Iran, il regista Karimi nella morsa del regime: “Temo l’arresto”

Giona A. Nazzaro



Il primo grado di appello è stato favorevole a Keywan Karimi, regista iraniano di origini curde. La condanna a 223 frustate e sei anni di prigione è stata ridotta a una pena di uno o due anni di detenzione. Risultato senz’altro importante, ottenuto grazie anche alle pressioni esercitate dalla comunità cinematografica internazionale e non solo ma che non induce a gioire. La prigione come deterrente nei confronti della libertà d’espressione è sempre inaccettabile e adesso occorre moltiplicare gli sforzi per far sì che Keywan Karimi venga completamente e totalmente scagionato.

Per il regista tutto inizia con il documentario “Writing on the City”: un film realizzato utilizzando esclusivamente materiali di repertorio che attraverso i graffiti dei muri di Tehran racconta le numerose trasformazioni della Repubblica islamica negli anni che dal 1979 vanno alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad nel 2009.

Il 14 dicembre 2013, però, la polizia irrompe a casa sua, sequestra il materiale di lavoro e la dotazione elettronica. Arrestato, finisce in carcere, dove resta due settimane in assoluto isolamento. L’accusa: avere insultato il regime. I corpi del reato? Un videoclip e un documentario conservati nell’hard disk. Viene rilasciato il 26 dicembre su cauzione. Nell’arco di tempo compreso fra il marzo 2014 e il settembre del 2015, Keywan Karimi si presenta otto volte in tribunale per fornire le prove della sua innocenza. Il 22 settembre Karimi è condannato a due anni di carcere e 90 frustate per avere “insultato l’Islam”. Il 13 ottobre la condanna diventa ancora più pesante: sei anni di carcere, 223 frustate.

La condanna è incomprensibile (in ogni caso), se si considera quanto raccontava il regista nel videomessaggio presentato a Roma alla Casa del cinema il 12 novembre scorso. Il film, infatti, aveva ottenuto il nulla osta dalle autorità competenti ed è stato realizzato utilizzando materiale d’archivio di dominio pubblico.

Chi negli ultimi anni ha seguito lo sviluppo delle dinamiche interne della Repubblica Islamica Iraniana, è restato letteralmente scioccato rispetto a questa recreduscenza nei confronti di un artista, soprattutto alla luce de l’Orso d’oro berlinese vinto da Jafar Panahi con “Taxi Teheran”, nei cui confronti le autorità religiose politiche e religiose non hanno inasprito le misure precedentemente adottate. Evidentemente la posta in gioco all’epoca, la trattativa per il nucleare che ha rimesso USA e Iran intorno a uno stesso tavolo, era troppo importante e un Orso d’oro non allineato può ben essere interpretato come un messaggio di buona volontà distensiva.

Motivo per cui la brutale condanna di Keywan Karimi (sulla quale gravano anche gravi sospetti di motivazione etnica, essendo il regista di origini curde), suona non solo come una brutale interruzione di un percorso di distensione, ma addirittura di un inasprimento ideologico inatteso. A osservare più da vicino le cose, ci si rende conto che in realtà, oltre ai numerosi fronti internazionali, si è riaperto, forse più virulento che mai, un fronte di scontro interno fra i guardiani della rivoluzione più settari i quali preferiscono che l’Iran resti isolato a livello internazionale, e che considerano le trattative sul nucleare una resa agli USA, e i riformisti che invece auspicano il venire meno delle sanzioni economiche per rilanciare l’economia.

Bisogna inoltre tenere presente che l’Iran, pur essendo una Repubblica islamica, non è una società ideologica chiusa come l’Arabia Saudita o le altre petromonarchie. L’Iran vanta una società civile e una classe media e intellettuale di valore internazionale. La gioventù iraniana è sovente padrona di una o più lingue europee e le università sono fucine ricchissime di iniziative. Basta passeggiare per il quartiere universitario e osservare le vetrine delle librerie per rendersi conto che la propaganda che vorrebbe il paese appiattito pigramente su posizioni confessionali non risponde assolutamente al vero.

Inoltre bisogna tenere sempre conto che l’estremismo di un Ahmadinejad è di matrice populista e non religioso e che lo stesso Khomeini era considerato soprattutto il “padre dei senza scarpe”. Non è un caso che alcuni iraniani si riferissero a Ahmadinejad come “il nostro Berlusconi”. In un quadro di tale complessità la vicenda di Karimi assume contorni emblematici. Colpire un intellettuale per ricordare ai riformisti, in Iran si è prossimi alle elezioni, che la partita del potere è tutta da giocare.

Ed è proprio per questo motivo, nonostante il piccolo risultato ottenuto dalle pressioni internazionali, che non bisogna assolutamente abbassare la guardia nei confronti di Keywan Karimi: è proprio in questi momenti di transizione, quando i risultati positivi sono sempre più a portata di mano, che le porte rischiano di richiudersi con maggiore violenza.

Senza contare le provocazioni gravissime che l’Arabia Saudita sta esercitando nei confronti dell’Iran, riuscendo a ritardare da un lato la discussione sulle sanzioni e, in seguito all’incendio dell’ambasciata saudita, un restringimento dei visti che ha costretto Kerry a scrivere al ministro degli affari esteri Mohammad Javad Zarif assicurandolo che si sarebbero trovate delle soluzioni alternative a questo provvisorio inasprimento.

Ed è proprio in questo nuovo contesto emergenziale che la vicenda di Keywan Karimi rischia di subire delle battute d’arresto. Ed è per questo motivo che bisogna attivare tutte le forme di vigilanza democratica per far sì che Keywan Karimi torni al più presto a svolgere il suo lavoro di regista, artista, intellettuale.

Raggiunto prima di scrivere questo articolo, Keywan Karimi ci ha detto: “Ho provato varie volte a informarmi presso il tribunale. L’unica cosa che mi hanno detto è di aspettare. Non ho alcuna idea di cosa abbiano intenzione di fare. A volte ho davvero molta paura. Ho avuto notizie di altre persone condannate come me che sono riuscite a scappare dall’Iran. Temo che il tribunale pensi che anche io voglia scappare dal paese e stia già prendendo le sue contromisure. In questo momento mi sento come se galleggiassi fra il cielo e la terra. Tre giorni fa delle persone hanno abbandonato l’Iran e ho paura che le autorità possano arrestarmi perché pensano che magari progetto una fuga”.

A fronte della situazione, è più che legittima la preoccupazione nei confronti della sorte di Keywan Karimi.
Non abbassare la guardia ora è fondamentale.

IL TRAILER DEL FILM DI KEYWAN KARIMI

(11 gennaio 2016)



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