L’emergenza sanitaria è stata davvero affrontata nel migliore dei modi?
Walter Leszl
Ora che, sperabilmente, ne stiamo uscendo gradualmente c’è posto per qualche riflessione su come l’emergenza sanitaria è stata affrontata. Il mio contributo è da normale osservatore, non da scienziato o esperto in materia, ma prendendo lo spunto dal libro, appena pubblicato, di Richard Horton, The Covid-19 Catastrophe: What’s Gone Wrong and How to Stop It Happening Again, ed. Polity Press. L’autore è direttore della rivista britannica “The Lancet” (ben noto settimanale scientifico di ambito medico), dunque è sicuramente uno dei massimi esperti in materia, ma quanto ha da scrivere dovrebbe interessare il pubblico in generale. Il mio intento è simile a quello dell’autore del libro: mi domando, certamente facendo uso del senno di poi, se certi errori piuttosto macroscopici che sono stati commessi di fronte al rapido diffondersi dell’epidemia potevano essere evitati, così da trarre qualche lezione per il futuro. Quanto più lo sguardo è impietoso e scevro da intenti apologetici tanto più può essere di aiuto. Non si tratta qui di ipotizzare che un altro governo, di altro orientamento, avrebbe fatto meglio (o meno peggio, come preferirei dire). Non voglio però pretendere di essere un osservatore così distaccato da pervenire a totale neutralità: da alcuni cenni fatti nel seguito dovrebbe essere chiaro che io tendo ad escludere che un governo di destra avrebbe fatto meglio (o meno peggio).
Parto da un’ovvia considerazione: se avviene qualche grave incidente, per esempio se cade un aereo con un centinaio o più persone a bordo e queste periscono tutte o nella maggior parte, la cosa ha una forte risonanza e suscita grande emozione, e subito viene istituita una qualche commissione di inchiesta per accertare le cause del disastro, a partire dalla possibilità che sia identificabile qualche precisa responsabilità umana. Nel caso della pandemia provocata dal corona virus siamo di fronte ad un disastro di ben altra entità, siamo di fronte ad una vera catastrofe, come giustamente la chiama Horton, eppure le reazioni non sono le stesse. Il numero dei morti, anche con limitazione all’Italia, è di gran lunga superiore (e probabilmente le cifre ufficiali sono sottostimate) e anche coloro che sono stati colpiti dalla malattia e sono sopravvissuti probabilmente ne porteranno i segni per il resto della loro vita. Eppure, di fronte a così tanti morti e a così grandi sofferenze, si crea una sorta di sentimento di assuefazione, unita ad una fatalistica rassegnazione. Il paragone con la guerra è pertinente da questo punto di vista, perché anche in quella circostanza ci si abitua ad accettare come se fosse normale che una parte significativa della popolazione muoia prima del tempo e altri rimangano feriti con danni spesso irreversibili. Eppure anche in guerra c’è differenza fra il generale che manda i suoi uomini allo sbaraglio per conquistare un obbiettivo militarmente trascurabile e chi cerca di evitare uno spreco di vite umane. Una volta che l’Italia era stata investita dal contagio da Covid 19, sicuramente un’alta mortalità era inevitabile, ma siamo sicuri che i nostri governanti hanno agito come il generale che fa di tutto per evitare uno spreco di vite umane? Il fatalismo di cui ho detto porta proprio ad assumere questo, ma non c’è niente di pacifico in quest’assunto. E, contrariamente al caso dell’incidente aereo, nessuno avanza la proposta di una commissione di inchiesta – che presumibilmente dovrebbe essere una commissione di inchiesta parlamentare – per accertare se è stato fatto tutto il possibile per contenere il disastro. Si può naturalmente essere scettici sui risultati che una tale commissione potrebbe ottenere, ma istituirla sarebbe almeno il riconoscimento che qualcosa è andato storto e che bisogna prendere delle misure per evitare che ciò si ripeta. (Anche l’opposizione attualmente si agita molto per come viene affrontata l’emergenza economica, peraltro senza indicare da quale forziere nascosto trarre tutti i dobloni che ci vorrebbero, ma è quasi del tutto silente riguardo al modo in cui è stata affrontata l’emergenza sanitaria. L’unica inchiesta di cui si parla è notoriamente quella giudiziaria concernente la bergamasca.)
