L’Ungheria di Orban e il PPE

Massimo Congiu

La vicenda che vede protagonisti il Fidesz del primo ministro ungherese Viktor Orbán e il PPE va prevedibilmente per le lunghe. Ancora nessuna decisione da parte dei popolari europei sul destino del partito governativo ungherese; ancora non è chiaro se le strade dei due soggetti politici si divideranno una volta per tutte.

Il Fidesz, che alle legislative del 2018 ha superato di larga misura i suoi avversari, è sospeso dal PPE dal marzo dell’anno scorso per incompatibilità politiche: antidemocratica e antieuropea, secondo il PPE, la linea seguita dagli attuali governanti danubiani.
Da allora, il partito di cui Orbán è principio ispiratore e leader assoluto, è in posizione attendista; si guarda intorno e ostenta sicurezza. Del resto, a suo tempo, il premier aveva presentato ai suoi connazionali la sospensione a tempo indeterminato dal PPE come un successo personale. Aveva detto in tv che quello governativo non è un partito che si possa espellere o sospendere senza il suo consenso, e precisato: “abbiamo concordato noi la sospensione”.
Fino a quel momento le due forze politiche avevano trovato il modo di convivere ma negli ultimi tempi gli equilibri si sono incrinati rendendo sempre più difficile la coabitazione. La misura sarebbe stata raggiunta all’epoca della campagna elettorale per le europee dell’anno scorso caratterizzata quest’ultima, per quel che riguarda il Fidesz, da modalità offensive nei confronti dell’Ue e dello stesso Juncker. Questi era apparso ritratto insieme al magnate americano di origine ungherese George Soros nei cartelloni propagandistici governativi che accusavano i due di favorire l’immigrazione incontrollata in Europa.
L’abbassamento dei toni su richiesta di Martin Weber non ha modificato la linea appoggiata dal grosso dei popolari europei, e si è arrivati alla situazione odierna. Lo scorso gennaio le tensioni si sono acuite a causa della risoluzione del PPE, adottata a grande maggioranza, sulla situazione preoccupante dello stato di diritto in Ungheria e Polonia. Per Orbán si è trattato di una sorta di tradimento che avrebbe meritato l’immediata fuoriuscita del Fidesz. Ma in realtà l’ideale sarebbe, per il premier, restare nel PPE e cambiarlo dall’interno spostandone l’asse politico a destra, in senso nazionalista, facendo prevalere una linea che difenda le istanze oggi dette sovraniste; cosa non facile, soprattutto allo stato attuale dei fatti.
Con un occhio rivolto all’elettorato di destra e l’altro intento a sbirciare i movimenti in atto nel partito guidato da Manfred Weber, Orbán afferma oggi che se il PPE non appoggia la politica del Fidesz occorrerà cercare una nuova collocazione in Europa. La provocazione è che occorrerebbe fondare un nuovo movimento europeo di ispirazione cristiano-democratica, tanto più che, a suo avviso, non mancherebbe con chi crearlo. Si pensa che i futuri alleati politici dell’uomo forte di Budapest, se con il PPE dovesse andare male, siano i polacchi del PiS e la Lega di Salvini.
Il suo fine ultimo non sembra sia esattamente quello di rompere col PPE a titolo definitivo: da buon politico manovriero, Orbán lascia aperto uno spiraglio di cui approfittare al momento opportuno, se mai questo momento ci sarà, contemporaneamente continua a far la parte del leader forte e risoluto che non ha paura di Bruxelles e non le manda a dire.
Nei discorsi pubblici, alla radio e in tv, il primo ministro ungherese afferma che, oggi come oggi, nel PPE prevale una linea liberale, di sinistra, che i popolari europei stanno perdendo la loro identità e abbandonando i valori cristiani. Uno sbaglio, secondo Orbán, che parla di un’Ue ostaggio di quello che chiama “partito dell’accoglienza”. Il riferimento è a tutte quelle forze politiche impegnate, a suo dire, a incoraggiare l’immigrazione incontrollata di genti musulmane che metterebbero in pericolo la sopravvivenza dell’Europa e la sua identità culturale che per Orbán è inequivocabilmente cristiana.
Il leader ungherese sostiene che, così com’è, il PPE ha perso influenza e che le correnti in esso prevalenti stanno distruggendo la maggiore forza conservatrice europea. Così, a fine febbraio, il Fidesz ha stilato un memorandum che ritorna sulla perdita di identità politica e culturale del PPE, sul suo somigliare sempre più ai partiti liberali e di sinistra, e sulla necessità di spostare a destra la linea del partito in questione. Per il premier di Budapest occorrerebbe fare alleanze, all’interno del Parlamento europeo e anche in quelli nazionali, con partiti di destra. Il memorandum, che è stato pubblicato dall’agenzia di stampa ungherese MTI e lanciato anche sui social, non fa nomi, ma si pensa alla già menzionata Lega di Salvini e anche ai tedeschi dell’AFD.
Secondo Orbán, il congresso che il PPE ha tenuto a Zagabria non ha portato a un dibattito aperto sull’impostazione da seguire e Donald Tusk è “inadatto alla carica” che gli è stata conferita. Agli inizi di febbraio il PPE avrebbe dovuto decidere in merito alla sorte del Fidesz ma non vi è stata alcuna svolta nella vicenda. La sospensione degli arancioni era stata accolta dall’opposizione ungherese come un fatto positivo che, a suo avviso, avrebbe spianato la strada al declino politico di Orbán.
“L’Ue si è stancata del fatto che il premier distrugga sistematicamente i valori europei usando i soldi degli europei”, avevano commentato gli esponenti del partito Momentum. Le forze antigovernative auspicano una lezione esemplare che ponga fine una volta per tutte all’arroganza fidessina, ma i giochi sono tutt’altro che fatti. I tempi delle decisioni si sono allungati e l’emergenza Coronavirus ha imposto altre priorità a livello europeo.
Per il resto, occorre vedere se, al momento opportuno, prevarranno nel PPE l’opportunismo o le questioni di principio. Il Fidesz ha un suo peso e fornito un modello di riferimento ad altri leader europei che si collocano entro un orizzonte politico conservatore e nazionalista. Orbán, intanto, sembra prepararsi a ogni eventualità e, semmai il suo partito dovesse essere espulso dichiarerà, prevedibilmente, che è stato il Fidesz a volersene andare via per ricostruire, attraverso una nuova forza politica, un percorso europeo attento ai valori nazionali e cristiani.
(20 marzo 2020)





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