L’Italia, l’Europa e la crisi da coronavirus
Antonella Stirati
Nelle ultime settimane in Italia e in Europa si è affacciata con prepotenza la questione economica legata alla pandemia in corso, e si sono moltiplicate le prese di posizione relative a come questa dovrebbe essere affrontata.[1]
È sempre più evidente che la pandemia e le misure di contenimento del contagio adottate in tutto il mondo provocheranno una profonda recessione in conseguenza del blocco di una parte importante dell’attività produttiva e la scomparsa dei redditi generati da quelle attività. Molte previsioni sono concordi nell’affermare che si avranno riduzioni del PIL maggiori di quelle causate dalla crisi finanziaria globale del 2008, e che esse non saranno transitorie.
In tutti i paesi la combinazione della caduta significativa del PIL e degli aumenti di spesa pubblica e riduzione delle tasse per fronteggiare l’emergenza faranno lievitare il rapporto tra deficit e PIL e tra debito pubblico e PIL.
Si deve notare tuttavia un elemento di estrema importanza fino ad oggi spesso sottovalutato o addirittura ignorato – in modo totalmente anti-scientifico – nel dibattito politico su questi temi: il denominatore (il PIL) non è indipendente dalla politica di bilancio pubblico, cioè dalle variazioni della spesa pubblica o delle tasse. In altri termini, più spesa pubblica implica minore caduta del PIL. Inoltre, gli effetti delle variazioni di spesa pubblica sul PIL in fasi di recessione o stagnazione economica sono particolarmente forti. Questo fa sì che in una economia già in difficoltà, le politiche di austerità (riduzione della spesa) fanno aumentare il rapporto debito-Pil. Questa non è (solo) la conclusione speculativa di una particolare teoria o modello economico che potrebbe essere non condiviso, ma è un fenomeno ormai ben documentato[2] e oggi – a differenza di quanto poteva essere 10 anni fa – sotto gli occhi di tutti. Questo è particolarmente vero per alcuni paesi dell’eurozona, dove le politiche di austerità hanno determinato incrementi del rapporto debito-PIL. In Italia, per esempio, quel rapporto è aumentato di oltre 10 punti percentuali tra il 2011 e il 2013, cioè proprio nel pieno della attuazione delle politiche di austerità e riforme suggerite dalla Commissione Europea (Paternesi Meloni e Stirati, 2018). Questo aumento del rapporto debito-PIL, causato dalle politiche di austerità, ha reso l’Italia e altri paesi europei più esposti a difficoltà nel collocare i propri titoli del debito pubblico sui mercati finanziari, con il conseguente aumento nei relativi tassi di interesse.
Quanto appena detto significa, in primo luogo, che politiche fiscali espansive (più spesa pubblica, meno tasse), avranno nel presente contesto l’effetto di ridurre la caduta del PIL. Di conseguenza, politiche fiscali decisamente espansive, se ben disegnate ed efficaci, potrebbero anche ridurre l’incremento del rapporto deficit-PIL e debito-PIL rispetto a uno scenario di politiche di spesa più prudenti, determinato proprio dal timore di far crescere di quei rapporti. Purtroppo l’Italia sta appunto seguendo una linea di estrema prudenza, che potrebbe in realtà avere effetti controproducenti.[3]
Politiche fiscali espansive sono essenziali:
(a) per sostenere la spesa sanitaria, i redditi e la domanda aggregata, per assicurare la lotta al virus, gli standard di vita e la produzione nei settori ancora attivi;
Gli strumenti che possono essere messi in campo per perseguire gli obiettivi appena indicati possono essere divisi in tre grandi categorie, elencate qui sotto in ordine crescente di ‘potenziale’ espansivo. Nella situazione presente tutte e tre le categorie di strumenti devono essere utilizzate, e tutte, inclusa la terza, appaiono come imprescindibili.
1) Garanzia pubblica sull’erogazione di credito bancario alle imprese attraverso il sistema bancario. Gli interventi possono andare nella direzione di favorire il credito bancario al settore privato e alle imprese a bassi tassi di interesse e con una ridotta richiesta di garanzie (collaterali). Questo richiede che il sistema bancario venga a sua volta garantito dallo Stato a fronte di tali prestiti. Un accesso facilitato e a basso costo al credito è importante per le imprese e va sicuramente perseguito. Nell’eurozona le misure che vanno in tale direzione sono le politiche della BCE volte a mantenere elevata la liquidità del sistema bancario e l’alleggerimento delle regole precauzionali del sistema bancario che dovrebbero favorire la concessione di crediti. Riguardo però alle garanzie pubbliche sui prestiti erogati dal sistema bancario si hanno solo iniziative a livello nazionale, con i paesi più forti che possono fare e stanno facendo di più. Per quanto la disponibilità di credito al settore privato sia importante, essa evidentemente è uno strumento insufficiente di fronte alla gravità della situazione. In una situazione di caduta dei redditi e della domanda, di grande incertezza sul futuro anche dopo la fine della emergenza sanitaria, e con l’intera economia mondiale in panne, molte imprese, soprattutto piccole e medie, potrebbero non volere o non essere in grado di assumersi il rischio di chiedere prestiti per far ripartire l’attività.
