Finalmente il parlamento ha riconosciuto che gli assorbenti non sono un bene di lusso, abbassando l’iva dal 22 al 5 per cento. Ma solo su quelli biodegradabili e compostabili, prodotti quasi introvabili e che non sepre rispondono alle esigenze delle donne. Una clausola che trasforma dunque quello che doveva essere un doveroso riconoscimento di un bisogno delle donne nell’ennesima lezione paternalista.
È stata una lunga e faticosa battaglia ma alla fine l’Italia ce l’ha fatta. Ad annunciarlo lo stesso Ministro delle Finanze, Roberto Gualtieri, con un tweet in cui si dice soddisfatto per questo “primo segnale di attenzione” nei riguardi di milioni di donne. Finalmente dunque anche il nostro Paese si è allineato alle scelte virtuose già compiute in tanti altri nel mondo e ha abbassato una tassa tanto odiosa quanto discriminatoria, che colpiva proprio i soggetti economicamente più deboli e svantaggiati e che, in cinquant’anni da quando era stata introdotta, passando dal 12 al 22%, aveva impoverito le tasche di milioni di donne per intere generazioni.
Gli assorbenti dunque non sono più considerati beni di lusso, non più lussuosi del tartufo, come aveva invece stabilito il precedente governo, da oggi si passa da un’aliquota pari al 22% ad una al 5%. Un fatto rivoluzionario quanto mai insperato, e allora possiamo scendere in strada, gridare al miracolo e andare a festeggiare? Non direi, no. Al contrario. Perché il taglio alla tampon tax riguarda solo i prodotti igienici compostabili e biodegradabili. Già. Attenzione perché vi vedo che state andando a googlare!
Niente paura e plachiamo gli animi: se siete donne, ma anche uomini e non ne avete mai sentito parlare non è colpa vostra, non siete degli inquinanti mostri insensibili e non avete vissuto su Marte, è solo che gli assorbenti compostabili e biodegradabili sono una sorta di misteriosa apparizione, come quelle sfere di luce bianca di cui alcuni raccontano durante l’avvistamento di un ufo o robe simili: qualcuna dice di averli visti ma non ne ha le prove. Introvabili, spesso confinati nell’angolino più remoto, triste e vuoto di uno scaffale, rigorosamente in supermercati bio o in farmacia, dove c’è pochissima scelta, a volte nessuna, distribuiti in sparute confezioni. Per intenderci: per essere compostabili gli assorbenti devono riportare il certificato del CIC (Consorzio Italiano Compostatori) e il certificato ICEA, cioè enti che fanno prove a terra e certificano sia i tempi della biodegradabilità che quelli della riuscita del compost (compostabile e biodegradabile non sono la stessa cosa e non basta che sulla confezione ci sia scritto 100% cotone). E inoltre sono, dovremmo dire erano, ma lo saranno ancora (quelli che rispettano quei criteri) carissimi!
E allora cosa c’è da essere entusiasti/e? Poco o niente. Se siete uomini certo starete pensando che non ci sta mai bene niente, che allora “ditelo, voi eterne insoddisfatte” che non pensate al bene del pianeta e ve ne importa solo di semplificarvi la vita, magari di non lasciare imbarazzanti chiazze ematiche bene evidenti sulla sedia di un autobus mentre andate a lavoro oppure sui vostri pantaloni in un ufficio affollato, o mentre siete in fila al supermercato. D’altronde viviamo in una società così inclusiva, in cui il ciclo mestruale non è affatto motivo di stigma sociale, non esistono tabù linguistici, non siamo costrette ad usare creative formule sostitutive per parlarne in codice, come quanto diciamo “le mie cose”, “il mio periodo”, “sono indisposta” per non farci capire dagli altri, persino nelle pubblicità è tutto così libero ed esplicito (chissà se c’è un nesso con il fatto che i pubblicitari sono quasi tutti e quasi sempre maschi!?), il nostro sangue infatti è di un grazioso color lavanda tendente al blu, perché dovremmo preoccuparci di non perderne in giro pubblicamente?
