L’Italia e l’Euro: solo “Super Mario” può trovare la quadra
Biagio Bossone
e Stefano Sylos Labini
Per i paesi europei che dal dopoguerra a oggi hanno guidato le sorti del nostro continente – Francia e, ancor più, Germania – obiettivo principale dell’integrazione monetaria europea, a cominciare dalla realizzazione del Sistema Monetario Europeo negli anni Ottanta del secolo scorso, è stato quello di imbrigliare l’Italia in uno schema che le impedisse di continuare abilmente a sfruttare la sua debolezza valutaria.[1]
Al di là del gioco delle parti secondo cui la dura e pura Germania mai avrebbe accettato nel suo club altri che non fossero al par suo "virtuosi", un’unione monetaria senza l’Italia avrebbe in realtà negato la sua stessa ragion d’essere. E semmai l’Italia avesse optato per restarne fuori, Francia e Germania avrebbero fatto di tutto per scongiurare tale evenienza.
L’Italia, d’altra parte, non avrebbe deciso diversamente. Ragioni politiche non glielo avrebbero permesso e, inoltre, sul piano squisitamente economico, le élite al potere erano convinte che soltanto il vincolo esterno imposto dalla moneta unica avrebbe consentito all’Italia di sanare i suoi squilibri strutturali sconfiggendo le resistenze interne alle necessarie riforme.
È andata come sappiamo. L’unione monetaria si è rivelata fonte inesauribile di vantaggi economici per la Germania (che dell’Europa nel frattempo è diventata leader esclusivo) e per i paesi suoi accoliti; mentre l’Italia si è consegnata mani e piedi ai mercati finanziari internazionali con un debito colossale e crescente, ponendosi in una condizione d’inarrestabile declino economico, senza spazio per politiche espansive e libera soltanto di adottare riforme cosiddette "strutturali" atte a precarizzare lavoro e diritti per migliorare la competitività esterna del Paese.
D’altra parte, l’unione monetaria si è mostrata irriformabile, se non in peggio. Nemmeno una crisi di proporzioni inedite come quella degli ultimi dieci anni è riuscita a far porre in discussione una moneta unica affidata a una banca centrale che persegue il solo obiettivo della stabilità dei prezzi, che non ha funzione di prestatore di ultima istanza, e che opera in un sistema privo di strumenti fiscali controciclici e redistributivi nonché di strumenti finanziari per la condivisione dei rischi. In luogo di colmare simili enormi lacune, si è invece pensato di acuire i vincoli fiscali per i paesi già in crisi, di creare un Meccanismo Europeo di Stabilità che rischia di accrescere l’instabilità delle economie in difficoltà, e di definire regole di bail in bancario che in realtà aumentano il rischio sistemico nell’area. In una vera unione monetaria queste misure non avrebbero senso. Nel caso dell’Europa, ne palesano l’ottusità e il fanatismo dogmatico dei leader.
Uscire dall’euro?
L’opzione per l’Italia è fuori questione. Primo perché i costi di un’uscita dall’eurozona sarebbero enormi se essa non fosse concertata con i cosiddetti "partner" europei e co-gestita in modo ordinato; il che, però, è esattamente quello che i partner non vogliono per il motivo anzidetto[2]. Secondo, perché, seppure con un’uscita pilotata, il recupero di credibilità che si renderebbe necessario per un’Italia che si trovasse a navigare da sola in mare aperto le imporrebbe limiti di manovra assai prossimi a quelli che oggi le impone l’appartenenza all’eurozona. Infine, e questa è la ragione che taglia la testa al toro, perché gli Italiani restano favorevoli all’euro e non auspicano il ritorno alla lira, nonostante il loro afflato europeistico si sia nel tempo affievolito.
Il Paese sembra dunque condannato a proseguire lungo un percorso che si avvita su sé stesso verso il basso. Se il percorso procederà senza turbative o se invece conflagherà in una drammatica rottura degli equilibri sociali e politici (che avrebbe conseguenze anche sul resto d’Europa e oltre) dipenderà dal grado di sopportazione o rassegnazione di noi cittadini italiani che, sebbene si sia dimostrato altissimo, non può considerarsi illimitato.
