L’uccisione di Romina Ashrafi e le responsabilità dell’islam
La brutale uccisione di una ragazzina di 13 anni da parte del padre in Iran ha scatenato indignazione in tutto il mondo. In molti puntualizzano però che “l’islam non c’entra”. Ashkan Rostami, iraniano, ateo, attivista per i diritti umani, in Italia da cinque anni non la pensa così. E si appella ai musulmani laici: “Fatevi sentire!”.
Intervista a Ashkan Rostami di Cinzia Sciuto
Decapitata dal padre mentre dormiva, a soli 13 anni, per aver “disonorato” la famiglia. Pare una storia di altri tempi, e invece è accaduta pochi giorni fa, il 21 maggio, in Iran. Romina Ashrafi è stata trovata mentre era in fuga con un uomo di 35 anni. Nonostante le sue richieste di non tornare in famiglia, dove temeva per la sua vita, il giudice l’ha “riconsegnata” al padre, come fosse un pacco perduto. Condannandola di fatto alla morte. Un delitto per il quale il padre sconterà una pena – se mai la sconterà – di molto inferiore a quella prevista per un “normale” omicidio: uccidere per tutelare l’“onore” della famiglia è infatti motivo per uno sconto di pena secondo le leggi della Repubblica islamica.
Una storia tragica, che ha scosso l’opinione pubblica mondiale soprattutto grazie alle denunce dei molti iraniani che vivono all’estero, come Ashkan Rostami. Trent’anni, da cinque a Parma dove si è trasferito per studiare informatica, oggi vive sempre nella cittadina emiliana con la moglie. Nato a Teheran, per i suoi primi quindici anni di vita ha seguito il tipico percorso dei bambini iraniani, con una educazione religiosa tradizionale. Ma la famiglia di Ashkan, figlio unico, era piuttosto liberale e ha invitato il figlio a leggere molto, a studiare, a informarsi. Un percorso allo stesso tempo politico ed esistenziale che ha condotto Ashkan dapprima a un attivismo politico contro il regime degli ayatollah e poi all’ateismo: “Cosa ben più pericolosa. Per attivismo politico contro il regime ti mandano al massimo in carcere per qualche anno, per ateismo ti mandano direttamente a morte”. Una volta arrivato in Italia, decide di continuare, e anzi rafforzare, il suo impegno civile e politico in favore della democrazia, dei diritti umani, della laicità. Oggi è coordinatore del circolo Uaar (Unione degli atei e agnostici razionalisti) di Parma e fondatore di diverse associazioni, fra cui quella degli Ex Musulmani d’Italia e l’associazione politico-culturale Persianus.
Ashkan, il delitto d’onore non è una prerogativa dell’islam. Una norma simile – che attenuava la pena – era prevista anche in Italia fino al 1981 e ancora oggi simili atroci delitti si consumano anche in altri paesi e in altri contesti religiosi. Allora l’islam non c’entra?
C’entra eccome invece. Il fatto che il delitto d’onore si consumi anche in altri contesti non può funzionare come alibi per l’islam. Senza addentrarci nell’interpretazione dei testi sacri, non c’è alcun dubbio che sia il Corano sia soprattutto diversi Hadith (i detti del Profeta, che sono importanti tanto quanto il Corano nell’islam) stabiliscano che le figlie sono sostanzialmente proprietà del padre prima e del marito poi, e questo rappresenta un’ottimo alleato per coloro che sostengono la legittimità del delitto d’onore. In Iran prima della rivoluzione che non a caso si chiama “islamica” una legge del genere non esisteva, sono stati gli ayatollah a introdurre questa come tantissime altre norme restrittive della libertà, soprattutto delle donne, ma non solo. E tutto in nome dell’islam. Non che l’Iran non fosse anche prima un paese patriarcale, lo è sempre stato. Ma certamente una intera legislazione ispirata alla shari’a non ha aiutato il paese ad emanciparsi, anzi.
In molti però, specie nell’ambito della sinistra europea, temono che sottolineare i nessi con l’islam alimenti l’islamofobia. Cosa rispondi?
Che non capisco neanche cosa voglia dire la parola “islamofobia”. È una parola stranissima, che dovrebbe significare “avere fobia dell’islam”, ossia di una ideologia – perché tali sono per me tutte le religioni. Ma naturalmente non ha senso: le ideologie si contrastano, si criticano, ma non se ne può avere una “fobia”. Io sono contro il fascismo, non sono “fascismofobo” e critico tutte le religioni, senza per questo essere “cristianofobo” né “islamofobo”. “Islamofobia” è una parola inventata dai musulmani più fondamentalisti per mettere a tacere le critiche all’islam. Se invece con questa parola si vuole indicare un sentimento di odio nei confronti dei musulmani in carne e ossa, beh allora ha ancora meno senso: io sono profondamente critico verso l’islam, ma non odio nessuno. E in particolare non odio i musulmani. Farlo significherebbe odiare il 90 per cento dei miei concittadini iraniani. Ma io amo il mio paese.
Ma allora perché la critica all’islam è respinta da tanta parte della sinistra?
Ci sono due motivazioni. Una è che per una certa parte della sinistra la priorità è essere antiimperialsiti, anticapitalisti e possibilmente antiamericani. L’islam è tutto questo, per cui se su altre questioni “secondarie”, come i diritti umani, è carente, pazienza. Il motto è: “Il nemico del mio nemico è mio amico”. Poi ci sono coloro che appunto non sanno distinguere le critiche, anche radicali, alle ideologie religiose, dal razzismo e allora per evitare di essere considerati razzisti, respingono anche le prime.
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Tu sei molto impegnato nell’associazionismo, stai tentando di animare diverse iniziative di ex musulmani sui temi della laicità e dei diritti umani: che risposta trovi, per esempio fra i tuoi concittadini iraniani in Italia e anche nelle altre comunità di persone provenienti dai paesi a maggioranza musulmana?
Purtroppo una risposta molto molto debole. Da un lato, molti giovani che sono venuti qui per studiare, per esempio, pur essendo magari laici e qualcuno persino ateo, non hanno voglia di esporsi perché hanno intenzione di tornare nei loro paesi e hanno dunque paura delle conseguenze. In diverse occasioni poi ho provato a coinvolgere le comunità musulmane in iniziative e dibattiti ma ho sempre ricevuto il silenzio come risposta. Anche coloro che non sono particolarmente religiosi né tantomeno estremisti, infatti, non hanno voglia di mettersi a discutere con me, un iraniano dichiaratamente ateo, perché la pressione della comunità è molto forte e non vogliono avere problemi. E questo naturalmente non fa che alimentare gli stereotipi perché non fa emergere la grande varietà che c’è anche all’interno del cosiddetto “mondo musulmano”, che non è affatto uniforme come si tende a credere. Però finché i più laici fra i musulmani non alzeranno la voce e non si faranno sentire, sarà anche colpa loro se si continuerà ad avere un’immagine stereotipata e schiacciata sull’islam più fondamentalista.
In alcuni paesi europei alcuni attivisti per la laicità e i diritti umani che esprimono critiche nei confronti dell’islam – come il politologo Hamed Abdel-Samad e l’avvocata nonché imam Seyran Ates in Germania – vivono sotto scorta. Tu hai paura?
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