E’ proprio di queste ore la polemica contro Carmen Di Pietro, showgirl, in questo caso in veste di conduttrice radiofonica, che in diretta radio ha definito una donna che sta a casa per i suoi dolori mestruali indegna di essere definita tale, una parassita, qualora lavori nel pubblico, che si mette in malattia per frodare lo Stato. Non sa evidentemente la signora Di Pietro che tre milioni di donne solo nel nostro Paese soffrono di una malattia che si chiama endometriosi, ad esempio, (e quando in radio un’ascoltatrice che ne è affetta glielo spiega, lei prima la insulta e la prende a parolacce, poi nega che la malattia esista), una patologia serissima e complessa, in alcuni casi devastante e ancora senza cura, che è stata recentemente inclusa nei Lea, quindi riconosciuta dallo Stato come malattia cronica invalidante, con diritto a esenzioni per esamine e visite, visti i costi altissimi che impone. Altro che parassite: categoria protetta da tutelare!
Ma torniamo alla tampon tax, facciamo un passo indietro e vediamo di spiegare in un paio di punti e nel dettaglio, alcune cose utili e necessarie a capire l’assenza (qui) di entusiasmo per questo pseudo taglio dell’iva sugli assorbenti: 1. Gli assorbenti in cotone 100%, con pack compostabile, significa senza involucro di plastica, non sono completamente biodegradabili per via della colla che mantengono nello strato inferiore e alcuni agenti chimici usati per sbiancarli, in più hanno performance molto ridotte rispetto a quelli in materiali sintetici.
Nel caso di flussi abbondanti o emorragici, ipermenorrea, menorragia, cioè mestruazioni che possono durare sei/sette/dieci giorni al mese con perdite molto forti -e sono moltissime le donne che soffrono di queste alterazioni, disfunzioni del ciclo-, gli assorbenti in cotone non assolvono al loro compito: non sono in grado cioè di assorbire il flusso, non mantengono pulite, non permettono di muoversi in libertà e sicurezza quindi di svolgere le proprie attività quotidiane in tranquillità, posto che per milioni di donne durante quei giorni è già molto difficile farlo, se non impossibile.
Per intenderci, bisognerebbe stare ferme, a casa, e cambiarsi ogni 30 minuti.
2. Gli assorbenti completamente compostabili e biodegradabili in Italia sono praticamente introvabili, i marchi che li producono si contano sulle dita di una mano, alcuni dei quali si trovano quasi esclusivamente on line dunque sono pochissime le donne che ne fanno uso. Questo ha a che vedere senza dubbio con il loro prezzo -spesso triplicato rispetto agli altri, possono arrivare a costare 12, 20 euro a confezione a fronte dei 4/5 euro degli altri-, il mercato è tenuto in piedi quasi solo dalle donne con allergie a prodotti sintetici che sono costrette ad utilizzarli, a parte quelle più virtuose che lo fanno per motivi etici e ambientali; ma anche e soprattutto con il punto 1., cioè il rapporto costi benefici che è pessimo. Un prezzo molto alto per un prodotto che sostanzialmente non è all’altezza di quelli sintetici, studiati e prodotti con una tecnologia molto più innovativa per "intrappolare il flusso", come spesso sentiamo dire in un noto slogan pubblicitario, e che hanno delle performance di molto superiori. Direte -bene!-, uno stimolo della domanda farà da incentivo per l’offerta e quindi per il consumatore finale, cioè le donne.
Forse, forse no. Gli assorbenti igienici non sono ornamenti femminili, corredi del nostro outfit, pezzi del nostro guardaroba, hanno il compito di contenere le nostre perdite ematiche, impedire infezioni e molte altre cose che hanno a che vedere con la nostra salute, li compriamo se hanno determinate caratteristiche. Voi comprereste un antidolorifico che non vi faccia passare il mal di testa, solo perché rispetta l’ambiente? Se poi consideriamo il fatto che vanno cambiati molto più spesso e si finisce per comprarne molti di più, in termini di spesa, anche a fronte di un abbassamento drastico dell’iva, mi dite cosa cambia e in che modo questa misura ci agevola?