È chiaro che, nell’ottica mercantilistica dell’Europa di oggi, il protrarsi senza turbative dell’attuale stato dell’economia italiana giova grandemente a coloro che da questa Europa traggono benefici: per costoro è funzionale tenerci a "bagnomaria", in condizioni di scarsa influenza e costretti a svendere la nostra economia a pezzi, giusto in cambio della concessione di periodiche boccate d’ossigeno sotto forma di piccoli margini di bilancio in deficit, che i nostri governi di turno possono di volta in volta vantare presso i propri elettorati come segnali di successo politico nelle trattative con "Europa".
Idee, proposte?
Quanto a lungo questa situazione possa ancora durare è, come detto, assai difficile a prevedersi. Non aiuta certo l’insussistenza di idee e proposte che tanto i partiti al governo quanto quelli all’opposizione sono incapaci di formulare per provare a uscire dalla condizione attuale. Alcuni partiti, quelli di sinistra, non vedono altra strada se non quella che il Paese adotti diligentemente comportamenti che lo mantengano in linea con i dettami di Bruxelles e Francoforte, così acquisendo presso i mercati finanziari quella credibilità necessaria per contenere lo spread sul debito a livelli sostenibili. Ma questa, appunto, è la strada che mantiene il Paese a "bagnomaria" e che tanto piace a "Europa" – sempre che gli equilibri sociali interni del Paese non si rompano.
Dall’opposizione, invece, i partiti della destra danno fiato alla propaganda vaneggiando di sovranismi risolutori che libererebbero "Italia" dalle catene di "Europa", dandole modo di sprigionare le sue migliori energie, abbattere le tasse per i suoi cittadini e le imprese, aumentare la spesa pubblica, reindustrializzare il Sud, e quant’altro porti il Paese in auge. In due parole: Italy first! Eppure, quando la Lega andò al governo non esitò a dare la fiducia a un ministro dell’Economia che nulla aveva a che fare con un programma di politica economica sovranista. Inoltre, malgrado gli esercizi di retorica, quel governo prese presto coscienza della forza di ricatto che l’Europa e i mercati esercitavano attraverso il meccanismo dello spread e finì rapidamente con l’allinearsi ai loro desiderata.
Per non parlare, infine, delle proposte trasversali che ricorrentemente vagheggiano utopiche revisioni del Fiscal Compact e che si differenziano solo per le modalità attuative: o facendo appello alla necessità di tessere opportune alleanze con governi similmente orientati per arrivare a scelte consensuali di revisione dei Trattati oppure minacciando di sbattere violenti pugni sui tavoli negoziali per far finalmente valere il peso degli attributi italici. Nell’un caso e nell’altro l’illusione &egr
ave; di ottenere che "Europa" ci conceda quanto i paesi leader peraltro fanno senza chiedere permesso quando fa loro comodo, e cioè un uso più liberale del bilancio pubblico. Ma tanto i proponenti della via negoziale si dimenticano che di alleanze pro-Italia in Europa non se ne trovano quanto i proponenti della linea dura non si rendono conto che i "machi" nostrani non fanno poi molta paura agli interlocutori continentali…
Tristemente, le idee innovative risultano assenti anche all’esterno dei partiti. Ne è dimostrazione l’appello di 32 economisti "", pubblicato recentemente su questa rivista, che rivolge al governo in carica un giusto invito a presentare proposte alternative su tutto il pacchetto delle riforme sugli strumenti di governance europea, ma si astiene dal suggerire possibili profili sia pur generali di tali proposte, forse nella consapevolezza che nessuna riforma progressista ha oggi una benché minima chance di vedere la luce in Europa.
La Moneta Fiscale
La proposta che da tempo avanziamo – e che crediamo sia l’unica che consenta all’Italia di operare un forte rilancio della propria economia senza violare le regole europee e guadagnando il consenso dei mercati – è l’emissione di Moneta Fiscale sotto forma di "certificati di compensazione fiscale" (CCF)[3]. Rinviando all’appendice chi volesse conoscere la proposta in dettaglio, ci limiteremo qui a riassumerne le caratteristiche essenziali, per poi porre l’attenzione sulle condizioni politiche necessarie per attuarla.
