Jorge Moruno (Podemos): “I socialisti scelgano: sono soluzione o parte del problema?”

Giacomo Russo Spena

Intervista a Jorge Moruno, spin doctor di Podemos, sull’impasse politica in Spagna dove le recenti elezioni in Galizia e Paesi Baschi avvicinano un nuovo governo Rajoy: “Ci sarebbero i numeri per un esecutivo progressista, il Psoe deve scegliere tra noi – ovvero il cambiamento – e il proseguimento dell’austerity”. E come arginare l’avanzata xenofoba in Europa? “Il miglior antidoto è il conflitto e la politicizzazione sociale”.

“Ci vuole una battaglia culturale”. Jorge Moruno ne è convinto. Qui il nodo per ripartire. Di Madrid, 33 anni, è sociologo di professione, come tanti dentro Podemos, ma soprattutto è lo ‘spin doctor’ del partito. “Dobbiamo affermare nella società un nuovo immaginario egemone. La comunicazione è uno dei terreni di scontro – spiega –  Il Sistema, coi suoi media, sviscera propaganda e utilizza tattiche di distrazione di massa: per attaccarci parla del nostro rapporto con il Venezuela mentre noi dobbiamo essere bravi a non cadere nelle trappole e fissare il dibattito sui temi reali, sulle sofferenze quotidiane della gente. Podemos ha un senso soltanto se riesce a dare speranza popolare e a cambiare le condizioni materiali di chi sta pagando la crisi economica e morale della Spagna”. 

Va poco in televisione, di rado interviene pubblicamente eppure la stessa genesi del nome Podemos è stata frutto di una chiacchierata tra lui, il leader Pablo Iglesias e l’attuale europarlamentare Miguel Urban. Dietro le quinte, studia le strategie vincenti. Quelle che hanno reso Podemos, in breve tempo, una macchina elettorale e un laboratorio teorico/politico che ha messo in crisi le convinzioni delle sinistre classiche novecentesche.

Messe in un cassetto le ideologie, ha abbracciato la teoria del basso vs alto, 99% vs 1%. La differenza destra/sinistra viene definitivamente archiviata. La sinistra, al massimo, si costruisce quotidianamente sposando programmi e modelli, senza nominarla. La pragmaticità di Podemos. Lo stesso Moruno, in una conversazione rilasciata a Left lo scorso aprile, dichiarava: “L’importante non è recuperare il feticcio della parola sinistra, ma costruire gli strumenti per dare seguito all’indignazione popolare. Cavarsela dicendo: ‘Renzi, Hollande, il Psoe non sono la vera sinistra. Perché la vera sinistra siamo noi’, significa mettersi in una condizione di subalternità. Saremmo “l’ala minoritaria” del Partito socialista. E invece c’è bisogno di patear el tablero (rovesciare il tavolo) e cercare altri contesti, altre frontiere e nuovi linguaggi”.

Jorge è nella segreteria politica del partito, di fatto il braccio destro di Inigo Errejon, grande studioso del postmarxista Ernesto Laclau e numero 2 di Podemos, ora in attrito con Pablo Iglesias per alcune differenze di vedute, tra queste l’alleanza con la sinistra classica di Izquierda Unida. Per Moruno si devono trovare collegamenti comuni tra i deboli della società, la vera alleanza è con i cittadini: “Al di là di destra e sinistra, la maggioranza delle persone, ad esempio, sono a favore della salute o dell’istruzione pubblica. Il cambiamento passa per gli elementi comuni e trasversali presenti nella società”.

Da quasi un anno il Paese iberico vive un’impasse politica di cui non si vede la fine: numeri alla mano, lo storico bipartitismo è in crisi ma regge ancora. Dopo la bocciatura in Parlamento di Mariano Rajoy, leader di un partito colpito da continui scandali di corruzione, c’è tempo fino al 31 ottobre per sbloccare la situazione. Le recenti elezioni in Galizia e Paesi Baschi rafforzano sicuramente il Pp e avvicinano l’opzione di un nuovo governo conservatore. Come andrà a finire?

In campo ci sono due ipotesi: o un governo del Partito Popular con l’appoggio esterno di Ciudadanos e l’astensione del Psoe o un governo progressista e del “cambio”. Ma qui dipende tutto dalle scelte politiche del Psoe. In sintesi, Pedro Sanchez deve trovare il coraggio di formare un esecutivo che si opponga alle politiche di austerità sostenute finora anche dai socialisti. Un’inversione di tendenza per creare un governo alternativo che avrebbe i numeri grazie a Podemos e alle forze indipendentiste, catalane e basche, che non vogliono un nuovo governo Rojoy.