C’è la convinzione largamente diffusa che Conte e il suo governo hanno affrontato l’emergenza sanitaria nel migliore dei modi possibili, a tenere conto delle circostanze concrete in cui si sono trovati ad operare, cioè, in primo luogo, in una condizione di notevole ignoranza circa la natura del male e il modo migliore per affrontarlo, anche perché l’Italia è stata la prima, fra i paesi non asiatici, ad essere investita dalla pandemia. Ma come viene giustificata questa convinzione, a prescindere per il momento dal riferimento a quelle circostanze? Solitamente facendo dei confronti con gli altri paesi europei e americani che sono stati ugualmente investiti dalla pandemia. Che, facendo questi confronti, l’Italia governata da Conte non sfiguri, è indubbiamente vero, ma c’è davvero motivo di compiacimento? Se si passa in rassegna i comportamenti di questi altri governanti, si incontra una sfilza di errori e di orrori. Per esempio il presidente Macron, che si è formato nelle migliori scuole francesi, invece di preoccuparsi per quanto stava succedendo in Italia, ha fatto la castroneria (non trovo parola più adatta) di non annullare le elezioni amministrative in Francia, per poi essere comunque costretto ad annullarne il secondo turno. L’inglese Johnson, anch’egli formatosi nelle migliori scuole inglesi, ha brillato con il suggerimento che bisognava rassegnarsi ad un alto numero di morti, finché non fosse stata raggiunta l’immunità di gregge, per poi ripensarci quando il virus gli ha fatto capire che anche lui poteva finire nel regno dei defunti. (Horton suppone che il ritardo di Johnson sul lockdown possa essere costato almeno la metà delle vittime totali nel Regno Unito.) Nel caso del presidente Trump, che certo non ha avuto la stessa formazione, c’è solo l’imbarazzo della scelta fra gli spropositi da lui detti e fatti (a cominciare dalla pretesa di avere scoperto lui dei rimedi per rendersi immuni dal virus). In un quadro del genere, che potremmo dire di coglioneria generalizzata, non ci voleva molto per evitare di sfigurare, ma questo non prova che si è fatto bene. E come se una madre, constatato che suo figlio, in una classe di asini, non è il peggiore, si convincesse che è un bravo studente. (Ovviamente non ritengo che un Salvini, il quale non aveva niente di meglio da proporre che aprire le chiese per pregare alla Madonna, se la sarebbe cavata meglio. Anche la proposta di nuovi condoni fiscali non è proprio ciò di cui abbiamo più bisogno.)
C’è da domandarsi perché sia avvenuto tutto questo, ad escludere, come vedremo, che il difetto di conoscenza fosse così grave da renderlo inevitabile. Un errore a mio avviso è stato di vuota presunzione: in Italia ci si è detto che quello che stava succedendo in Cina (e che si stava estendendo ad altri paesi asiatici) non poteva succedere da noi. Quando è successo, i vari Macron, Sanchez, Johnson, Trump si sono detti: quello che sta succedendo in Italia, non può succedere da noi. E invece è successo! Si può speculare su ciò che stava dietro tanta presunzione, se fiducia nel proprio sistema sanitario o semplicemente fiducia nello stellone,[1] ma fatto sta che tutti si sono fatti trovare in una condizione di terribile impreparazione. (Può essere maligno da parte mia, ma ricordo che, nella fase iniziale,
Conte in un’intervista televisiva ci aveva rassicurato sostenendo che eravamo ben preparati ad affrontare l’emergenza.) Si è poi esitato a prendere i provvedimenti necessari perché questi hanno dei costi molto elevati, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello psicologico (a certe restrizioni come quella di stare chiusi in casa non tutti si adattano facilmente, inoltre i bambini possono soffrirne ancora più degli adulti). Si cercava di eludere il fatto che, a rinviare, la situazione non poteva che peggiorare e che alla fine anche questi costi sarebbero stati ancora più elevati. È un po’ la situazione del chirurgo che, di fronte ad un caso di cancrena, esita a compiere l’amputazione, sperando che si fermi spontaneamente, e alla fine deve amputare molto di più, e possibilmente quando per il malato è troppo tardi. Insomma, sono all’opera certi meccanismi psicologici abbastanza naturali, ma che riflettono un certo difetto di coraggio e di lucidità intellettuale.