Secondo la proposta, per un certo numero di anni e sino a che l’economia non segni una forte e stabile ripresa, lo Stato italiano emette CCF, cioè titoli trasferibili e negoziabili che conferiscono al portatore il diritto a restituirli allo Stato – a partire da due anni successivi all’emissione – ottenendo in cambio sconti (compensazioni) di uguale valore nominale, applicabili su tutti gli obblighi finanziari nei confronti della pubblica amministrazione: tasse, imposte, contributi, multe, sanzioni, etc.
I CCF recano valore immediato giacché incorporano l’impegno dello Stato ad accettarli a termine in cambio di sconti fiscali. In forza di questo valore immediato, essi sin dall’emissione sono scambiabili in euro o utilizzabili direttamente per l’acquisto di beni e servizi attraverso l’adesione volontaria a un sistema di pagamento accentrato all’uopo realizzato. Tutti coloro che vi aderiscono li accettano come mezzo di pagamento perché sanno che a scadenza chiunque ne sia in possesso potrà usarli per sconti fiscali. I CCF dunque sono e generano capacità di spesa.
Lo Stato assegna CCF, senza corrispettivo, per integrare i redditi dei lavoratori, per finanziare investimenti pubblici e programmi di spesa sociale, e per ridurre il cuneo fiscale sul lavoro in favore delle aziende. Queste assegnazioni incrementano la domanda interna e migliorano la competitività delle aziende (replicando gli effetti di una svalutazione del cambio), in tal modo consentendo che la crescita della domanda non peggiori i saldi commerciali esteri del Paese.
Sulla base di ipotesi prudenziali (moltiplicatore fiscale pari a uno e ripresa degli investimenti privati in misura tale da recuperare metà della caduta rispetto al 2007) l’incremento del Pil produrrebbe gettito fiscale incrementale sufficiente a compensare gli sconti fiscali. Questi ultimi raggiungerebbero un massimo di cento miliardi annui, che si confronta con oltre ottocento di entrate totali del settore pubblico italiano. Il rapporto di copertura (cioè le entrate pubbliche lorde divise per gli sconti fiscali che diventano utilizzabili ogni anno) sarebbe più che sufficiente per gestire eventuali ammanchi dovuti a future recessioni.
In base ai principi contabili internazionali, i CCF non sono titoli di debito in quanto chi li emette non si assume alcun obbligo di rimborsarli in euro. Sulla base dello European System of Accounts essi sono "attività differite non pagabili" e come tali non hanno impatto sui conti dell’emittente al momento dell’emissione e sino a quando non vengano utilizzati per conseguire gli sconti fiscali (cioè due anni dopo l’emissione, quando nel frattempo nuovo gettito sarà stato prodotto dall’economia).
Seppure l’Italia attenuasse in futuro la sua disciplina fiscale ed emettesse un eccesso di CCF, solo il valore di questi ultimi ne risentirebbe, ma ciò non avrebbe effetti sull’euro. Inoltre, non potrebbero esservi rischi di default su tali titoli e, oltretutto, pure se dovessero determinarsi temporanee carenze di entrate fiscali, potrebbero attivarsi misure di salvaguardia quali, ad esempio, il finanziamento di alcune spese con CCF (in luogo di euro), un innalzamento del prelievo fiscale compensato da assegnazioni supplementari di CCF, incentivi ai possessori di titoli per posporne l’utilizzo, o il collocamento di CCF per rifinanziare debito in scadenza. Si tratterebbe di misure che, a differenza delle tradizionali clausole di salvaguardia, eviterebbero effetti pro-ciclici.
In ogni caso, l’ampiezza del rapporto di copertura sopra descritto rende questo scenario del tutto improbabile. Inoltre, è giusto ricordare che l’incapacità italiana di controllare le finanze pubbliche è un falso mito. Tra il 1998 e il 2018, l’Italia è stato l’unico paese dell’Eurozona a non conseguire mai deficit primari di bilancio pubblico salvo che nel 2009. Casomai l’Italia ha sofferto di un eccesso di contenimento dei deficit pubblici e, di conseguenza, di un pesante impatto negativo sulla produzione.
