Jean Ziegler: Chi sta rubando il diritto al cibo
Jean Ziegler è membro della commissione del consiglio consultivo Onu per i diritti umani e relatore speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione
Le cause che hanno scatenato l’attuale crisi della produzione alimentare hanno, per molti versi, generato una violazione del diritto alla nutrizione.
Lo scorso anno, dal febbraio 2007 al febbraio 2008, il prezzo del frumento sul mercato internazionale è cresciuto del 130%, quello del riso del 74%, quello della soia dell’87%, quello del granoturco del 31%. In media, in questo periodo, il prezzo dei prodotti di prima necessità è cresciuto di oltre il 40%. Le cause che hanno scatenato l’attuale crisi della produzione alimentare hanno, per molti versi, generato una violazione del diritto alla nutrizione.
Lo scorso anno, dal febbraio 2007 al febbraio 2008, il prezzo del frumento sul mercato internazionale è cresciuto del 130%, quello del riso del 74%, quello della soia dell’87%, quello del granoturco del 31%. In media, in questo periodo, il prezzo dei prodotti di prima necessità è cresciuto di oltre il 40%.
Ci sono tre importanti aspetti preliminari da considerare. Innanzitutto, paesi forti come l’India, la Cina, l’Egitto e altri sono attualmente in grado di fornire alla loro popolazione gli alimenti di primaria necessità, anche se questo non sarà un processo a lungo termine. Ma la maggior parte dei paesi più poveri non ha la stessa capacità. Haiti consuma in genere annualmente 200 mila tonnellate di farina e 320 mila di riso. Il 100% della farina consumata è d’importazione, e così il 75% del riso. Tra il gennaio del 2007 e il gennaio del 2008 il prezzo della farina a Haiti è salito dell’83% e quello del riso del 69%. Sei dei nove milioni di haitiani vivono in condizioni di estrema povertà. Molti di loro sono ridotti a cibarsi di focacce impastate col fango.
In seconda analisi, gli accordi per l’esportazione prevedono che circa il 90% dei prodotti di prima necessità siano venduti «free on board» (Fob) – con costi di trasporto a spese dell’acquirente. Alcuni, ma solo una minoranza, vengono venduti «Cost, insurance and freight» (Cif) – con costi di trasporto a carico del venditore. Ciò significa che generalmente si deve aggiungere il costo del trasporto al già altissimo prezzo che i prodotti alimentari hanno raggiunto nel mondo, cosa che peggiora la situazione considerato il prezzo del petrolio. Ad esempio molti paesi dell’Africa occidentale come il Mali, il Senegal e altri, importano fino all’80% dei generi alimentari dall’estero, soprattutto il riso dalla Thailandia e dal Vietnam.
Terzo punto, la tragedia incombente dell’aumento dei prezzi acutizza una tragedia già in atto, quella della fame, che nel 2007 ha ucciso sei milioni di bambini al di sotto dei dieci anni. Mentre parliamo delle cause che determinano la nuova crisi dei prodotti alimentari, una crisi già consolidata continua il suo cammino. Le statistiche della World Bank (Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, o Birs) dicono che 2.200 miliardi di persone vivono in condizioni di estrema povertà e che i costi di nutrizione si prendono l’80-90% del reddito familiare. In Europa la proporzione cambia: solo il 10-15% del reddito viene utilizzato a scopo nutrizionale. La situazione dei poveri, molti dei quali vivono nei centri urbani, è dunque questa: per colpa dell’abnorme aumento dei prezzi, essi stanno via via scivolando nell’abisso della fame.
Quali sono le cause principali delle gravi violazioni dei diritti alla nutrizione conseguenti all’aumento dei prezzi? E qual’è la causa di tale aumento? Una delle principali è la speculazione, che avviene soprattutto alla Chicago commodity stock exchange (Borsa delle materie prime agricole di Chicago), dove vengono stabiliti i prezzi di quasi tutti i prodotti alimentari del mondo. Tra il novembre e il dicembre dello scorso anno il mercato finanziario mondiale è crollato e più di mille miliardi di dollari investiti sono andati in fumo. Di conseguenza la maggioranza dei grandi speculatori, come quelli che investivano in hedge funds, hanno finito per investire in options e futures sui prodotti agricoli grezzi e sui generi di prima necessità.
Nel 2000 il volume commerciale dei prodotti agricoli alle varie Borse ammontava approssimativamente a dieci miliardi di dollari. A maggio del 2008 ha raggiunto i 175 miliardi di dollari. Solo nel mese di gennaio 2008, quando è iniziata questa inversione di tendenza, 3 miliardi di nuovi dollari sono stati investiti alla Chicago commodity stock exchange. Tutti i generi di prima necessità sono per lo più controllati da almeno otto grandi multinazionali. La più grande società che commercia grano è la Cargill, nel Minnesota, che l’anno scorso controllava il 25% di tutti i cereali prodotti nel mondo. I profitti della Cargill nel primo trimestre del 2007 hanno raggiunto i 553 milioni di dollari. Nel primo trimestre del 2008 sono arrivati a un miliardo e 300 milioni.