Il libro di Horton chiarisce, in modo credo inoppugnabile, che non era inevitabile che ci fossero tutte le vittime che effettivamente ci sono state, e che molte di esse (come nel caso citato del Regno Unito) sono dipese dalle decisioni (o indecisioni) dei governanti. La scusa dell’ignoranza che solitamente viene addotta è solo in parte valida, c’è stata piuttosto negligenza. In data 30 gennaio l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS, in inglese WHO) aveva dichiarato l’esistenza di un’emergenza sanitaria di interesse internazionale (Public Health Emergency of International Concern), che è il massimo allarme che essa può lanciare, sicché i governi avrebbero dovuto mettersi sull’avviso. Nei fascicoli del 24 e del 31 gennaio della rivista “The Lancet” diretta da Horton erano apparsi degli studi condotti da medici e scienziati cinesi e di Hong Kong (basati inizialmente sulla considerazione di 41 casi, cui se ne aggiunsero altri 99) che evidenziavano la natura e gravità della malattia (alta mortalità dovuta a grave polmonite atipica) e la sua facile trasmissibilità da persona a persona. Già allora veniva segnalato il rischio di una pandemia. Andando più avanti nel tempo, c’è il rapporto (pubblicato il 24 febbraio) redatto per l’OMS da medici andati in Cina per accertarsi della situazione,[2] il quale, oltre a contenere informazioni sulla malattia e sulla sua diffusione, contiene indicazioni su come combatterla.[3] C’è poi il precedente di varie altre epidemie o pandemie (come la SARS, la MERS e il HIV) di cui si sarebbe dovuto tenere conto. Non è vero dunque che si fosse presi del tutto alla sprovvista e che non si sapesse che in casi del genere, in mancanza di un vaccino e di rimedi sperimentati, si deve ricorrere a espedienti come la quarantena e il lockdown.
Si potrebbe obbiettare, a questo punto, che tutto questo è vero, ma che non ci si può aspettare dai governanti di abbonarsi a “The Lancet” e studiarsi gli articoli che compaiono sulla rivista. Essi si basano ovviamente sul parere degli esperti, e sono essi dunque che dovrebbero metterli sull’avviso e dirgli come provvedere. Horton ha ben presente questo fatto, e lo considera con riferimento alla situazione che conosce meglio, quella del Regno Unito. Il giudizio che egli esprime sugli esperti che fungono da consulenti dei governanti inglesi è molto severo. (Nel cap. 3 del libro parla di un sistema che è corrotto, per abuso di potere, e collusivo, per lo stretto rapporto che si stabilisce fra scienziati e uomini politici.) È abbastanza chiaro che egli ritiene che questi esperti non sono scienziati del tutto indipendenti, che esprimono pareri esclusivamente secondo scienza e coscienza, perché sono troppo preoccupati di evitare di dire verità che siano troppo sgradite ai governanti che li hanno ingaggiati. Insomma, i governanti tendono a scegliere gli esperti che si mostrano più accomodanti, quelli che evitano di mordere la mano che li nutre. Non c’è ragione per credere che la situazione sia migliore in Italia, e cioè che il governo Conte avesse scelto gli esperti da consultare per puro merito scientifico e per dimostrata indipendenza di giudizio (semmai questo governo si è distinto per ricorrere ad una vera pletora di esperti).[4]
A questo punto c’è da domandarsi, con riferimento alla situazione italiana, se sono stati commessi degli errori che potevano essere evitati, provocando così un danno maggiore. Noi non sappiamo esattamente quando il morbo ha cominciato a diffondersi in Italia e se è stato diffuso da persone che provenivano dalla Cina. Resta però il fatto che non è stata una misura molto accorta quella di sospendere i voli diretti dalla Cina senza preoccuparsi dei passeggeri provenienti dalla stessa facendo uno scalo intermedio. In secondo luogo, la misura di lockdown generalizzato è stata certamente opportuna, ma tardiva. (Nell’intervista da lui concessa al corrispondente di “la Repubblica” apparsa giovedì 18, all’osservazione di questi che l’Italia aveva esitato almeno una settimana prima di procedere al lockdown, seguita dalla domanda: “Quante vite si sarebbero potute salvare?”, Horton risponde: “Diverse migliaia o anche di più. Questo è un virus con contagi esponenziali. Un ‘lockdown’ anticipato di una o due settimane può significare fino al 50% di vittime in meno.” In questa connessione viene lodata, come avviene anche nel libro, la premier Ardern della Nuova Zelanda, che aveva ordinato il ‘lockdown’ quando c’erano ancora pochi casi.) Questa misura di lockdown poi non è stata accompagnata immediatamente dalla proibizione rigorosa (salvo casi eccezionali) di spostarsi da un luogo ad un altro, così facilitando la diffusione dell’epidemia nell’intero paese. (Per esempio in Toscana l’epidemia è stata diffusa, almeno in parte, dai proprietari di seconde case che si erano trasferiti in fretta dalla Lombardia.) C’è infine la vicenda della mancata chiusura dei comuni di Alzano Lombardo e Nembro su cui sta indagando la magistratura e su cui continua ad esserci una certa confusione.