Con la Moneta Fiscale abbiamo scoperto la pietra filosofale? Nient’affatto: vale semplicemente che in un’economia con largo sottoutilizzo delle risorse produttive una politica fiscale espansiva stimola principalmente la produzione e l’occupazione, e marginalmente i prezzi. Ciò che il programma della Moneta Fiscale permette di fare è creare un potere d’acquisto che l’Italia non ha più la facoltà di creare e assegnarlo a chi ha maggiori esigenze o capacità di tradurlo in spesa, senza generare debito. Nella forma dei proposti CCF, la Moneta Fiscale mobilita risorse inutilizzate, accelera gli investimenti e spinge le banche a far ripartire il credito.
La cosa positiva è che qualcuno comincia a crederci. Lo scorso 9 agosto, partendo dalla nostra proposta, i deputati del M5S Pino Cabras e Raffaele Trano hanno depositato presso la Camera il disegno di legge C. 2075 per l’Istituzione dei Certificati di Credito Fiscale (il testo è reperibile qui), poi controfirmato da venti deputati. Il successivo 20 novembre, la stessa cosa è avvenuta al Senato con Atto n. 1619 controfirmato da sessantatre senatori.
Sì, ma chi può realizzare un programma del genere?
Qui ci vuole Super Mario
Il solo uomo di stato che oggi potrebbe portare a compimento un programma di Moneta Fiscale è Mario Draghi. Non suggeriamo alla politica di rinunciare alle sue prerogative per lasciare spazio all’ennesimo governo tecnico che sappia prendere decisioni che la politica
non si sente di assumere. Al contrario, auspichiamo che, raggiungendo la convergenza più ampia possibile, le forze politiche si assumano la responsabilità di sostenere per il tempo che si renderà necessario un’azione di politica economica nazionale senza precedenti, demandandone la guida all’unico soggetto che: i) non è legato a nessuno schieramento politico; ii) possiede la credibilità e il carisma essenziali per far comprendere ai partner europei e ai mercati finanziari che il programma è l’unica strada per evitare che l’Italia diventi fonte di instabilità sistemica incontrollabile; iii) avrebbe la capacità di gestire autorevolmente i tanti aspetti tecnici del programma; e iv) è dotato delle doti manageriali che sarebbero necessarie per coordinare i diversi attori che alla manovra dovrebbero prendere parte attiva perché essa abbia successo.
Forse consapevoli che le difficoltà del Paese richiedono ormai misure e personalità eccezionali, nei giorni scorsi gli stessi vertici della Lega hanno parlato di un Comitato di Salvezza Nazionale (con tutti i partiti dentro) e hanno indicato in Mario Draghi colui che potrebbe esserne guida.
Non azzardiamo pronostici circa l’eventuale disponibilità dell’ex presidente della BCE a un incarico del genere. Ci limitiamo a ipotizzare che egli vedrebbe di buon grado il programma della Moneta Fiscale sopra richiamato…confidando nell’appoggio della moglie… In primo luogo, come egli stesso ha ricordato congedandosi da Francoforte, più volte dal 2014 ha parlato di politica fiscale come necessario complemento alla politica monetaria, segnalando che la necessità di attivarne l’uso è oggi anche più urgente di prima. Inoltre, a proposito dell’idea di ricorrere a iniezioni di potere d’acquisto attraverso forme di helicopter money, egli ha sottolineato che «dare soldi ai cittadini è un compito della politica fiscale non della politica monetaria», richiamando l’esigenza che altre politiche, oltre a quella monetaria, devono contribuire in modo più decisivo a incrementare il potenziale di crescita a più lungo termine, a sostenere la domanda aggregata nella fase attuale e a ridurre le vulnerabilità.
Ma questo è esattamente ciò che il programma della Moneta Fiscale mira a conseguire: creare nuova capacità di spesa attraverso titoli di Stato che lo Stato stesso, proprio in quanto autorità fiscale, assegna a un ampio spettro di soggetti che la tradurranno in spesa effettiva. Draghi, oltretutto, comprenderebbe bene i limiti entro cui lo Stato dovrebbe esercitare questa nuova funzione fiscale, massimizzandone i benefici ed evitandone l’assoggettamento a possibili abusi.
Dopo aver salvato l’euro con la politica monetaria espansiva, è giunto il momento che Draghi salvi l’Italia con la politica fiscale espansiva. Prima della crisi del 2008, il Quantitative Easing sembrava fantascienza; oggi potrebbe sembrarlo la Moneta Fiscale. Tuttavia, così come in quel caso si batterono strade nuove per superare la crisi, oggi l’Italia deve battere strade nuove per arrestare il suo declino e invertirne il corso.
