L’omertà di Papa Francesco alla prova della Francia
Ingrid Colanicchia
È la Francia il nuovo banco di prova per quella tolleranza zero tanto millantata dal papa in materia di abusi sessuali.
Giusto stamane infatti Bergoglio ha ricevuto in udienza privata il cardinale di Lione, Philippe Barbarin, per decidere se accettare o meno le sue dimissioni. Il prelato il 7 marzo scorso è stato condannato a sei mesi di carcere con la condizionale per non aver denunciato le molestie sessuali commesse da p. Bernard Preynat su decine di minori dei gruppi scout che seguiva negli anni Settanta e Ottanta. Fatti occorsi prima dell’arrivo di Barbarin in diocesi (nel 2002) ma del quale il prelato era venuto a conoscenza (la giornalista di La Croix Isabelle de Gaulmyn – che frequentava proprio la parrocchia incriminata e che alla vicenda ha dedicato un libro, Histoire d’un silence – ha raccontato di aver parlato della questione con il card. Barbarin già a metà degli anni Duemila).
Al momento non è dato sapere cosa il papa deciderà di fare, ma se dovesse accettare le dimissioni del cardinale potrebbe insorgere qualche problema nella nomina del suo successore, considerato che l’incarico di stilare una lista con i nomi dei tre candidati più adatti a ricoprire l’ufficio – e a subentrare quindi al cardinale nella guida della diocesi di Lione – spetta al nunzio apostolico mons. Luigi Ventura, prelato contro il quale da gennaio a oggi sono state depositate tre denunce per molestie e per il quale la procura ha chiesto la revoca dell’immunità diplomatica. Ad oggi Francesco ha fatto orecchie da mercante: il solenne mea culpa pronunciato il mese scorso in occasione del vertice contro gli abusi si rivelerà solo un bluff?
In attesa di vedere come il papa affronterà questo ennesimo scandalo, ripercorriamo insieme le tappe di questa storia che imperversa sui giornali d’Oltralpe (meno su quelli italiani, che hanno dato solo parzialmente notizia della vicenda).
Il 17 gennaio scorso, la sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, riceve nel palazzo del municipio le autorità diplomatiche, civili e religiose per i tradizionali saluti. Tra costoro c’è anche il nunzio apostolico in Francia, vale a dire l’ambasciatore della Santa Sede, il 74enne mons. Luigi Ventura, che ricopre questo incarico dal 2009.
Ad accogliere lui e gli altri ospiti c’è pure Mathieu, responsabile degli eventi internazionali per il municipio, destinato a diventare il primo accusatore del prelato. Non appena sceso dall’auto che lo ha condotto lì, stando al dettagliato racconto pubblicato il 27 febbraio scorso sul quotidiano francese Libération (che ha avuto accesso alla denuncia presentata dalla presunta vittima, oltre ad averla incontrata), mons. Ventura si rivolge a Mathieu dicendogli: «Sei molto bello». Si aggrappa quindi al suo braccio e avanza nel cortile. Pochi metri e toglie la mano dal braccio per infilarla sotto la giacca, carezzando il sedere di Mathieu mentre gli pone domande sulla sua vita, sui suoi studi, sul suo ruolo nel municipio. «Ciò che colpisce il giovane consigliere è che l’ambasciatore "parlava con voce normale, non bisbigliava”». Un minuto dopo, nell’ascensore, il nunzio passa al livello successivo. «Per tutto il tragitto ha strizzato i miei glutei», è la denuncia dell’uomo, cui poi dice: «Spero che tu non riservi questo trattamento a tutti gli ambasciatori». «Stupidamente – racconta Mathieu – gli ho detto che gli era riservato un trattamento speciale perché era il decano del corpo diplomatico».
L’uomo accompagna quindi mons. Ventura nel Salon des Arcades, dove si sarebbe svolta la cerimonia, e racconta ai superiori quanto accaduto. Ma non finisce qui. Il prelato si piazza al suo fianco e ricomincia a tastargli il sedere. Il tutto sotto gli occhi dei colleghi di Mathieu.
Scatta la segnalazione al pubblico ministero, sulla base dell’articolo 40 del Codice di procedura penale che obbliga in questo senso qualsiasi dipendente pubblico che sia a conoscenza di un crimine o di un reato. Il procuratore di Parigi, Rémy Heitz, apre quindi un’inchiesta e appena otto giorni dopo i fatti Mathieu deposita la sua denuncia.
