L’uomo del Fiscal Compact all’Economia. Ecco chi è il neoministro Gualtieri

Domenico Moro

Il nuovo governo Conte offre garanzie alle istituzioni europee e ai mercati tramite una serie di personalità, tra queste spicca il titolare al Mef con una storia politica emblematica della mutazione della sinistra, in particolare del passaggio della parte maggioritaria dell’ultimissimo Pci a partito neoliberista che, mascheratosi di una patina di sinistra, ha finito per adottare politiche sempre più di destra sui più decisivi temi economici e sociali.


Ogni epoca ha i suoi uomini, che ne esprimono il carattere e le forze sociali prevalenti. Questo vale anche per il governo Conte bis e i ministri che ne fanno parte. In particolare, vale, a causa della centralità del ruolo e della sua storia personale, per il neoministro dell’economia Roberto Gualtieri.

Il governo Conte bis nasce con l’endorsement, all’incontro di Biarritz del G7, di Trump, Macron e Merkel. La sua nascita è salutata, come titola il Sole 24ore, dall’applauso dei mercati: la borsa di Milano cresce dell’1,58%, precedendo Parigi, Francoforte e Madrid, mentre lo spread cala a 148 punti, ritornando ai livelli precedenti la nascita del governo Lega-M5s.

Grazie soprattutto alle garanzie offerte agli investitori internazionali da Roberto Gualtieri, per le ragioni che vedremo, anche le maggiori agenzie di rating internazionali danno un giudizio positivo. Secondo Standard & Poor: “la nuova coalizione di governo può spianare la strada a importanti adeguamenti politici compreso il nodo critico della Legge di Bilancio 2020”. Fitch rileva che l’uscita della Lega dalla compagine di governo “riduce il rischio che le autorità italiane si svincolino dalle regole e dai processi europei, cosa che avrebbe potuto causare instabilità sui mercati finanziari”. Più di recente anche le maggiori imprese italiane, riunite per il loro incontro annuale a Cernobbio, hanno espresso la loro soddisfazione per il nuovo governo.

Tutti questi giudizi positivi dipendono dal fatto che la collocazione di questo nuovo governo all’interno della Nato e all’alleanza con gli Usa e soprattutto all’interno della Ue e dell’area euro è chiara e senza dubbi. Tale collocazione è garantita non solo dal M5s che sembra aver fatto una inversione di 180° rispetto al proprio precedente anti-europeismo, impegnandosi nei suoi punti programmatici a “perseguire una politica economica espansiva senza compromettere l’equilibrio di finanza pubblica”. La collocazione euroatlantica è garantita soprattutto dalla sostituzione della Lega col nuovo partner di governo, il Pd, che controlla le caselle più importanti per interfacciarsi con l’Europa e i mercati e che rappresenta storicamente il garante degli impegni internazionali italiani con la Nato e la Ue. Del resto, il Pd fa parte del Partito socialista europeo (Pse), che è stato, insieme e forse anche più del Partito popolare europeo, la gamba su cui sono state portate avanti l’integrazione europea e l’austerity.

