Jacopo Orlando

MicroMega

Studente di Lettere e Filosofia all’Università di Bologna

1) Una delle accuse che vengono rivolte dai sostenitori della “riforma” Gelmini (ammesso che di riforma si possa parlare) al movimento di protesta è quella di rappresentare interessi corporativi ed esprimere istanze conservatrici. E’ una critica fondata secondo te? Se si/no perché? Qual è l’idea di scuola e di un’università che questo movimento esprime? Quali sono le direttici di riforma che – se pur confusamente, come non potrebbe essere diversamente visto il carattere multiforme e composito del movimento – questa protesta tende a delineare?

Non credo che sia un movimento corporativistico, chi lo definisce così lo fa per sminuirlo e denigrarlo; il movimento studentesco è nato dall’esigenza degli studenti di difendere la loro istruzione che veniva nuovamente e pesantemente attaccata, non veniamo comandati dai baroni ma lottiamo invece per costruire una università senza baroni. Questa protesta nasce anche dal bisogno di farsi sentire, di prendere parola, di esprimere i nostri bisogni, siamo noi che viviamo l’università, che la mandiamo avanti e invece nessuno ci considera, nessuno ci ascolta, ogni riforma viene fatta discutendo solo con i baroni e i notabili, cioè i peggiori nemici dell’università.
Non credo che il movimento sia in grado allo stato attuale di formulare una riforma, anche a Roma le proposte sono molto generiche e vaghe, questo per il grande tema che vogliamo affrontare, la complessità di un mondo che richiede una maggiore preparazione della nostra e sopratutto una discussione più larga con le parti in causa; per cui credo il movimento debba avere come scopo quella di protestare e dar voce a tutto un mondo sommerso e ignorato, credo che già questo sia una grande cosa.

2) Al di là delle strumentali posizioni sostenute dal governo, è oggettivamente difficile difendere la scuola, ma soprattutto l’università, così come sono oggi. Quest’ultima è il regno della gerontocrazia, dell’immobilismo, del feudalesimo accademico, della totale mancanza di meritocrazia. Quali sono secondo te le linee su cui dovrebbe essere impostata una “riforma organica” del sistema formativo e della ricerca?
Quali provvedimenti concreti si potrebbero adottare per migliorare le cose? Es. diverse regole per i concorsi, per l’assegnazione dei fondi, revisione delle lauree 3+2 e del sistema dei crediti, commissioni internazionali per la ricerca, nuovo sistema per la definizione degli insegnamenti, ecc…

Le proposte da fare sono molte una su tutte sicuramente l’abolizione del 3+2 che ha soltanto complicato il percorso formativo allungando di lunga il periodo universitario; sicuramente si dovrà prendere in considerazione il fatto che tutti i maggiori paesi europei hanno un università gratuita ed invece noi no; sicuramente si dovrà rovesciare il rapporto interno tra i docenti che vede oggi i professori strutturati essere in numero maggiore dei ricercatori semplici, impedendo alcuno stimolo alla ricerca e al miglioramento; si dovranno attuare selezioni libere e aperte in cui la discussione e la scelta dei ricercatori possa venire sotto gli occhi di tutti; attuare un controllo più sistematico del lavoro di ricerca compiuto da tutti i docenti; avere una selezione maggiore degli studenti non all’inizio ma all’interno, con pochi ma buoni esami, lunghi ma che alla fine consentano una migliore preparazione.

3) Vista l’assoluta trasversalità di questo movimento, che riunisce praticamente tutte le figure del variegato sistema formativo italiano (studenti, insegnati, maestre, dottorandi, ricercatori precari, professori di ogni ordine e grado) è possibile che esso trovi la forza e la “maturità politica” per districarsi tra interessi che possono rivelarsi anche molto contrastanti tra loro se posti di fronte a proposte concrete di riforma? Ogni seria riforma – e per essere seria non può che porsi come obiettivo anche quello di rimescolare rapporti di forza consolidati da decenni – tende a toccare interessi molto concreti. Così come si è configurato questo movimento, può fare i conti con queste sfide? Ne è all’altezza? Quali interessi corporativi è disposto a colpire?

Non credo, sono molto scettico su questa cosa. Proprio per la sua genericità non ha compattezza e l’unione per portare avanti obbiettivi e progetti condivisi; è un movimento spontaneo che vive il momento, la protesta, lo scontro ma che col passare del tempo tutto va scemando, la rabbia si raffredda e tutto torna alla normalità. Per andare avanti ci sarebbe bisogno che si trasformasse in una organizzazione, che avesse delle sue strutture, dei dirigenti che portino avanti la protesta, ma a questo punto non avremmo più l’Onda ma un’altra associazione.

