Italia, anno 2020: così si diventa fascisti
Daniele Nalbone
Agli indifferenti. A loro Paolo Berizzi, giornalista di Repubblica, ha dedicato il suo ultimo libro, L’educazione di un fascista (ed. Feltrinelli, 2020). Perché, come spiega a MicroMega in un lungo colloquio telefonico, «l’indifferenza è l’anticamera dell’assuefazione che diventa complicità e si trasforma in odio». Perché «il silenzio fa più male delle parole» e «se il fascismo è tornato a sedimentarsi nella nostra società, è anche colpa degli indifferenti».
Il suo ultimo lavoro è inchiesta e reportage, saggio e racconto. È un viaggio nella galassia nera giovanile e spiega qualcosa di semplice: come e perché un ragazzo diventa militante neofascista. Si può iniziare in diversi modi: andando allo stadio a seguire una partita di calcio in curva, iscrivendosi in palestra, andando in una colonia estiva che, sì, esistono ancora e prevedono rigide regole per educare i giovanissimi. Si può diventare fascista facendo arti marziali o andando a un concerto. I gruppi di estrema destra italiani hanno creato un emisfero autosufficiente che riempie ogni momento della vita di un giovane. Il tuo obbiettivo è diventare un boxeur? In pochi mesi eccoti trasformato in un picchiatore. Il tuo sport preferito è un’arte marziale? Qualche allenamento e verrai arruolato tra i soldati politici di un movimento fascista.
«Questo», ci spiega Berizzi, «è il nuovo volto del fascista». Oggi non è più il momento di raccontare le camicie nere o i fez. È il momento di mostrare come il fascismo si stia esprimendo usando modalità e regole di ingaggio ben diverse da quelle raccontate nei libri di storia. «Ho sentito il bisogno di scrivere questo libro per spiegare come nasce un fascista oggi e come questi movimenti vadano “oltre” i modestissimi risultati elettorali che ottengono». Oggi l’estrema destra è infiltrata nella nostra quotidianità e «raccontare questa rete capillare è necessario per capire come arginare il fenomeno».
Una delle parole che Berizzi cita di più durante il nostro colloquio è «dissimulazione». Oggi un giovane fascista non lo individui subito: può essere il giovane avversario su un ring, il ragazzo in piedi accanto a te in curva o a un concerto, il giovane che si è comprato lo stesso giubbotto che indossava allo stadio Olimpico l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, durante la finale di Coppa Italia del 2018 tra Juventus e Milan.
E la dissimulazione è al centro del libro L’educazione di un fascista. Palestre che mimetizzano la propria aderenza a partiti neofascisti parlando di “sport a prezzi popolari”. Pugili che evitano di palesare il proprio credo politico salvo poi essere smascherati da segretari di partito che gli mettono il fez forzanovista in testa per i propri scopi politici. Negozi di moda o case editrici che mascherano la propria matrice nera parlando di semplice business o appellandosi alla libertà di espressione. Il libro è un lungo e dettagliato elenco di casi tra i quali spicca – parere personale – un personaggio in particolare: Fabio Tuiach. Triestino, figlio di esuli, operaio al porto e consigliere comunale prima con la Lega, poi in Forza Nuova e infine come indipendente. Antiabortista, antigay, anticomunista, antislamico – «Maometto è un pedofilo» una delle sue uscite più tristemente famose – Berizzi ricorda quando, nell’ottobre 2017, sostenne pubblicamente che «il femminicidio è un’invenzione della sinistra». Di Tuiach la stampa mainstream si è occupato recentemente per uno sgrammaticato intervento in consiglio comunale quando si disse «offeso» per il fatto che Liliana Segre, pochi giorni prima, affermò che «Gesù era ebreo». In rete il video del suo discorso in un italiano stentato è diventato subito virale. Ma per Berizzi questo è il vero problema. «Se mi chiedi quanto è pericoloso ridere di interventi come quello di Fabio Tuiach da uno a dieci, ti rispondo undici! Non dovremo fare ironia sul caso: un picchiatore fascista che loda Mussolini e Hitler che siede sui banchi di un consiglio comunale è una delle tante vergogne nazionali. Questi non sono personaggi folkloristici ma dei propagatori di idee criminali».
Ecco un altro ostacolo nella lotta al fascismo, anno 2020: quello dei «teorici del folklore». Il riferimento è a chi, tra i giornalisti, si reca ad esempio in quel di Predappio per l’annuale raduno fascista munito di telecamera con l’obiettivo di realizzare video ironici dei partecipanti, trasformando così i camerati in macchiette. «È un’azione irresponsabile ridurre il tutto ai quattro gatti, ai nazisti dell’Illinois, ai fascisti su Marte. Non sono “ragazzi esuberanti”, non sono un fenomeno da minimizzare. La narrazione folkloristica, ironica, qualunquista è pericolosa: non siamo davanti a un fenomeno desueto ma a un elemento ben radicato nella nostra società».
Sono i piccoli aneddoti, gli eventi sportivi minori, i raduni con poche decine di persone, i concerti “di nicchia”, il focus di questa inchiesta di Berizzi. Al centro, le parole d’ordine dei nuovi balilla che, non proprio casualmente, sono le stesse delle grandi mobilitazioni della destra sovranista: “orgoglio italiano”, “onore”, “patria”, “lealtà”, “sacrificio”. Intorno, il culto dell’autoritarismo, della violenza e della morte, l’ossessione razzista e xenofoba, la disciplina militaresca e la pulsione identitaria che, come si legge, «già una volta hanno formato un’intera generazione di ragazzi».
Mai come oggi, però, questi gruppi hanno trovato sponde politiche importanti. La testa torna al primo degli slogan citati, “orgoglio italiano”, nome scelto da Matteo Salvini per la manifestazione del 19 ottobre scorso in piazza San Giovanni. Una scelta che, per Berizzi, è stata «un volano, un trampolino comunicativo» e che ha raggiunto, fronte estrema destra, un risultato importante: portare in piazza i vertici nazionali di CasaPound e tanti militanti neofascisti. «Parliamo della manifestazione congiunta di quello che continuiamo a chiamare, sbagliando, centrodestra. Su quel palco c’erano leader di partiti già di governo, a vocazione maggioritaria, che propongono una società dove ci sono persone che devono restare indietro, che hanno meno diritti. “Orgoglio italiano” è oggi lo slogan di chi si candida a governare il nostro paese e, al tempo stesso, di chi pesta immigrati, alleva picchiatori, punta a destrutturare gradualmente l’architettura democratica del nostro Paese. Per questo la sensazione è che i sovranisti abbiano spinto talmente tanto sull’acceleratore di questi slogan da aver inglobato i neofascisti».
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