La guida di Draghi sarebbe garanzia di riuscita di quello che il programma della Moneta Fiscale può realizzare: permettere all’Italia di tornare a crescere e agli Italiani di ritornare a credere in un futuro migliore.
L’espressione "Moneta Fiscale" è stata coniata in Per una Moneta Fiscale Gratuita: Uscire dall’Austerità Senza Spaccare l’Euro, Manifesto / Appello lanciato da B. Bossone, M. Cattaneo, L. Gallino, E. Grazzini e S. Sylos Labini nel novembre 2014 e riportato poi nell’, curato da B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazzini e S. Sylos Labini (con prefazione di L. Gallino) e pubblicato da MicroMega il 15 giugno 2015.
Secondo una definizione generale e rigorosa,
Moneta Fiscale è qualunque strumento emesso da un’entità privata o pubblica che i) lo Stato s’impegna ad accettare dal portatore per l’adempimento delle proprie obbligazioni fiscali, nella forma di riduzione degli importi dovuti allo Stato oppure nella forma di effettivi trasferimenti di valore (pagamenti) in favore dello Stato; ii) non costituisce moneta a corso legale, iii) non impegna lo Stato né a pagare somme al portatore né a convertire lo strumento in moneta a corso legale; e tuttavia è iv) negoziabile in moneta a corso legale, v) trasferibile a terzi, e vi) cedibile in cambio di beni, servizi, moneta o titoli di ogni specie.
Tale definizione è stata proposta da B. Bossone e M. Cattaneo, New ways of crisis settlement: Fiscal Money as a tool to fight economic stagnation, presentato al convegno "A single model of Governance or tailored responses? Historical, economic and legal aspects of European Governance in the Crisis", FernUniversität, Hagen, il 24-25 novembre 2016 e pubblicato nei relativi atti.
Fondamentale è che la Moneta Fiscale, se usata come mezzo di pagamento, sia accettata su base puramente volontaristica. Per quanto riguarda lo Stato che la emette, essa rappresenta esclusivamente un titolo che non reca alcun obbligo di debito. Che poi questo titolo sia utilizzato come mezzo di pagamento è una deliberata scelta della comunità che decide di farne tale uso. Ecco perché la Moneta Fiscale non può (e non deve) essere considerata come moneta "statale" (nel senso di emessa dallo Stato) o come moneta "pubblica" (nel senso di emessa dal settore pubblico): al momento dell’emissione (e per lo Stato che la emette) essa è soltanto un titolo caratterizzato da specifici diritti del portatore; è il settore privato che ne fa una moneta decidendo di accettarla e usarla come mezzo di pagamento.
La Moneta Fiscale è stata originariamente proposta da Marco Cattaneo sotto forma di "certificati di credito fiscale" nell’articolo Certificati di credito per il cuneo, pubblicato da Il Sole 24 Ore, il 31 ottobre 2012, come strumento d’intervento a sostegno dell’economia italiana, e dallo stesso Cattaneo successivamente discussa nel libro scritto con G. Zibordi, La Soluzione per l’Euro, Hoepli, marzo 2014. La proposta di Cattaneo è stata quindi elaborata in Per una Moneta Fiscale Gratuita: Uscire dall’Austerità Senza Spaccare l’Euro, Manifesto / Appello di B. Bossone, M. Cattaneo, L. Gallino, E. Grazzini e S. Sylos Labini (disponibile sul sito https://monetafiscale.it) e nell’e-book dal medesimo titolo curato da B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazzini e S. Sylos Labini (con la prefazione di L. Gallino), pubblicato da MicroMega, il 15 giugno 2105, e quindi ulteriormente sviluppata nei lavori pubblicati dal Gruppo della Moneta Fiscale (GMF), di cui sono membri B. Bossone, M. Cattaneo, M. Costa e S. Sylos Labini. Del GMF si segnala in particolare, tra i numerosi contributi, Moneta Fiscale: il punto della situazione, MicroMega, 17 giugno 2017. Riguardo ai contributi individuali dei membri del GMF: Stefano Sylos Labini è intervenuto sull’argomento con contributi sulla stampa (Sole 24 Ore, Left, Sinistra in Rete, L’Idea Socialista) e con interviste (RadioPopolare, Money.it, PandoraTv). Massimo Costa ha studiato soprattutto i profili giuridico-contabili dei CCF.