Quindi sulla falsa riga dell’esecutivo portoghese, Podemos propone un governo progressista insieme al Psoe, il quale però è spaccato al suo interno. Pedro Sanchez – uscito sconfitto dalle elezioni in Galizia e Paesi Baschi – è contro il sostegno al Pp, altri (come la governatrice dell’Andalusia Susana Diaz) aprono all’idea di larghe intese o di appoggio esterno a Rajoy…

Pedro Sanchez deve affrontare una parte del suo partito, dove alcuni dirigenti contrastano apertamente tale ipotesi e spingono invece verso una sorta di larghe intese col Pp, come chiede la stessa Europa. Spero Sanchez capisca che questa volta ci sono i numeri per un segnale di discontinuità e per iniziare a risolvere i problemi della Spagna, in primis il tema della disuguaglianza. C’è tempo fino al 31 ottobre.

È veramente possibile, secondo lei, trovare un’intesa con i socialisti? Non è illusorio? La socialdemocrazia in Europa non è ormai morta quando sinistra e destra hanno entrambe adottato le medesime politiche di austerity?

Il dibattito sulla buona o cattiva salute della socialdemocrazia europea, come la diatriba sui diversi significati assunti nel corso della storia dalla stessa parola “socialdemocrazia”, sono interessanti. Ma non decisivi. Mi spiego meglio. In questa fase l’elemento fondamentale è segnare una linea di confine per la difesa della democrazia e dei diritti umani contro i diktat finanziari e quindi, di conseguenza, le politiche del rigore, i tagli draconiani al welfare e le privatizzazioni. Oggi bisogna difendere l’Europa dai suoi stessi leader, dalle banche e dalle agenzie di rating. Già questo appare uno slogan rivoluzionario. Un programma minimo per un reale cambiamento. Il Psoe ci sta?

Podemos non teme un ritorno alle urne? Il vostro è un voto di protesta e di cambiamento, l’elettorato – meno motivato – vedendo che Podemos non ha i numeri per governare, non rischia di rifugiarsi nell’astensionismo o in altri partiti?

Penso sia frettoloso parlare di ritorno alle urne perché, come dicevo, c’è tempo per evitare nuove elezioni e per cambiare l’attuale panorama politico. La gente è stanca di questa impasse e Podemos si sta impegnando per trovare una nuova maggioranza di governo: abbiamo il dovere di rilanciare il tema della democrazia in Spagna aprendo spazi di discussione, partecipazione e decisione popolare.

Intanto i dati sull’economia spagnola sembrano buoni, se non ottimi: i mercati non hanno castigato ancora il Paese iberico per l’assenza di un esecutivo. Come mai?

L’economia spagnola è cresciuta sostanzialmente per tre motivi: il prezzo del petrolio a buon mercato, il gettito del Quantitative Easing promosso dalla BCE e, infine, il rallentamento dei tagli adottato – per fini di consenso elettorale dal Pp – dal 2015 ad oggi. Ma non c’è stato nessun investimento in politiche pubbliche o un piano di modernizzazione del tessuto produttivo. Rajoy, per ultimo, ha effettuato una riforma fiscale che tutela i soliti ricchi e fa pagare più tasse ai redditi medio/bassi. Se il Pp continua a governare il Paese, tor
neranno le politiche di austerity, il che significa soffocare l’economia e recessione, cioè impoverimento generale.

In Europa soffia un vento populista e xenofobo. Anni di austerity stanno producendo, come reazione, il ritorno dei nazionalismi e la costruzione di nuovi muri contro i migranti. Teme un’uscita a destra dalla crisi o è convinto sia un vento passeggero? Insomma, c’è il rischio reale di un nuovo fascismo in Europa?

È un grande errore politico regalare all’estrema destra concetti come appartenenza, comunità o sovranità popolare, non c’è più nulla che genera coesione nella società. Così penso che sia un errore disprezzare gli elettori della Brexit ed etichettarli come semplici zotici incapaci di ammirare le virtù della globalizzazione. Il fascismo rispetto agli anni ‘30 è sicuramente diverso, non parliamo più di una discriminazione biologica contro ebrei o gay, ma avanza prepotentemente nell’Europa dell’austerity e ora il confine dell’esclusione è contro l’Islam e i migranti. Si paventano invasioni e si foraggiano guerre tra poveri, invece di organizzare il basso contro l’alto. Una risposta xenofoba alla crisi che è strumentale e comoda al Sistema.

Come arginare allora l’avanzata populista?

I migliori antidoti sono il conflitto e la politicizzazione sociale. In Spagna è avvenuto col movimento degli Indignados, si è riusciti a politicizzare la crisi economica e morale del Paese. Podemos non avrebbe potuto esistere se gli Indignados non avessero dato una scossa alla popolazione. Mi ricordo un articolo scritto da Marco Revelli nel 2013 dal titolo "Il popolo invisibile dei nuovi poveri”. È da qui che bisogna ripartire.

(28 settembre 2016)



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