Quello che è sicuro, prima di tutto (questo punto è stato chiarito dal costituzionalista Michele Ainis in suo articolo apparso su “la Repubblica”) è che avevano il potere di chiudere la zona sia il governo centrale sia quello regionale sia ancora i sindaci di quei comuni. (Per qualche tempo il governo si è difeso da critiche affermando che anche la regione aveva quel potere, ma questo confermava implicitamente che pure il governo lo aveva.) C’è però la complicazione che i militari per presidiare la zona dichiarata rossa li può mandare solo il governo, sicché regione e comuni possono agire solo con il suo appoggio. Nel caso del lodigiano ci fu un’intesa fra governo centrale e governo regionale, e questa è ovviamente la situazione migliore. Questa intesa venne meno nel caso di quei comuni. Si può discutere del perché, ma fatto sta che il governo centrale, se quello regionale si mostra poco collaborativo, non può limitarsi a dire che Fontana e Gallera si comportano da fessi (cosa indubbiamente vera), ma deve intervenire perché si tratta di una questione di interesse nazionale e non solo regionale. E in effetti Conte, di fronte al magistrato che conduce l’inchiesta, si è presa l’intera responsabilità di quanto fatto e non fatto. Ma cos’è che è avvenuto? Il t
re marzo il Comitato tecnico-scientifico aveva avvertito Conte che bisognava chiudere la zona. Già questo allarme pare essere stato tardivo, perché diversi casi si erano presentati alla fine di febbraio. A sua volta Conte, invece di intervenire immediatamente, come avrebbe dovuto, quando ogni giorno di ritardo è deleterio, prima tergiversa, poi, il cinque marzo, manda i militari per presidiare la zona (da dichiarare zona rossa), poi ci ripensa e li ritira. Peggio di così non si poteva fare. A quanto pare egli si sarebbe giustificato asserendo che il blocco di quella zona era stato reso superfluo dalla misura ‘più radicale’ della chiusura dell’intera Lombardia (è il lockdown di questa regione che precedette quello nazionale). Dire questo è equivocare: più radicale nel senso dell’estensione non è più radicale nel senso dell’intensità. E’ evidente che, anche a prescindere dall’errore sopra indicato (mancata immediata proibizione di spostarsi da un luogo ad un altro), non si può chiudere quasi ermeticamente (mediante i militari e le forze di polizia) una regione come si può chiudere un territorio limitato. Spiace che il premier, invece di ammettere onestamente che il suo governo era finito in confusione e rammaricarsi per i morti, asserisca che rifarebbe tutto come allora.
Lascio perdere certe altre critiche, come quelle, inevitabili in Italia, sull’eccessiva farraginosità dei provvedimenti, che nessun normale cittadino potrebbe comprendere (per fortuna i giornali ne riassumevano il senso generale). Sul piano organizzativo, ci sono disfunzioni che vengono da lontano e che dipendono in larga misura dal fatto (come sottolineato di diversi osservatori) che il privato è stato incentivato a danno del pubblico e la medicina ospedaliera a danno di quella sul territorio. Inoltre pare proprio che il sistema ospedaliero nel suo complesso non sia molto attrezzato ad affrontare le epidemie. Un certo rischio di incorrere in qualche infezione c’è sempre in un ricovero ospedaliero, ma esso è così modesto, e le infezioni di solito non sono così gravi, da essere un fenomeno di cui ci si preoccupi particolarmente. Già questa può essere una sottovalutazione, ma in ogni caso questa pandemia ha reso evidente che il rischio può essere serio e che i reparti dei ricoverati infettivi vanno tenuti ben separati dagli altri. Fin qui si tratta di problemi di vasto raggio di cui si dovranno occupare gli esperti.