Perché il tema è esattamente questo. Detassare un prodotto di igiene intima di cui una donna fa uso dai suoi più o meno dieci o undici anni di vita ai cinquanta e oltre, tutti i mesi, in maniera obbligatoria, dovrebbe essere un fatto di giustizia sociale, di equità. Uno sgravio vero, reale e sostanziale per le donne, come avverrà in altri Paesi europei che l’hanno già annunciata senza limitazioni di prodotti, o come già avviene in quelli più virtuosi, dove la tassazione è pari a zero: una misura che colmi un gap.
Invece nella logica in cui lo fa oggi questo governo, il dibattito sulla tampon tax e la misura stessa, sembra molto più avere uno scopo educativo, pedagogico, un incentivo ad essere green e a rispettare l’ambiente giocato sulla nostra pelle. Una lezione di educazione civica, impartita dagli uomini alle donne, di cui francamente non se ne sentiva l’esigenza. Ma soprattutto una misura da cui queste ultime non trarranno alcun beneficio o ritorno reale in termini economici e in quanto soggetti economicamente più svantaggiati. Questo è il tema vero, questa è la battaglia, e allora in questa logica il senso dell’abbassamento di quella tassa è stato completamente disatteso! E nessuno può impedirmi di pensare che a sessi invertiti la situazione sarebbe stata ben diversa. L’elenco di beni di uso comune utilizzati ogni giorno esclusivamente dagli uomini e che inquinano allo stesso modo sarebbe infinito. E invece si punta il dito verso un prodotto che ha permesso alle donne di emanciparsi socialmente, ottimizzando tempi e modalità d’uso.
Il ministro dell’economia ha salutato il provvedimento come "un primo segnale”, dispiace dire che non solo non basta ma è troppo poco e non va nella giusta direzione, e ancora di più dispiace dirlo alle donne firmatarie del provvedimento, una tra tutte Laura Boldrini, al quale bisogna riconoscere di aver condotto una battaglia prima quasi da sola poi con un sostegno bipartisan di una trentina di parlamentari della maggioranza, (prendendola in eredità da una battaglia meno recente fatta da Pippo Civati, onore a lui che tanto fu deriso anche dai suoi compagni e dalle sue compagne di partito), che ci spiegano che oggi abbiamo fatto un primo passo avanti. Nel 2020, con un enorme ritardo, un passo stentato, incerto e zoppicante, un pannicello caldo, un contentino, una gentile concessione al "gentil sesso", per usare un gergo maschile e maschilista, che in questo momento si sente davvero poco gentilmente preso in giro.
Molte donne, posso dirlo per appartenenza alla categoria, continueranno a non comprare dei prodotti che non rispondono alle loro esigenze e non funzionano. Nemmeno per qualche euro in meno. Vorrei ricordare a questo proposito che solo pochi mesi fa, di fronte alle dichiarazioni di un deputato del M5S che motivava il mancato abbassamento dell’iva del precedente governo, con un perfetto esercizio di mansplaining (l’odiosa pratica per cui gli uomini spiegano cose alle donne per istruirle) consigliandoci cioè di utilizzare altri supporti igienici, alternativi e meno inquinanti (perfino legittimo, ma lasciateci dire che forse su alcuni argomenti i consigli di voi uomini sono per noi irricevibili!), ci fu una rivolta da parte di molte di noi che provarono a spiegare, per una volta facendo womansplainig verso gli uomini, perché quelle alternative certo più ecologiche ma non inclusive, non erano adatte a tutte le donne, e nemmeno così ecologiche: un assorbente lavabile, per intenderci, va messo in lavatrice, con conseguente dispendio di energia elettrica, detersivo e tempo, totalmente a carico delle donne. Ma anche quella indignazione è stata praticamente resa vana.
Insomma, con un po’ più di coraggio avreste potuto fare qualcosa con un impatto reale sulle nostre vite davvero più significativo e incisivo. Al momento, ammettiamolo, ammettetelo, nessun passo avanti è stato compiuto. E con grande rammarico, per un’occasione sprecata, dico: non abbiamo davvero nulla da festeggiare.
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