Italia Evolution. Crescere con la cultura
Mariasole Garacci
L’ultimo libro di Christian Caliandro è un viaggio attraverso le zone interdette della crisi economica, sociale e politica del nostro paese. Una condizione psichica, più che materiale, da cui nuovi processi artistici legati a comunità e territorio possono trarci in salvo.
Tre quarti d’ora fa, stavo rivedendo la Prospettiva di Borromini a Palazzo Spada. Dalla corte, riflessi –la galleria si vede attraverso filtri su filtri, vetro, barriere. I turisti si accalcano insieme alla guida stanca, ma nessuno può percorrere ormai l’illusione. Devi solo ricostruire mentalmente il processo, perché manca completamente la verifica materiale: l’illusione è monca. Il Barocco è raccontato da una guida e non percepito fisicamente. E’ un Barocco ascoltato, più che recepito ed esperito visivamente. Questa visione attraversa la prima balaustra di legno con il vetro, l’intera biblioteca, il secondo vetro con i doppi riflessi. E solo dopo, con tutte queste dimensioni appiccicate addosso, l’idea di Borromini. Un lumicino in fondo a un corridoio oscuro, vago di percezioni e di esperienze rifratte, mediate da un biglietto turistico. Ciò che rimane del Seicento per noi: uno spettro in fondo a un cunicolo percettivo.
[…] La Prospettiva di Borromini è inattingibile, inaccessibile: fisicamente, percettivamente, culturalmente.
Perché l’Italia è piena di zone interdette, zone rosse, zone proibite; zone delimitate, censurate, escluse da un lefebvriano diritto alla città, alla partecipazione, alla riappropriazione, al desiderio: sono l’Aquila, Taranto e l’Ilva, il cantiere Tav in Val di Susa, i Cie sparsi per la penisola; ma anche i centri storici, la cultura stessa, la memoria. Zone interdette della mente, che possiamo guardare soltanto, appunto, come si guarda la Prospettiva di Palazzo Spada: attraverso un diaframma. Attraverso l’interpretazione di altri. Si pensi alla narrazione della crisi: una condizione lavorativa, economica, esistenziale (il precariato) che viene presentata e percepita come tale perché considerata all’interno di un sistema che i suoi stessi protagonisti, i trenta-quarantenni di oggi, non riescono a sovvertire; che introiettano al punto da vivere una nuova, insidiosa versione dell’eterno senso della colpa (mi viene in mente, a questo proposito, la riflessione di Elettra Stimilli su senso di colpa e debito nell’ambito dei sistemi economici occidentali).
La tesi del libro di Caliandro è che la società italiana si trova paralizzata dinanzi a un trauma. O, almeno, questa è la sintomatologia. Succede ciò che accade anche nell’esperienza individuale: non si penetra il dolore, l’evento traumatico; non lo si attraversa lasciandosene a propria volta attraversare, ma lo si nega o si tenta di esorcizzarlo, restando così separati da questa parte di sé, in uno stato di sospensione asintotica rispetto alla realtà. L’effetto è quello che possiamo osservare nella politica, così come nella sfera privata: capziosità, reazioni scomposte, volgari, aggressività, vittimismo: si cerca di dare la colpa ad altri (gli immigrati, l’Europa, il governo ladro), ma non si fa vera autocritica e comunque non si procede dalla pars destruens. Oppure si idealizzano momenti del passato recente (il ’68, il ’77). Anche il linguaggio è sconnesso dalla realtà, strumento inutile, esoscheletro in cui il nesso tra concetto e parola salta e tutto equivale a tutto, in una sorta di euforia espressiva. Scrive Caliandro: collegare cervelli vivi, farli avanzare attraverso una lingua morta è un’operazione impossibile. Penso alle parole di Salvini a Pontida, al bagaglio linguistico di questa ondata “anti-intellettuale”. Distorsione della realtà che equivale a un sottile sofismo: sottile perché apparentemente solo espressione volgare, appassionata, “genuina” e, per questo motivo, strumento tanto più furbo ed efficace.
Oggetto del trauma è la paura della fine, del declino. Declino della società come l’hanno conosciuta i nostri genitori, forse gli ultimi a muoversi all’interno di uno sistema che forse non sono riusciti, neanche loro, a sabotare dall’interno. Declino, sembra un paradosso pessimista, del futuro (di una volta). Che fare? Bisogna addestrarsi a una forma di disconoscimento, a disimparare il codice tramandato. L’evoluzione necessaria è da intendere in senso letterale, scientifico: una mutazione, l’adattamento (non nel senso di accettazione e rassegnazione, il contrario) all’habitat presente che altri chiamano crisi. L’arte e la cultura offrono gli strumenti per sviluppare questa disposizione, perché allenano allo scetticismo nei confronti delle norme e delle narrazioni date, allo spostamento semantico, alla lateralità, alla divergenza; perché generano insoddisfazione, solitudine, critica (ciò che i sazi chiamano “invidia sociale”). Praticare una frugalità, una moralità, una ricerca della bellezza. Pionieri della catastrofe, scoprire che crisi significa rottura, morte, conflitto e contraddizione, le condizioni biologiche della vita. Evolversi.
Christian Caliandro
Italia Evolution. Crescere con la cultura
Meltemi editore, 16 euro
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