Ci sono però aspetti organizzativi concernenti la reazione alla pandemia che andrebbero chiariti. Si ha avuto l’impressione che alcuni esperti governativi esprimessero dubbi sull’utilità delle mascherine per dissimulare il fatto che queste non erano disponibili (ricordo che Borrelli diede il buon esempio dichiarando che la mascherina lui non la usava). Si è scoperto che per la loro fornitura non solo l’Italia ma tutti i paesi europei dipendono dalla Cina, donde tentativi di accaparrarsele. Molti medici e altro personale sanitario sono stati mandati allo sbaraglio senza mascherine e altri dispositivi di protezione, con conseguente alta mortalità. E’ possibile che non ci fosse il modo per indurre alcune delle tante ditte che ci sono in Italia nel campo del tessile a provvedere tempestivamente con la produzione di questo materiale? La responsabilità per queste deficienze deve essere non solo del governo centrale ma anche delle singole regioni, alcune delle quali poi hanno delle colpe per quanto è successo nelle case di riposo per anziani. La cacofonia che c’è stata suggerisce che il rapporto fra Stato e regioni vada ripensato, ma non con la soluzione semplice (propria della riforma costituzionale proposta da Renzi) di tornare al centralismo, perché qualche governatore (per esempio il leghista non salviniano Zaia) ha fatto meglio di Conte e qualche altro governatore (per esempio il leghista salviniano Fontana, con il sostegno, si fa per dire, dell’assessore Gallera) ha fatto peggio. Non posso però trattenermi dall’osservare che la celebrata app Immuni sta arrivando a babbo (quasi) morto, e che l’incentivo offerto all’acquisto di un mezzo di locomozione così pericoloso per chi lo usa come per altri come il monopattino è deprecabile.
Osservo ulteriormente che l’appello che è stato fatto al senso di responsabilità dei singoli cittadini e che nel complesso ha ottenuto una buona risposta (l’italiano medio è meglio della sua fama) presenta una seria limitazione: sono state adottate delle restrizioni generali per categoria di attività, ammettendo per esempio tutte quelle che hanno a che fare con l’alimentazione, la sanità, le tabaccherie, ed escludendo (almeno inizialmente) la possibilità di rifornirsi di quaderni e matite, orologi, profumi, invece di rimettersi al giudizio dei singoli circa la possibilità o meno di rispettare certi parametri di sicurezza nell’ambito della propria attività (salvo ovviamente sanzionare abbastanza severamente gli abusi). Insomma, la responsabilità stava nell’ubbidire a certe direttive (talvolta piuttosto arbitrarie) che venivano dall’alto piuttosto che nel poter fare uso della propria capacità di giudizio. Credo che Kant classificherebbe questo modo di governare come paternalistico. La riluttanza dei governanti a prendere le misure drastiche necessarie sicuramente dipende in larga misura dal timore di andare incontro all’impopolarità – timore tipico di chi scruta nervosamente i sondaggi di opinione. Inoltre i governanti tendono a minimizzare per timore di seminare il panico, e naturalmente quelle misure non possono essere tenute nascoste, con l’esito però di creare un clima di sfiducia e di sospetto. Eppure, se la necessità di quelle misure fosse stata spiegata con chiarezza didattica, è probabile che la maggior parte dei cittadini avrebbe capito, mostrando sufficiente intelligenza e senso di responsabilità. Pare che, da questo punto di vista, Angela Merkel (che ha una formazione scientifica) abbia fatto meglio di altri governanti e che questa sia una delle ragioni per cui la Germania se l’è cavata meglio di altri paesi.[5] Per il resto, in una situazione in cui la scienza può offrire un aiuto molto limitato, sicché ogni decisione comporta dei rischi e degli inconvenienti, aggrapparsi al parere degli esperti è cercare di eludere il fatto che dal governante ci si aspetta una certa dose di coraggio e di buon senso.
