L’Estensione di Anvur-Invalsi alla Legge di H.L. Mencken

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di Nunzio La Fauci

È a tutti nota la legge che Arthur Bloch pose sotto il nome di H.L. Mencken, nel celebre libretto "La legge di Murphy e altri motivi per cui le cose vanno a rovescio!". “Chi sa fare fa. Chi non sa fare insegna”, dice tale legge, cogliendo una circostanza forse osservata da molto tempo ma prima mai formulata in modo tanto chiaro, almeno a conoscenza di chi scrive queste righe.

La legge sorge da un’osservazione del mondo pacifica e regolare. Sopra ogni attività umana, cresce una didattica. Ciò accade – e la circostanza è appunto esemplare – persino quando si tratta dell’insegnamento medesimo. Come è concettualmente lecito e si vuole che qui sia particolarmente il caso di studio, anche l’insegnamento può infatti essere considerato un’attività umana di base. Ebbene, a dimostrazione che la superfetazione è incoercibile, anche sull’insegnamento è cresciuta, come si sa, una didattica specifica e, da gran tempo, c’è chi insegna a insegnare.

D’elezione, la didattica è affidata a chi, pur mostrando interesse per l’attività di base, non vi si rivela particolarmente versato: in effetti, se avesse un talento specifico, se sapesse fare, semplicemente farebbe. La circostanza, solo in apparenza paradossale, è al contrario pienamente ragionevole. Osservarla consente collateralmente di mettere a fuoco un tratto dell’organizzazione della società umana di norma trascurato. Se n’è già appunto fatto cenno. Oltre al talento positivo di saper fare, oltre al talento con valore oppositivo marcato, esiste e va tenuto nel dovuto conto anche un talento con valore oppositivo non-marcato, un talento per sottrazione: il talento di occuparsi (anche accanitamente, anzi, di norma accanitamente) di qualcosa senza saperla fare.

Sempre secondo Bloch, la Legge di Mencken va d’altra parte integrata con un’estensione, altrettanto pacifica, a un’osservazione obiettiva del mondo. È l’Estensione di Martin: “Chi non sa insegnare amministra”. Anche qui la circostanza è lampante, soprattutto a partire dal tempo in cui con l’Evo moderno, sotto pretesa di sempre crescente efficienza e millantando spudoratamente per gli esseri umani un correlato tasso di sempre maggiore libertà, la vita sociale è stata organizzata in modo sempre più rigoroso (ci si trattiene dallo scrivere apertamente carcerario, come pure a qualche noto analista critico è venuto fatto, or sono già parecchi decenni, di affermare).

Come neoformazione, sopra pratica e didattica della pratica è infatti cresciuta l’amministrazione di pratica e didattica della pratica. Con l’avvento dell’amministrazione, fattore di natura eminentemente politico-burocratica, la messa a frutto dei talenti per sottrazione ha avuto un ulteriore e spettacolare sviluppo. L’amministratore perfetto è infatti chi non solo non mostra un talento nel fare, ma non lo mostra nemmeno nell’insegnare.

La situazione materiale del mondo è tuttavia in continua evoluzione. Non lo è di meno la morale della vita civile e associata. Alla già sofisticata ideologia moderna era parso a suo modo compiuto, lungo un paio di secoli, l’organismo di amministrazioni destinate a soprintendere alla pratica e alla sua didattica, ivi incluse, come si è detto, la pratica stessa dell’insegnamento e, qui si aggiunge, quella della ricerca, qualificata come scientifica, sempre secondo la terminologia moderna. Se ci si pensa, una formulazione siffatta riassume grosso modo la storia delle istituzioni (pubbliche) destinate singolarmente alla prima attività (scuola) o ad ambedue in combinazione (università). Una storia inclusa per intero negli ultimi secoli.
Dopo avere raggiunto la sua (spaventevole) maturazione, lo spirito moderno si è tuttavia avviato verso la putrefazione, ineluttabilmente e non da ieri. Ciò che fino a qualche tempo fa era parso appunto compiuto ha prima lentamente, poi precipitosamente smesso di apparire tale. Sul complesso che ha come nucleo un’attività, rivestita da una didattica, rivestita a sua volta da un’amministrazione, si è così prodotta, si direbbe di necessità, un’escrescenza ulteriore: la valutazione.
Tumida neoformazione che copre allo stato tutto il resto, la valutazione è oggi rilevante più d’ogni altro livello dell’attività umana. Per meritare d’esistere e per avere qualsivoglia valore sociale, ciò che si fa, che s’insegna, che s’amministra, necessita di una valutazione. Nulla è, senza valutazione. A dimostrare la natura squisitamente ideologica del fenomeno, basta osservare come, già nelle pratiche più banali della vita quotidiana, la valutazione sia ciò in cui si crede e ciò cui ci si affida e come senza valutazione non si sappia come procedere e ci si senta ciechi. La valutazione si configura in effetti come una fede e, organizzandosi soprattutto in funzione di pratiche ritenute con rilievo sociale, tale fede ha strutturato riti severi e inaggirabili, che per essere officiati necessitano di sacerdoti. Ne è sorta l’esigenza di un reclutamento.
In conclusione: lo stato del mondo impone un aggiornamento alla materia oggetto della Legge di Mencken e dell’Estensione di Martin, come esse sono formulate nell’opera di Arthur Bloch menzionata in esordio. Legge di Mencken ed Estensione di Martin non ne danno più un quadro esauriente. A esse, va aggiunta ancora un’estensione. Sulla denominazione di tale estensione, in prospettiva globale, ci sarebbe l’imbarazzo della scelta. Restando al campo dell’insegnamento e della ricerca come attività di base e tenendosi, per chiarezza, a una prospettiva nazionale, Estensione di Anvur-Invalsi suona come una designazione molto appropriata e trasparente. Qui si propone che sia adottata. L’Estensione di Anvur-Invalsi coglie peraltro la messa a frutto, nella società governata dall’ideologia della modernità putrefatta, di talenti a un livello crescente di sottrazione e di allontanamento da ogni capacità correlata con l’attività di base. L’insieme va dunque riformulato nei termini seguenti:

– Legge di H.L. Mencken: “Chi sa fare fa. Chi non sa fare insegna”.
– Estensione di Martin: “Chi non sa fare e non sa insegnare amministra”.
– Estensione di Anvur-Invalsi: “Chi non sa fare, non sa insegnare e non sa amministrare valuta”.

(14 novembre 2019)





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