; poiché sulla terra chi mai

si può dire infallibile contro la fede e contro la coscienza?

(XII, vv 520-530)

Eppure, questa è la pretesa contro cui Milton ha combattuto per una vita intera. Fin dai primi libelli politici aveva ammonito che «un uomo può essere un eretico anche quando è nel vero; poiché, se lui crede a certe cose solo perché le ha dette il suo pastore, o perché così ha deciso l’Assemblea, senza saperne altra ragione, allora, anche se quel che crede è vero, la verità stessa che egli mantiene diventerà nondimeno la sua eresia. […] Ci sono molti […] fra i Protestanti e i Puritani, che vivono e muoiono in una fede altrettanto cieca e passiva quanto quella di un qualunque papista di Loreto» 5.

Nel Libro III della Istituzione della religione cristiana (capitolo II, paragrafo 2) Giovanni Calvino aveva accusato i teologi della Sorbona (cattolici) di «aver coperto Gesù Cristo d’un velo»; ma «se […] non guardiamo direttamente a lui, non possiamo che perderci in molti labirinti». Costoro «hanno elaborato una immaginazione di fede che definiscono implicita, […] termine col quale coprono la più grave ignoranza che si possa trovare e ingannano il povero popolo conducendolo a rovina. […] Forse la fede consisterebbe nel non intendere nulla, sottomettendo la propria intelligenza alla Chiesa?» 6. Niente affatto: «Non otteniamo salvezza per il fatto che siamo disposti ad accogliere come vero tutto ciò che la Chiesa ha definito, […] ma in quanto sappiamo che Dio ci è padre benevolo per mezzo della riconciliazione fatta in Cristo» 7.

Ma chi ora si sperde «nei molti labirinti»? Potremmo sostituire al termine «Chiesa» l’indicazione di qualsiasi élite che pretenda di controllare l’opinione altrui. Aveva scritto Milton nell’Areopagitica: «Non è solo strappando la tonaca dei preti, e togliendo la mitra a qualche vescovo […] che noi dive
nteremo una nazione felice. No! Ci sono altre cose, parimenti importanti nella Chiesa, nella vita civile e nel governo, che noi dobbiamo investigare e riformare; e se noi le trascuriamo gli è perché abbiamo fissato tanto a lungo gli abbaglianti fari che Zwingli e Calvino accesero per noi, da esserne totalmente accecati» 8. Del resto, «non è forse possibile che [la verità] possegga più di un aspetto?» 9. E, come ammonisce l’angelo Michele, guai a chi cerca di reprimere «la libertà razionale» di coloro che tentano di cogliere qualche inedito «aspetto» della multiforme verità. Tale repressione è un danno sia per l’individuo che per l’intera nazione. Dice ancora Michele nel Paradiso perduto:

Quando nell’uomo

la ragione è oscurata o non viene obbedita, immediatamente

disordinati desideri e volgari passioni assumono il governo

della ragione, e riducono l’uomo che era stato libero

a esserne lo schiavo. Perciò malgrado permetta che in lui

poteri indegni regnino sulla ragione libera, con giusto

giudizio Dio lo assoggetta a violenti signori dall’esterno;

che asserviscono spesso la sua libertà esterna

immeritatamente.

(XII, vv 86-95)

E subito aggiunge:

La tirannia deve esistere,

ma non per questo il tiranno si merita scuse.

(XII, vv 95-96)

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È un’idea base del pensiero di Milton, nel Paradiso perduto come nei suoi testi di taglio etico-politico. Nel Giardino dell’Eden, non essendoci scarsità di risorse, non si dava neppure l’eventualità di conflitti per controllarle. Dopo la Caduta (ovvero il Peccato originale) ogni misura è rotta; ma per Milton (al contrario del calvinismo più rigido) i discendenti non hanno perso irrimediabilmente la libertà di cui godevano Adamo ed Eva nell’Eden, anche se questa è continuamente in pericolo per il cattivo uso che le creature umane possono farne.
In The Tenure of Kings and Magistrates (1649) Milton aveva insistito che in qualsiasi patto tra esseri umani fra loro non si poteva prescindere dalle esigenze della ragione. Se io mi lego volontariamente a un patto con qualsiasi altra persona per il bene reciproco, ma questa si rivela «un mostro per me», posso allora sentirmi sciolto da ogni obbligo. E già in The Doctrine and Discipline of Divorce (1643) Milton aveva scritto che gli accordi vengono stipulati per un fine particolare, sicché, se questo scopo non viene raggiunto, il contratto non ha più validità, «si tratti di spose o di cittadini». Più precisamente, «chi si sposa intende tanto poco contribuire alla propria rovina quanto chi promette obbedienza: come è un intero popolo rispetto a un cattivo governo, così è un singolo rispetto a un cattivo matrimonio» 10.
Anni dopo, nel Samson Agonistes (1671) Milton faceva dichiarare al suo biblico eroe: «Non ero un privato cittadino, ma un uomo suscitato con forza sufficiente, dal volere del cielo, a liberare la mia patria. Se quelle anime schiave non mi vollero riconoscere come loro liberatore, ma mi consegnarono ai loro padroni senza compenso, tanto più si mostrarono indegne: e per questo servono ancora» 11.

Milton doveva spegnersi il 9 novembre 1674, consegnando a tutti noi quel «dilemma della libertà» 12 che pervade il suo Paradiso perduto. E lasciandoci quasi come Eva ed Adamo, esuli dal Paradiso, «la mano nella mano» a percorrere «a passi lenti e incerti […] il loro cammino solitario» (XII, vv 648-649).
NOTE

1 J. Milton, Paradiso perduto, a cura di R. Sanesi, disegni di E. Tadini, Einaudi, Torino 1982, p. XXXI.

2 Ibidem.

3 J. Milton, Areopagitica, versione di S. Breglia (1933), poi rivista, Laterza, Roma-Bari 1987, p. 38.

4 Il punto chiave è proprio «il rapporto diretto dell’individuo con Dio», che si dispiega in una successione di «continui tentativi e continui errori: lotta disperata in angoli isolati» senza le comode mediazioni offerte dal cattolicesimo romano (C. Hill, Vita di Cromwell, Laterza, Roma-Bari 1974, p. 234. Il tema è stato poi ripreso da Christopher Hill in altri suoi studi, per esempio in Milton and the English Revolution, Faber &Faber, London 1977).

5 J. Milton, Areopagitica, cit, pp. 56-57.

6 G. Calvino, Istituzione della religione cristiana, a cura di G. Tourn, Utet, Torino 1971 e 2009, pp. 676-677.

7 Ivi, p. 677.

8 J. Milton, Areopagitica, cit., p. 64.

9 Ivi, p. 77.

10 Per queste citazioni, e un commento, mi sia lecito rimandare alla mia Introduzione alla citata versione di Areopagitica, in particolare le pp. XXXII-XXXIII.

11 J. Milton, Sansone agonista, a cura di M. Lombardi, Bompiani, Milano 1943, p. 144.

12 R. Sanesi, in J. Milton, Paradiso perduto, cit., p. XLIV.

(30 marzo 2020)

#IORESTOACASA E LEGGO/GUARDO UN CLASSICO







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