Il Pd offre garanzie alle istituzioni europee e ai mercati tramite una serie di uomini collocati fuori e all’interno del governo. All’esterno del governo troviamo David Sassoli, presidente dell’Europarlamento, e soprattutto Paolo Gentiloni che è stato nominato da Conte come rappresentante italiano nella Commissione europea sotto Ursula von der Leyen. All’interno del governo troviamo Vincenzo Amendola, ministro degli Affari europei, e soprattutto Roberto Gualtieri, ministro dell’economia e delle finanze, che, al momento in cui ancora non ne era sicura la nomina, ha incassato l’endorsement addirittura di Christine Lagarde, la neonominata presidente della Banca centrale europea: “La nomina di Roberto Gualtieri a ministro dell’economia sarebbe un bene per l’Europa e per l’Italia”.
Gualtieri presenta una storia politica che è emblematica della trasformazione interna della sinistra, in particolare del passaggio della parte maggioritaria dell’ultimissimo Pci a partito neoliberista, che mascheratosi di una patina di sinistra, ha finito per adottare sui temi più decisivi, a livello economico e sociale, politiche sempre più di destra.
Gualtieri, professore di storia alla Sapienza, dopo “molti tecnici” è il primo politico e il primo non economista da molto tempo ad occupare la poltrona di ministro dell’economia. Ha iniziato come iscritto alla Federazione dei giovani comunisti a metà anni ‘80. Tra 2001 e 2006 è stato membro dalemiano della segreteria romana dei Ds e dal 2008 è nella direzione nazionale del Pd. Inoltre, tra 2001 e 2016 è stato vicedirettore del più prestigioso istituto culturale della sinistra, l’Istituto Gramsci, di cui dal 2016 continua a essere membro del comitato dei garanti. Significativo è il ruolo rivestito da Gualtieri nella nascita del Pd. È stato uno dei tre relatori del convegno di Orvieto che ha dato vita alla costruzione del nuovo partito e in seguito ha fatto parte della commissione di saggi nominati da Romano Prodi che ha redatto il “manifesto” per il partito democratico.
Ma è a livello europeo che Gualtieri ha spiccato il volo, entrando nel 2009 nel Parlamento europeo. In particolare, Gualtieri tra 2014 e 2019 ha occupato l’importante poltrona di Presidente della Commissione per i Problemi Economici e Monetari del Parlamento europeo. Nello stesso periodo, però, è stato anche Presidente del Banking Union Working Group e del Financial Assistance Working Group del Parlamento europeo. Più di recente è entrato a far parte del gruppo negoziale con il Regno Unito per la Brexit. Questi ruoli lo hanno condotto a interessarsi, come uomo di punta del Pse, di tutti i dossier più importanti, cosa che oggi evidentemente i mercati giudicano positivamente.
A questo proposito è da rimarcare che Gualtieri ha legato il suo nome al trattato più famigerato mai varato dalla Ue. Infatti, nel 2011 è stato negoziatore per conto del Parlamento europeo del Fiscal compact, che ha obbligato l’Italia a inserire in Costituzione l’obbligo di pareggio di bilancio. La riforma del Trattato di stabilità del 2011, ricordiamolo, ha inasprito i vincoli previsti in precedenza, introducendo misure più rigide e penalizzazioni automatiche per chi violi i parametri del 3% al deficit e di riduzione progressiva del debito al 60%. È il Fiscal compact che, in concomitanza con la crisi peggiore dell’Europa dal 1929, ha impedito qualsiasi politica espansiva anticiclica. In questo modo il Fiscal compact ha trascinato a picco le economie di molti Paesi europei, e ha contratto pesantemente il welfare e l’assistenza sanitaria con risultati devastanti per le persone, specie in Grecia ma non solo lì.
Oggi, è proprio grazie alla sua esperienza con il Fiscal compact e ai buoni rapporti con le istituzioni e il personale (politico e burocratico) europeo che Gualtieri tranquillizza i mercati, che poi non sono altro che il grande capitale internazionalizzato. Questo settore dell’economia, come appare dalle dichiarazioni di Standard & Poor e Fitch, ha un’unica preoccupazione: durerà il governo? La risposta dipende in parte dal M5s. Più precisamente dipende dal fatto se cederà sulle questioni più decisive rispetto a quella che, con tutta evidenza, appare essere una posizione di egemonia del Pd. Per ora sulle nomine ad alcune caselle più importanti, come quella del rappresentante alla Commissione europea e su quella del ministro dell’economia e delle finanze ha già ceduto. Vedremo quello che accadrà sui temi più caldi, a partire dalle concessioni autostradali.
Tuttavia, come abbiamo detto, la risposta sulla durata del governo dipende solo in parte dal M5s. In buona parte dipende dal rallentamento dell’economia, in particolare di quella italiana. Questo rallentamento dipende dal riemergere della crisi economica strutturale, acuita dall’austerity europea e dalle varie guerre commerciali in atto. In mancanza di decise politiche espansive in deficit e in presenza di politiche di contenimento del debito, è probabile che la crisi economica si aggravi, determinando una crisi politica che potrebbe pregiudicare la durata della coalizione di governo. Nel contesto appena descritto, il nuovo ministro dell’economia non potrà esimersi dal fare quello che, secondo Monti, sarebbe il compito inerente al suo ruolo, “scontentare la gente”. Se così sarà, come è probabile, in mancanza di un tecnico cui addossare le colpe, sarà il Pd e il governo tutto a doverne pagare le conseguenze.

(9 settembre 2019)



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