Prestiti possono anche essere erogati da istituzioni finanziarie ai governi nazionali. Nell’eurozona il Meccanismo europeo di stabilità (MES) può effettuare tali prestiti emettendo a sua volta obbligazioni che possono essere collocate sui mercati finanziari o essere anche acquistate dalla BCE. Anche se tali prestiti fossero oggi erogati senza condizionalità (come inizialmente richiesto dal governo italiano, ma respinto da alcuni paesi dell’eurozona), essi, finita l’emergenza sanitaria, rappresentano comunque un debito da parte dello Stato nazionale che va rimborsato. Vi sono qui due questioni relative alla capacità di sostegno che il MES può fornire. Una è la possibilità che vengano imposte subito, come previsto dalle regole attuali, o in un momento successivo se quelle regole venissero momentaneamente allentate, delle condizionalità fiscali ‘alla greca’ (con la facoltà di coinvolgere il FMI sì da completare la tristemente nota Troika). La seconda questione è che la capacità di fuoco del MES (poco più di 400 miliardi) è comunque limitata. Per questa ragione se l’Italia e altri paesi vi ricorressero non costituirebbe un robusto sostegno alla necessaria politica espansiva, e potrebbe costringere questi paesi a ulteriori richieste, suscettibili di condizionalità fiscale. Un argomento che ha una certa forza a favore del MES è che questo aprirebbe la strada a interventi della BCE a sostegno dei titoli del paese che vi ha fatto ricorso (le ‘outright market transactions’ – programma lanciato da Draghi nel 2012). Tuttavia se lo scopo è ottenere tale sostegno, sarebbe molto difficile sottrarsi a condizionalità relative alla politica fiscale.
Quello del ricorso al MES è dunque uno scenario insidioso per l’Italia e altri paesi dell’eurozona senza peraltro costituire una misura efficace, e bene ha fatto il Governo Italiano a cercare altre strade. Sono ancora da chiarire i contorni di un eventuale ricorso a prestiti della Banca Europea degli investimenti, ipotesi che sembra prospettarsi. In ogni caso si tratterebbe ancora di prestiti da restituire, auspicabilmente a lungo termine.
2) L’emissione di titoli del debito pubblico da parte dei singoli governi nazionali è lo strumento per finanziare la spesa di emergenza e la riduzione delle entrate fiscali. Essi possono essere acquistati sul mercato finanziario da privati, soprattutto banche e altre istituzioni finanziarie. Successivamente, almeno in parte, possono essere ceduti dalle banche alla BCE. Anche in questo caso si tratta di un prestito fatto ai governi. Questo debito dovrà essere rimborsato ai sottoscrittori, ma ciò non richiede che il debito venga ‘azzerato’ perché un governo può sempre effettuare il ‘roll-over’ del debito, cioè collocare sul mercato un ammontare di debito di valore pari a quello che deve essere rimborsato. Il problema è che nella situazione attuale tutti i paesi si troveranno a collocare molti titoli sul mercato finanziario in una fase di grande incertezza su tale mercato. I titoli saranno dunque collocabili a tassi di interesse sostenibili solo se essi potranno essere considerati privi di rischio (‘safe assets’), e ciò sarà possibile solo se la BCE ne sarà garante di ultima istanza senza condizioni. Ciò è quello che accade normalmente per i titoli pubblici di qualsiasi ‘paese normale’, ma non nell’ eurozona, dove invece il disegno istituzionale prevede che siano i mercati finanziari a prezzare i titoli pubblici, e che non spetti alla BCE di stabilizzarne il valore e il tasso di interesse. Questo è stato riaffermato dalla cosiddetta ‘gaffe’ della Christine Lagarde, che riflette il punto di vista della Germania e di altri paesi europei. Si è visto quale grado di disordine finanziario globale abbia determinato quella gaffe, e la BCE ha dovuto non solo prontamente intervenire, ma ha cominciato a muoversi attivamente nella direzione opposta a quella inizialmente delineata dalla Lagarde. La frase incriminata mette però in luce che successivamente le cose potrebbero cambiare, determinano incertezza sull’ atteggiamento della BCE ad emergenza sanitaria finita.
