Italia Evolution. Crescere con la cultura

Mariasole Garacci

L’ultimo libro di Christian Caliandro è un viaggio attraverso le zone interdette della crisi economica, sociale e politica del nostro paese. Una condizione psichica, più che materiale, da cui nuovi processi artistici legati a comunità e territorio possono trarci in salvo.

Christian Caliandro (1979), è uno storico dell’arte contemporanea, studioso di storia e di politiche culturali, docente di storia dell’arte presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia. A queste qualifiche si può aggiungere quella di scrittore, perché i suoi saggi e i suoi interventi su Artribune hanno il respiro ampio della scrittura, nel solco delle critiche culturali di Flaiano, Longanesi, Ortese, Pasolini, autori opportunamente citati nel suo ultimo libro Italia Evolution. Crescere con la cultura (Meltemi editore, 2018, 16,00 euro).

Tre quarti d’ora fa, stavo rivedendo la Prospettiva di Borromini a Palazzo Spada. Dalla corte, riflessi –la galleria si vede attraverso filtri su filtri, vetro, barriere. I turisti si accalcano insieme alla guida stanca, ma nessuno può percorrere ormai l’illusione. Devi solo ricostruire mentalmente il processo, perché manca completamente la verifica materiale: l’illusione è monca. Il Barocco è raccontato da una guida e non percepito fisicamente. E’ un Barocco ascoltato, più che recepito ed esperito visivamente. Questa visione attraversa la prima balaustra di legno con il vetro, l’intera biblioteca, il secondo vetro con i doppi riflessi. E solo dopo, con tutte queste dimensioni appiccicate addosso, l’idea di Borromini. Un lumicino in fondo a un corridoio oscuro, vago di percezioni e di esperienze rifratte, mediate da un biglietto turistico. Ciò che rimane del Seicento per noi: uno spettro in fondo a un cunicolo percettivo.

[…] La Prospettiva di Borromini è inattingibile, inaccessibile: fisicamente, percettivamente, culturalmente.

Perché l’Italia è piena di zone interdette, zone rosse, zone proibite; zone delimitate, censurate, escluse da un lefebvriano diritto alla città, alla partecipazione, alla riappropriazione, al desiderio: sono l’Aquila, Taranto e l’Ilva, il cantiere Tav in Val di Susa, i Cie sparsi per la penisola; ma anche i centri storici, la cultura stessa, la memoria. Zone interdette della mente, che possiamo guardare soltanto, appunto, come si guarda la Prospettiva di Palazzo Spada: attraverso un diaframma. Attraverso l’interpretazione di altri. Si pensi alla narrazione della crisi: una condizione lavorativa, economica, esistenziale (il precariato) che viene presentata e percepita come tale perché considerata all’interno di un sistema che i suoi stessi protagonisti, i trenta-quarantenni di oggi, non riescono a sovvertire; che introiettano al punto da vivere una nuova, insidiosa versione dell’eterno senso della colpa (mi viene in mente, a questo proposito, la riflessione di Elettra Stimilli su senso di colpa e debito nell’ambito dei sistemi economici occidentali).

La tesi del libro di Caliandro è che la società italiana si trova paralizzata dinanzi a un trauma. O, almeno, questa è la sintomatologia. Succede ciò che accade anche nell’esperienza individuale: non si penetra il dolore, l’evento traumatico; non lo si attraversa lasciandosene a propria volta attraversare, ma lo si nega o si tenta di esorcizzarlo, restando così separati da questa parte di sé, in uno stato di sospensione asintotica rispetto alla realtà. L’effetto è quello che possiamo osservare nella politica, così come nella sfera privata: capziosità, reazioni scomposte, volgari, aggressività, vittimismo: si cerca di dare la colpa ad altri (gli immigrati, l’Europa, il governo ladro), ma non si fa vera autocritica e comunque non si procede dalla pars destruens. Oppure si idealizzano momenti del passato recente (il ’68, il ’77). Anche il linguaggio è sconnesso dalla realtà, strumento inutile, esoscheletro in cui il nesso tra concetto e parola salta e tutto equivale a tutto, in una sorta di euforia espressiva. Scrive Caliandro: collegare cervelli vivi, farli avanzare attraverso una lingua morta è un’operazione impossibile. Penso alle parole di Salvini a Pontida, al bagaglio linguistico di questa ondata “anti-intellettuale”. Distorsione della realtà che equivale a un sottile sofismo: sottile perché apparentemente solo espressione volgare, appassionata, “genuina” e, per questo motivo, strumento tanto più furbo ed efficace.

Oggetto del trauma è la paura della fine, del declino. Declino della società come l’hanno conosciuta i nostri genitori, forse gli ultimi a muoversi all’interno di uno sistema che forse non sono riusciti, neanche loro, a sabotare dall’interno. Declino, sembra un paradosso pessimista, del futuro (di una volta). Che fare? Bisogna addestrarsi a una forma di disconoscimento, a disimparare il codice tramandato. L’evoluzione necessaria è da intendere in senso letterale, scientifico: una mutazione, l’adattamento (non nel senso di accettazione e rassegnazione, il contrario) all’habitat presente che altri chiamano crisi. L’arte e la cultura offrono gli strumenti per sviluppare questa disposizione, perché allenano allo scetticismo nei confronti delle norme e delle narrazioni date, allo spostamento semantico, alla lateralità, alla divergenza; perché generano insoddisfazione, solitudine, critica (ciò che i sazi chiamano “invidia sociale”). Praticare una frugalità, una moralità, una ricerca della bellezza. Pionieri della catastrofe, scoprire che crisi significa rottura, morte, conflitto e contraddizione, le condizioni biologiche della vita. Evolversi.

Christian Caliandro

Italia Evolution. Crescere con la cultura

Meltemi editore, 16 euro

www.meltemieditore.it







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