Il 15 febbraio Le Monde rivela la notizia. Incalzato dagli eventi, il direttore della Sala stampa vaticana, Alessandro Gisotti, si limita a dire che la Santa Sede rimane in attesa del risultato delle indagini. Ma la pubblicazione della notizia è l’inizio di un effetto domino che porta in poche settimane al moltiplicarsi delle denunce a carico del prelato.
Il 18 febbraio è la volta di Benjamin G., 39 anni, che racconta di essere stato vittima di analoghe molestie da parte di mons. Ventura in occasione della stessa cerimonia, ma un anno prima, nel 2018. «All’epoca lavoravo per il Comune di Parigi – spiega a Le Monde (18/2) – e avevo incarichi precisi per la cerimonia di saluto alle autorità civili, diplomatiche e religiose. Ero in prima fila, a due metri dalla sindaca, quando una persona si piazza alla mia sinistra. Occupato com’ero a lavorare non mi giro a guardare. L’uomo posa una mano sulla mia spalla e con l’altra mi inizia a tastare il sedere: un gesto da esperto, che trasudava sicurezza, al quale era anche associato un grande sorriso sul volto, come se si trattasse di qualcosa di normale. Ho capito solo qualche giorno fa che erano i gesti abituali di un predatore».
L’11 marzo viene depositata una terza denuncia contro Ventura. I fatti, in questo caso, si sarebbero svolti nel corso di un incontro con la comunità italiana a Parigi, nel 2018.
Ma non è solo dalla Francia che piovono problemi per il prelato. Il 22 febbraio scorso, secondo quanto riporta il quotidiano cattolico francese La Croix, una denuncia per molestie – che risalirebbero al 2008 – è stata depositata presso la nunziatura di Ottawa, in Canada, dove mons. Ventura è stato rappresentante della Santa Sede dal 2001 al 2009. La presunta vittima aveva 32 anni al momento dei fatti denunciati, che avrebbero avuto luogo presso il santuario Sainte-Anne de Beaupré in occasione della festa liturgica di Sant’Anna e San Gioacchino.
Nel momento in cui è stata resa nota la prima denuncia, inoltre, il quotidiano La Croix ha fatto sapere di aver raccolto una serie di testimonianze analoghe da parte di giovani uomini che non hanno sporto denuncia per diversi motivi. Qualcuno ha detto che il prelato «non si rende conto di quello che fa», qualcun altro, disilluso, ha spiegato che comunque «ha l’immunità diplomatica», qualcun altro ancora ha raccontato che una volta gli fu risposto da un buon conoscitore dei circoli della Chiesa: «Oh, quello è il nunzio, lo sanno tutti…» (La Croix, 15/2).
Le presunte vittime sembrano però avere dalla loro il governo, considerato che la ministra per gli Affari europei, Nathalie Loiseau, interpellata in merito a inizio mese, ha detto di aspettarsi che la Santa Sede si assuma le proprie responsabilità: «Attualmente – ha dichiarato – il nunzio gode dell’immunità diplomatica ma la Santa Sede è ovviamente al corrente delle gravi accuse contro di lui e sono più che certa che prenderà la decisione giusta» (CNEWS, 1/3).
E il cerchio sembra stringersi sempre più. È notizia di pochi giorni fa che la procura di Parigi ha chiesto ufficialmente la revoca dell’immunità diplomatica che, al momento, impedisce l’audizione del prelato. La procedura prenderà del tempo poiché, prima di essere inoltrata alla Santa Sed
e, dovrà passare per il Ministero di Giustizia e per il Ministero degli Esteri, ma la notizia è stata ovviamente accolta con soddisfazione dai querelanti. «È un primo passo. Speriamo vada in porto in modo da poter avanzare nelle indagini», ha commentato Edmond-Claude Fréty, avvocato di due delle presunte vittime (Afp, 15/3). «Vogliamo che il Vaticano dia l’esempio – ha proseguito – che vada fino in fondo nel suo percorso in materia di lotta all’impunità dei reati sessuali commessi da membri del clero. Mostrerebbe così che il cambiamento non è solo a parole». «I nostri assistiti aspettano un gesto politico forte – gli ha fatto eco Jade Dousselin, avvocato del terzo querelante – affinché la giustizia possa fare il suo corso e l’immunità non si traduca in impunità».
La Santa Sede si trova ancora una volta di fronte a un bivio: usare tutti i mezzi a disposizione per coprire, insabbiare, far cadere nel dimenticatoio il caso oppure privare il prelato dell’immunità diplomatica e fare in modo che la giustizia possa fare il suo corso? Certo è che non ci sarebbe niente di peggio che dimostrare ancora una volta il profondo scarto esistente tra le parole e i fatti.
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