Infine qualche osservazione più generale. Horton ritiene che la decisione di Trump di porre fine ai finanziamenti americani all’Organizzazione Mondiale della Sanità sia da condannare, come una sorta di crimine contro l’umanità. Egli invero sottolinea la tempestività con cui è venuta l’allerta generale da parte dell’organizzazione,[6] ma non si sofferma sul fatto che da essa sono venuti anche messaggi sui comportamenti da adottare ecc. che non sempre sono stati perspicui, sicché forse qualche domanda sul suo funzionamento può essere posta. (Per esempio la proposta del Crisanti di fare tanti tamponi per identificare gli asintomatici non aveva il favore né degli esperti governativi nazionali né di quelli dell’Organizzazione.) Naturalmente non si tratta di dare ragione a Trump, perché Horton ha ragione nel sostenere che questa pandemia ha mostrato quanto importante sia la cooperazione internazionale. Molti scienziati e medici (come egli sempre sottolinea) hanno fatto e stanno facendo un buon lavoro per gettare luce sulla malattia e sul virus che la causa, come sui mezzi per combatterla, e lo scambio di informazioni senza re
strizioni è fondamentale. Per certi versi è stata proprio la tendenza di ogni governo (con i suoi esperti) a ripiegarsi sul proprio caso nazionale ad aggravare la situazione. I ritardi della scienza di fronte ad un fenomeno così nuovo sono inevitabili: si procede per tentativi ed errori. Va ricordato che in passato di fronte a certe pandemie (come la cosiddetta spagnola alla fine della prima guerra mondiale) si era praticamente impotenti, con milioni di morti.
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Sono indotto ad aggiungere conclusivamente che ormai sono pochi coloro che, quando si verifica un fenomeno del genere, sono indotti a farlo risalire ad una punizione divina oppure all’azione di malefici untori oppure ancora all’influsso delle stelle: della scienza non si può comunque fare a meno, ma come ogni impresa umana essa è imperfetta. La fiducia nella scienza (e nella tecnica che da essa dipende) è ormai abbastanza diffusa da mettere fuori gioco certe credenze, ma questo non vuole dire che una vera cultura scientifica sia anch’essa molto diffusa. Prevale (a cominciare dalla scuola) una cultura di tipo letterario che, entro certi limiti, è indispensabile e valida, ma che in effetti, per come viene comunicata, non è affatto neutrale ma fortemente imbevuta di spiritualismo antiscientifico. Ci si stupisce per il fatto che certe malattie possono provenire da animali come i pipistrelli, come se l’uomo non facesse parte del mondo animale. Esprimo il sospetto che certe inadeguatezze nella risposta che c’è stata all’emergenza sanitaria abbiano una radice nell’assenza di cultura scientifica dei nostri governanti.
[1] Horton, parlando dell’atteggiamento del governo inglese e dei suoi esperti, afferma: “It displayed a very British characteristic: the arrogance of exceptionalism.” (Op. cit., cap. 3, p. 58.)
[2] Report of the WHO-China Joint Mission on Coronavirus Disease 2019 (Covid-19).
[3] Le recommendations, al punto 2, suggeriscono: “prioritize active, exhaustive case finding and immediate testing and isolation, painstaking contact tracing and rigorous quarantine of close contacts”; al punto 5 prospettano altre misure come il lockdown e la chiusura delle scuole.
[4] In un’intervista concessa da Luca Ricolfi l’1 giugno questi asserisce che una ragione per cui la pandemia ci ha trovato impreparati “è che la politica ha deciso di costituire comitati tecnico-scientifici scegliendo in base al livello della carica ricoperta (manager e burocrati della sanità) e non in base alla competenza: se avessero fatto gestire l’epidemia ad Andrea Crisanti, la chiusura totale sarebbe partita due settimane prima, il modello veneto (tamponi di massa) sarebbe stato incoraggiato anziché stigmatizzato, e avremmo avuto (almeno) diecimila morti in meno.” (Per questo e altri suoi interventi critici riguardo il modo in cui è stata affrontata l’emergenza sanitaria vedi sito della Fondazione Hume. Non sono in grado di dire se egli ha del tutto ragione nel ritenere che la consulenza di Crisanti avrebbe permesso di evitare certi gravi errori.)
[5] Altre ragioni, che sono addotte da Horton: avrebbe cominciato presto ad identificare gli infetti facendo test e isolandoli; il suo sistema sanitario è meglio attrezzato di quello degli altri paesi.
[6] Va tenuto presente che essa si basa sulle informazioni che vengono dai singoli paesi (non c’è comunque ragione per credere che abbia intenzionalmente coperto i ritardi della Cina).
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