3) Il finanziamento monetario della spesa è un terzo strumento. Si tratta di qualcosa di diverso dai punti precedenti in quanto di fatto non determina l’insorgere di un debito. Mentre con le politiche adottate sinora la Banca Centrale Europea fornisce liquidità alle banche in cambio di titoli pubblici o privati, ma senza garanzia che ne rinnoverà l’acquisto quando essi vengono a scadenza, con il finanziamento monetario della spesa pubblica la Banca Centrale va a finanziare voci di spesa del Tesoro senza che sussista effettivamente un obbligo di rimborso, cioè crea direttamente potere d’acquisto. Questo può concretamente assumere varie forme, più o meno esplicite, e storicamente è stato fatto spesso dalle banche centrali.[5] In condizioni di grave recessione e inflazione nulla o negativa ciò non ha controindicazioni ed è anzi giustamente sollecitato da più parti come assolutamente necessario per dare un reale impulso espansivo all’economia. Negli anni trascorsi il finanziamento monetario della spesa pubblica è stato un assoluto tabù, che oggi però appare superato da parte di molti autorevoli economisti.
A fronte dell’emergenza vediamo che cosa è accaduto, anche se il quadro è in evoluzione, man mano che purtroppo il virus si diffonde in tutti i paesi e cade l’illusione, che forse era stata presente sino a qualche giorno fa, che l’emergenza sarebbe rimasta circoscritta soltanto ad alcune regioni o paesi.
Per ora la BCE dopo le prime gravi esitazioni che hanno prodotto incertezza sui mercati finanziari sembra determinata a stabilizzare, attraverso l’acquisto, i valori di titoli pubblici e tassi di interesse di tutti i paesi dell’eurozona. L’incremento per 750 miliardi degli acquisti già programmati non è però, in prospettiva, sufficiente. Rimane poi un’incertezza circa la disponibilità a mantenere una politica di stabilizzazione del mercato dei titoli anche dopo che si sarà conclusa l’emergenza sanitaria – mentre appare impensabile che nell’immediato la BCE non operi il roll-over dei titoli già acquistati.
Sono stati allentati i requisiti per le banche per favorire la concessione di crediti alle imprese.
La Commissione europea ha nel frattempo sospeso i parametri di finanza pubblica relativi al deficit di bilancio per far fronte all’emergenza.
Il quadro dunque si caratterizza per la provvisorietà (oltre che insufficienza) delle misure prese sin qui, ponendo i governi, in particolare dei paesi con più alto debito come l’Italia, nella condizione di temere che finita l’emergenza si chieda loro di ‘rientrare’ dentro i parametri con politiche di austerità che, se adottate, condannerebbero i loro paesi a una crisi profonda e irreversibile, accompagnata da un ulteriore deterioramento della situazione delle finanze pubbliche, in un perfetto circolo vizioso.
La richiesta di creare degli ‘eurobonds’, almeno per finanziare la spesa pubblica di emergenza dei paesi europei, equivale a chiedere la creazione di uno strumento di finanziamento della spesa pubblica nell’eurozona (come descritto al punto 2) nelle stesse condizioni in cui ciò avviene in un ‘paese normale’ in cui i governi possono finanziare la spesa pubblica emettendo titoli di debito che sono visti dagli operatori finanziari come titoli privi di rischio e non soggetti a speculazione, in quanto in ultima istanza garantiti dalla banca centrale. Un ulteriore passo sarebbe un impegno della banca centrale al loro acquisto diretto, che realizzerebbe le condizioni indicate al punto 3 qui sopra. Finora gli eurobonds hanno incontrato il no ‘inamovibile’ di alcuni paesi – Germania e Olanda, nonostante la pressione esercitata inizialmente da nove e poi quattordici paesi, con la presenza significativa di Francia e Belgio. Il Consiglio europeo del 26 marzo non ha neppure preso in considerazione l’ipotesi di eurobond emessi per finanziare la spesa aggiuntiva determinata dalla la crisi (i cosiddetti corona-virus bond), mentre l’Italia si è rifiutata di intraprendere la strada del MES (tanto più se soggetta a condizioni).
E’ verosimile tuttavia che persino nell’ipotesi molto remota che gli eurobonds vengano accettati lo strumento non venga adottato con l’ampiezza e l’assenza di condizionalità fiscale che sarebbero necessarie.