E’ difficile calcolare esattamente quanto la speculazione abbia influito sull’aumento dei prezzi. La World Bank fa una stima che si aggira intorno al 37%. Heiner Flassbeck, Direttore della Divisione strategie globalizzazione e sviluppo dell’Unctad (United nations conference on trade and development), sostiene che questa percentuale si possa tranquillamente raddoppiare. La seconda causa dell’esplosione dei prezzi è la massiccia distruzione di prodotti quali cereali e granoturco, finalizzata alla produzione di bioetanolo e biodiesel (agrocarburanti). Solo nello scorso anno gli Stati Uniti d’America hanno incenerito 138 milioni di tonnellate di granoturco, cioè un terzo della raccolta annuale, per trasformarlo in bioetanolo. E la Comunità europea si sta muovendo nella stessa direzione. John Lipsky, il secondo al vertice del Fondo monetario internazionale, sostiene che l’utilizzo dei prodotti agricoli nella produzione del bioetanolo, in particolar modo il granoturco, sia responsabile dell’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari almeno al 40%.
Ma di questo nefasto aumento non sono certo meno responsabili i programmi di revisione del Fondo monetario mondiale e le politiche della Organizzazione mondiale del commercio. Per molti anni queste organizzazioni hanno dato priorità all’esportazione di prodotti quali cotone, zucchero di canna, caffè, tè, arachidi, e questo ha generato pericolose negligenze di fondo a scapito della «food security», la sicurezza alimentare. Lo scorso anno, ad esempio, il Mali esportava 380mila tonnellate di cotone e importava l’82% dei suoi prodotti alimentari. Questa politica agricola sbagliata imposta ai paesi in via di sviluppo è oggi per gran parte responsabile della catastrofe, poiché le popolazioni interessate non sono in grado di permettersi gli altissimi costi dei generi alimentari.
Detto questo, è evidente che il Consiglio dei diritti umani dell’Onu può farsi avanti e giocare un ruolo essenziale nella soluzione di un problema tanto grave che negli anni a venire non potrà far altro che peggiorare.
Per risolvere la crisi alcuni suggeriscono le seguenti soluzioni:
1. La speculazione va regolata. L’Unctad sostiene che i prezzi dei prodotti di primaria necessità non debbono essere soggetti alle speculazioni di Borsa, ma che andrebbero stabiliti da accordi internazionali fra paesi produttori e paesi consumatori. Il metodo dell’Unctad di regolare tali accordi attraverso buffer stocks (scorte cuscinetto) e stabex (system for the stabilisation of export, fondo di stabilizzazione dei proventi alle esportazioni a favore dei paesi Africa-Caraibi-Pacifico) potrebbe essere una soluzione. La soluzione complementare è quella di riformare drasticamente le regole dei futures e delle options attraverso norme che per
mettano di controllare gli abusi più gravi.
2. Un’altra soluzione al problema sta nel vietare in modo assoluto la trasformazione dei prodotti agricoli in biocarburanti. La facilità di movimento concessa al Nord del mondo dall’uso di centinaia di milioni di automobili non si può far scontare alle popolazioni affamate e prive del più basilare sostentamento solo perché abitano la parte più bassa dello stesso mondo.
3. Le istituzioni di Bretton Woods e l’Organizzazione mondiale per il commercio potrebbero cambiare i parametri della loro politica nell’agricoltura e dare assoluta priorità agli investimenti nei prodotti di prima necessità e nella produzione locale, compresi i sistemi di irrigazione, le infrastrutture, le semenze, i pesticidi eccetera. I lavoratori della terra e i suoi prodotti sono stati trascurati per troppo tempo. La situazione che ha visto gli agricoltori emarginati dai processi di sviluppo e discriminati nei diritti va cambiata al più presto. Le nazioni, le organizzazioni internazionali e le agenzie per lo sviluppo bilaterale devono dare assoluta priorità agli investimenti sui prodotti agricoli primari e sulla produzione locale.
4. C’è poi un problema di coerenza. Molti dei paesi che fanno parte della International covenant on economic, social and cultural rights (Convenzione internazionale dei diritti economici, sociali e culturali) sono anche membri delle istituzioni di Bretton Woods e dell’Organizzazione mondiale per il commercio. Quando i loro rappresentanti votano, nel Consiglio esecutivo del Fondo monetario internazionale e nel Consiglio governativo della Banca mondiale, dovrebbero dare priorità assoluta ai diritti dell’alimentazione e tenere conto dei predetti suggerimenti. E allo scopo di esaminarli a fondo, sarebbe anche utile che il Consiglio stabilisse di dare un mandato al Consultivo della Commissione.
da "Il manifesto" del 30 maggio 2008
(6 giugno 2008)
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