L’intentona di Luigi Di Maio

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di Pierfranco Pellizzetti

Nel lessico politico della Prima Repubblica (coté craxiano) “intentona” significava un colpo di mano abortito. L’articolo odierno di Annalisa Cuzzocrea e Giuliano Foschini su Repubblica (titolo: Di Maio stoppa Sansa e il patto col PD in Liguria “lui ci ha remato contro”), che parla di un veto notturno del ministro degli Esteri all’accordo faticosissimo (oltre sei mesi di gestazione) raggiunto in Liguria per la candidatura unitaria PD e Cinquestelle di Ferruccio Sansa, si sta rivelando nient’altro che una mossa infelice del proponente; che – tra l’altro – lascerebbe intendere l’avvallo da parte di un Beppe Grillo sistematicamente lontano dalle beghe del Movimento, se non per puntellarne l’orientamento al sostegno del governo Conte.

Appunto, l’intentona. Un’infelice mossa, che ha come bersaglio non Sansa bensì il premier che, reduce dal grande successo di immagine dopo il braccio di ferro vinto su Autostrade e l’estromissione dei Benetton (tanto che il capofamiglia dei plutocrati di Ponzano Veneto ora mostra gli occhi del pugile suonato e la pettinatura sempre più da Pampurio del Corrierino dei Piccoli), si spende in prima persona per liste regionali che confermino lo schema delle alleanze nazionali.

Sicché ormai è evidente l’insofferenza dell’ex capo politico Cinquestelle nei confronti di chi gli sta sottraendo la scena e i consensi dei gruppi parlamentari. E tenta pugnalate alla schiena proprio mentre il suo primo ministro è a Bruxelles per difendere gli interessi del Paese; nell’ardua e contrastata battaglia per il Recovery Fund, a sostegni alla nostra economia pericolante.

Una scelta irresponsabile – quella di Luigi Di Maio – ancora più grave, se possibile, della linea “tanto peggio, tanto meglio” adottata dal duo di sfasciacarrozze che guidano la Destra fascistoide nazionale. Ma che risulta particolarmente gradita agli ambienti che non hanno mai sopportato Conte perché estraneo ai circuiti relazionali in cui da decenni avvengono i più inconfessabili “scambi politici”. Quegli stessi che annusano l’odore dei soldi in arrivo dall’Europa – a mo’ di tigre con il sangue della preda – e perseguono il miserevole progetto di un governo di unità nazionale con dentro tutti i cosiddetti “responsabili” (vulgo inciucisti patentati), compreso il pregiudicato redivivo Silvio Berlusconi. Quello che si vorrebbe mondare dalle mille sozzure tirando fuori registrazioni farlocche di interlocutori defunti. Il tutto perseguendo il viatico di una premiership Mario Draghi, con l’interessato che non ha mai manifestato la benché minima disponibilità a imbarcarsi nell’avventura.


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Eppure Di Maio insiste, anche perché sente che il terreno gli sta franando sotto i piedi e l’ossessione di poter ritornare nell’anonimato da cui è stato tratto dall’invenzione grillesca lo porta a rivelare la propria vera natura. Non solo la provenienza da un ambiente familiare di chiara influenza destrorsa (il padre Antonio ha svolto incarichi dirigenziali prima tra i postfascisti del Movimento Sociale e poi in Alleanza Nazionale) ma anche le ataviche influenze della tradizione politica ambientale. Ossia il lascito di mentalità collettiva che nella Prima Repubblica si incarnò nel cosiddetto “doroteismo campano” dei Gava padre e figlio (Silvio e Antonio): ministeriali e correntizi, maneggioni ma sempre “popolari”; dunque devoti a San Gennaro e al suo sangue nell’ampolla da sbaciucchiare alle scadenze rituali.

Un prodotto umano del cosiddetto familismo amorale; come basso continuo che fa da colonna sonora a un mondo arcaico che – se minacciato – reagisce nei modi primitivi delle faide e delle imboscate. Inconciliabili con il tentativo di modernizzazione che il post Coronavirus rende improrogabile. 

PS Chi conosce un po’ la situazione ligure sa che il sottoscritto aveva appoggiato per le regionali altre soluzioni e non aveva lesinato critiche alla macchinetta del fango attivata da qualche maldestro supporter di Ferruccio. Ma ora non è il momento né delle polemiche né dei colpi bassi. Piuttosto di correre a perdifiato per sconfiggere sul filo di lana l’inconcludente Toti e i leghisti parafascisti che gli fanno corona.
(17 luglio 2020)




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