Successivamente alla collaborazione del GMF con il deputato del M5S Pino Cabras (cfr. testo), si è preferito sostituire alla denominazione di certificato di credito fiscale quella di Certificato di Compensazione Fiscale, che non soltanto è più precisa ma libera il campo da ogni possibile confusione fra la natura di non debito del titolo e il sostantivo "credito" originariamente utilizzato. I Certificati di Compensazione Fiscale discussi nel testo sono una sottospecie specifica della definizione generale di Moneta Fiscale sopra richiamata.
Al tema della Moneta Fiscale è interamente dedicato il blog "Basta con l’Euro Crisi", creato e curato da Marco Cattaneo. Una proposta di Moneta Fiscale fu lanciata da Gennaro Zezza nel 2017 sul sito del Movimento 5 Stelle, risultando la seconda proposta più votata dagli iscritti al sito. Varie forme di Moneta Fiscale sono state proposte in atri paesi; si vedano: Sortir de l’austérité sans sortir de l’euro… grâce à la monnaie fiscale complémentaire, di G. Giraud, B. Lemoine, D. Plihon, M. Fare , J. Blanc, J.-M. Servet, V. Gayon, T. Coutrot , W. Kalinowski, e B. Théret, pubblicato su Libèration, l’8 marzo 2017; Monnaie fiscale complémentaire: sortir des impasses européiste et souverainiste, di T. Coutrot e pubblicato su Mediapart del 27 giugno 2018; e la proposta lanciata nel 2015 per la Grecia dall’ex ministro delle finanze Yanis Varoufakis e illustrata in The Promise of Fiscal Money, Project Syndicate, 29 August 2017, ripresa e commentata dal GMF in Making Fiscal Money Work, Project Syndicate, 19 September 2017. Per un confronto tra forme alternative di monete fiscali, si veda il contributo (in due parti) di B. Bossone e M. Cattaneo, A Parallel Currency for Greece, VoxEu, 25-26 May.
Infine, l’emissione di Moneta Fiscale è rubricabile tra le "politiche fiscali non convenzionali" (che comprendono anche le svalutazioni fiscali e la tassazione indiretta preannunciata), in giustapposizione alle "politiche monetarie non convenzionali" adottate da alcune tra le maggiori banche centrali a partire dalla crisi del 2008. Si veda Bossone, B., "Unconventional" Fiscal Policies, EconoMonitor, 16 February, 2019.
[1] Questa tesi è stata dottamente documentata da Joseph Halevi in una serie di lucidissimi saggi recentemente pubblicati per l’Institute for New Economic Thinking (si veda qui, qui e qui).
[2] A meno che non sia proprio la Germania a perdere interesse verso un’unione monetaria con l’Europa mediterranea. È su questa possibilità che si conclude la riflessione di Halevi nel terzo e ultimo dei saggi prima citati.
[3] La Moneta Fiscale è stata originariamente proposta da Marco Cattaneo sotto forma di "certificati di credito fiscale" nell’articolo Certificati di credito per il cuneo, pubblicato da Il Sole 24 Ore, il 31 ottobre 2012, come strumento d’intervento a sostegno dell’economia italiana, e dallo stesso Cattaneo successivamente discussa nel libro scritto con G. Zibordi, La Soluzione per l’Euro, Hoepli, marzo 2014. La proposta è stata elaborata nell’Appello / Manifesto Per una Moneta Fiscale Gratuita: Uscire dall’Austerità Senza Spaccare l’Euro Manifesto / Appello da B. Bossone, M. Cattaneo, L. Gallino, E. Grazzini e S. Sylos Labini e successivamente nell’, curato da B. Bossone, M. Cattaneo, E. Grazzini e S. Sylos Labini (con la prefazione di L. Gallino) e pubblicato da MicroMega il 15 giugno 2105. La proposta è stata ulteriormente sviluppata nei lavori pubblicati dal Gruppo della Moneta Fiscale, di cui oltre agli scriventi sono membri Marco Cattaneo e Massimo Costa. Per alcuni di tali contributi e per altri lavori sulla materia, si veda l’appendice.
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