4) Il governo – scottato dal crollo dei consensi che la protesta universitaria ha provocato – sembra voler procedere con maggiore prudenza nella riforma dell’università. Dopo una prima fase di straordinaria mobilitazione, riuscirà il movimento a mantenere alta la tensione e il coinvolgimento delle persone? Quali sono gli obiettivi di medio termine che dovrebbe porsi? Come dovrebbe procedere la mobilitazione? Quali idee concrete possono essere messe in campo per proseguire la lotta?

Il Governo ha capito che non gli conveniva continuare nella riforma Gelmini, lo scontro e la lotta non piacevano all’opinione pubblica e il Governo non si poteva mostrare come colui che rovina il futuro ai giovani italiani. Non a caso la parte più consistente dei tagli è avvenuta a luglio in un periodo in cui certamente i pensieri degli studenti non potevano essere catalizzati dalle mosse del governo. Il movimento come ho detto nella risposta 3 farà fatica a strutturarsi e andare avanti sopratutto se il Governo agirà in maniera subdola senza agitare la piazza; poi bisognerà capire chi prenderà in mano il movimento, un esempio: a Bologna la protesta è stata presa in mano dai collettivi e sopratutto dai centri sociali, che si presentavano come strenui difensori dei diritti degli studenti e impedivano a qualsiasi associazione studentesca di prendere parte o partecipare attivamente alla protesta, ora però che la protesta va scemando tutti sono tornati a farsi gli affari propri i collettivi sono scomparsi e i centri sociali sono tornati a fare manifestazioni a favore degli spazi e contro il comune; e i diritti degli studenti che fine faranno?!

5) Si è discusso molto sulla presunta “apoliticità” del movimento. E’ una lettura realistica e soddisfacente secondo te? Secondo te si tratta veramente di un movimento apolitico o forse è più che altro un movimento “apartitico”? Quali aspetti – se ve ne sono – ne determinano la “politicità”? Questo superamento delle tradizionali collocazioni – se c’è stato – ha aiutato il movimento a diffondersi o può essere una sua fonte di debolezza quando dalla protesta si passa alla proposta?

Sono convinto dell’assoluta apartiticità del movimento, una caratteristica che gli ha permesso di crescere e di accogliere un maggior numero di studenti, ma credo che in una fase di evoluzione questa apartiticità verrà vista come un difetto e una negatività. Sono molto pessimista sul futuro dell’Onda.

6) E’ condivisibile che si ricerchi un’intesa anche con organizzazioni studentesche esplicitamente di destra in nome dell’unità della protesta studentesca oppure no? La partecipazione di q
ueste organizzazioni a manifestazioni pubbliche dovrebbe essere incoraggiata, tollerata, oppure concretamente osteggiata?

Il movimento in quanto protesta non credo debba dialogare con coloro che manifestano a favore della riforma e poi con l’aiuto della polizia picchiano altri studenti; io credo che in questo momento non sia proprio opportuno discutere con coloro che si dichiarano ancora Fascisti. In un secondo momento quando si opterà per fare delle proposte condivise e di ampio respiro certo non si potrà non ignorare la voce di coloro che sono comunque studenti.

7) Negli ultimi anni il nostro Paese è stato caratterizzato da una grande diffusione di movimenti (da quello no-global, ai girotondi, al movimento per la pace, alla battaglia sindacale per la difesa dell’articolo 18, alle vertenze territoriali come il No-Tav e No-Dal Molin, ecc.). Colpisce però la discrepanza tra la straordinaria capacità di mobilitazione, di fare “massa critica” anche ad un livello sociale e culturale diffuso, e la scarsissima “capitalizzazione politica” che ne è seguita. Oggi siamo addirittura l’unico Paese europeo a non avere una riconoscibile rappresentanza di sinistra nelle istituzioni rappresentative. Il problema dello “sbocco politico” è un problema che questo grande movimento nato nelle scuole e nelle università si deve porre? Oppure va privilegiata la totale “autonomia” del movimento? Quali rapporti possono essere instaurati con le forze politiche esistenti? E se quelle esistenti non offrono possibilità di un’interlocuzione soddisfacente, può essere utile e realistico porsi l’obiettivo di una organizzazione politica nuova, che superi anche i limiti del “modello partito” tradizionale, o più modestamente di liste elettorali di “società civile”, senza partiti, nelle diverse occasioni?
Insomma, il problema della rappresentanza è un problema che questo movimento – che si definisce “irrappresentabile” – dovrà prima o poi porsi?

Il problema della rappresentanza è un problema che il movimento deve porsi ma allorchè si troverà una soluzione morirà il movimento; il rapporto con i partiti deve esserci ma paritario, un rapporto dialettico che conduca ad una soluzione ai motivi della protesta. In passato troppo spesso i partiti hanno semplicemente cavalcato i movimenti per ottenere un consenso elettorale regalando qualche posto ai capi-movimento che così vedevano ricompensato tutto il lavoro svolto nel movimento. Dobbiamo capire che la forza della protesta sta nella sua indipendenza e unicità, non possiamo essere le pedine di nessuno.

(26 novembre 2008)



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