L’accettazione di qualsiasi forma di condizionalità che richieda ora o nel prossimo futuro politiche di austerità sarebbe fatale per il paese e deve essere assolutamente evitata. Lungi dal rappresentare un’opera di risanamento, tali politiche abrebbero costi enormi in termini di disoccupazione e perdita di capacità produttiva, mentre lo stato delle finanze pubbliche peggiorerebbe ulteriormente, come spiegato all’inizio. Tale disastro può però apparire a grandi gruppi finanziari e industriali come un’ottima un’occasione per acquisire a basso prezzo i beni di valore del paese: banche, imprese, infrastrutture, e possibilmente anche parte della ricchezza delle famiglie, ad esempio con la svendita degli immobili posti a garanzia di prestiti non esigibili, la tassazione del patrimonio, il bail-in delle banche in difficoltà.
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In assenza di significative misure europee l’alternativa per il governo italiano e di altri paesi in difficoltà è di prendere atto della situazione di emergenza e fare subito tutta la spesa necessaria per far fronte alle esigenze della sanità e della sostenibilità dell’economia, senza esitazioni e senza pericolosissimi ritardi. Potrebbe finanziare questa spesa con l’emissione di titoli pubblici, contando sul fatto che in questa fase la BCE non può realisticamente correre il rischio di far mancare il suo sostegno, rischiando una tempesta finanziaria globale. L’Italia potrebbe così, come spiegato all’inizio, di fatto contenere la caduta del Pil e quindi anche l’ampiezza dell’incremento del rapporto debito/ Pil.
L’Europa uscirà comunque politicamente a pezzi da questa crisi. Pur tra le enormi difficoltà che l’attendono, il nostro paese dovrebbe dunque attrezzarsi in tutti i modi possibili (alleanze internazionali, rapporti commerciali, strumenti economici ed istituzionali di intervento nell’economia) per affrontare la probabile resa dei conti politica ed economica che si aprirà nell’eurozona una volta finita l’emergenza sanitaria. Il rischio maggiore per l’Italia è l’elevato onere degli interessi sul debito pubblico, che può essere scongiurato o aggravato dalle scelte della BCE.
Fatás, A. e Summers, L. (2018) The permanent effects of fiscal consolidations, Journal of International Economics, vol. 112(C), pages 238-250
Schnabel, I. (2020). Narratives about the ECB’s monetary policy – reality or fiction? Speech at the Juristische Studiengesellschaft, Karlsruhe, 11 February 2020. https://www.ecb.europa.eu/press/key/date/2020/html/ecb.sp200211_1~b439a2f4a0.en.html. Accessed 20 February 2020.) + Halle Institute for Economic Research (Iwh) http://www.iwh-halle.de/nc/en/ press/press-releases/detail/germany-benefited-sub-stantially-from-the-greek-crisis-1/
Paternesi Meloni W. e Stirati A., (2018) Macroeconomics and the Italian Vote, INET Blog, August 2018, https://www.ineteconomics.org/perspectives/blog/macroeconomics-and-the-italian-vote
Storm, S. (2019) Lost in deflation: Why Italy’s woes are a warning to the whole Eurozone, INET WP no 94, April.
NOTE
[1] Si vedano ad esempio: With or without Europe, Italian economists for an antivirus plan, Financial Times, 13 marzo 2020; https://www.emilianobrancaccio.it/2020/03/13/brancaccio-e-altri-sul-financial-times-with-or-without-europe-italian-economists-for-an-anti-virus-plan/; UE, BCE, non è così che si supera la crisi, Micromega 22 Marzo 2020, http://temi.repubblica.it/micromega-online/ue-e-bce-non-e-cosi-che-si-supera-la-crisi-appello-di-67-economisti/
[2] Cfr. Fatás e Summers 2018, tra gli altri
[3] Tale scenario di controproducente prudenza è purtroppo quanto si sta verificando in Italia e altri paesi europei, che stanno spendendo molto meno, per far fronte all’emergenza, di Stati Uniti, Giappone, UK (vedi http://www.eurointelligence.com/professional/briefings/2020-03-31.html). L’Italia è correntemente il paese che sta spendendo meno in rapporto al PIL.
[4] Come sottolineato da Draghi, M. (2020) [5] Si veda per una proposta attuale Fassina (2020). Per quanto riguarda la storia, si può ricordare che sino al 1980 la Banca d’Italia aveva l’obbligo di finanziare direttamente il Tesoro per il 14% delle spese previste nel bilancio pubblico. Nella sostanza, un comportamento della banca centrale sistematicamente volto a tenere bassi e stabili i tassi di interesse sui titoli del debito pubblico, sia pure con acquisti sul mercato secondario (come sta facendo ad esempio la FED negli Stati Uniti), si avvicina ad una monetizzazione di fatto, pur senza determinare una ‘scomparsa’ del debito dalla contabilità del bilancio pubblico.
[6] Paternesi Meloni e Stirati, 2018, Storm, 2018.
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