L’8 per mille laico della Chiesa valdese

Ingrid Colanicchia

È tempo di dichiarazione dei redditi e partono dunque le campagne pubblicitarie delle confessioni religiose che hanno accesso alla ripartizione dei fondi (più di un miliardo di euro ogni anno). Il lancio di quella della Chiesa valdese – che punta sulla laicità con la quale ha sempre gestito le risorse – è occasione per rimettere a tema alcuni nodi e criticità dell’istituto.



Per quest’anno ha scelto uno slogan che restituisce davvero tutto il senso del suo impegno: “L’altro 8 per mille”. Perché quello gestito dalla Chiesa valdese è un 8 per mille diverso: diverso perché da sempre trasparente (sul sito ottopermillevaldese.org è disponibile il rendiconto dettagliato degli interventi finanziati), diverso perché da sempre utilizzato in maniera laica, essendo finalizzato esclusivamente a interventi sociali, educativi e culturali, in Italia e all’estero.

La campagna pubblicitaria al via in questi giorni anche quest’anno mette al centro il messaggio dell’accoglienza ed è composta di immagini di persone fiduciose e sorridenti che allargano le braccia verso gli altri. “È un’immagine che riassume gran parte dei progetti che sosteniamo con i proventi dell’8 per mille”, spiega il moderatore della Tavola valdese, il pastore Eugenio Bernardini. “Accogliamo persone in difficoltà, diversamente abili, anziani, svantaggiati, migranti. Ma anche uomini e donne che subiscono l’esclusione sociale, il pregiudizio e la discriminazione. Lo facciamo con le nostre strutture di servizio così come con centinaia di associazioni laiche, cattoliche, ecumeniche e interreligiose. Insomma ‘con gli altri’. E lo facciamo con la speranza che viene dalla nostra fede cristiana, convinti che anche un piccolo seme gettato nel terreno un giorno potrà dare frutti importanti”.

Quello alla Chiesa valdese è un 8 per mille principalmente “altro” rispetto alla Chiesa cattolica, la quale, se sulla trasparenza ha fatto alcuni passi avanti (dal 2016 sul sito dedicato – www.8xmille.it – è disponibile una mappa interattiva attraverso la quale è possibile conoscere più nel dettaglio le iniziative finanziate dalla Conferenza episcopale sul territorio italiano),circa la ripartizione dei fondi è ben lontana dal poter dire “neppure un euro per il culto”.

Secondo gli ultimi dati disponibili (quelli del 2016, relativi alla dichiarazione dei redditi del 2013), del  miliardo e 18 milioni di euro assegnati alla Chiesa Cattolica per il 2016 (di cui 7 milioni a titolo di conguaglio sulle somme riferite all’anno 2013), 350 milioni sono andati al “sostentamento del clero”, 399 milioni alla voce “esigenze di culto e pastorale” (che comprende i fondi destinati: alle diocesi “per culto e pastorale”, all’“edilizia di culto”, al “fondo per la catechesi e l’educazione cristiana”, ai “Tribunali ecclesiastici regionali” e ad altre “esigenze di rilievo nazionale”) e 270 milioni agli “interventi caritativi”, dei quali alle diocesi, “per la carità”, 145 milioni, al “Terzo Mondo” 85 milioni e alle “esigenze di rilievo nazionale” 40 milioni.
Una ripartizione ben lontana dal famoso slogan “Chiedilo a loro” che vorrebbe far passare il messaggio che la gran parte dei fondi è impiegata a scopi caritativi.

Inoltre non tutti sanno che quel miliardo e più che la Chiesa riceve ogni anno è generato da un meccanismo nient’affatto trasparente, che lo Stato si guarda bene dall’illustrare ai contribuenti: il meccanismo in base a cui le quote non espresse – quelle che non vengono destinate, perché il contribuente non firma né per lo Stato né per una delle confessioni religiose che ha accesso ai fondi – sono comunque ripartite in proporzione alle firme ottenute. E che fa sì che la Chiesa cattolica con il 37% delle firme incassi l’80% dei fondi.

Un meccanismo che la Corte dei Conti ha bacchettato per ben tre volte negli ultimi due anni e mezzo – con deliberazioni del dicembre 2016, dell’ottobre 2015 e del novembre 2014 – insistendo sulla necessità di una rinegoziazione del sostegno finanziario alle confessioni religiose.

Il governo finora ha fatto orecchie da mercante, così come ha fatto cadere nel vuoto le reiterate sollecitazioni a promuovere specifiche campagne pubblicitarie mirate a sensibilizzare la scelta del contribuente a favore dello Stato, considerato che quest’ultimo è l’unico competitore che non sensibilizza l’opinione pubblica sulle proprie attività con campagne pubblicitarie (mentre, per fare un esempio, nel 2013 la Chiesa cattolica ha speso, solo per gli spazi pubblicitari Rai, oltre 3 milioni e mezzo di euro) “dando l’impressione che l’istituto sia finalizzato – più che a perseguire lo scopo dichiarato – a fare da apparente contrappeso al sistema di finanziamento diretto delle confessioni”.

Come se non bastasse in passato si è assistito anche a un vero e proprio furto dell’8 per mille di competenza statale. La legge 222/1985 prevede che questi fondi possano essere destinati solo a interventi straordinari per “fame nel mondo”, “calamità naturali”, “assistenza ai rifugiati” e “conservazione di beni culturali” (con la legge 147/2013 si è aggiunta anche l’edilizia scolastica) e invece sono stati spesso utilizzati per finalità totalmente diverse: come ad esempio per il risanamento del bilancio pubblico oppure per le missioni militari, come quelle in Iraq e Afghanistan. Inoltre una parte consistente dell’8 per mille destinato allo Stato è finito spesso, di fatto, alla Chiesa cattolica, perché utilizzato per il restauro di chiese ed immobili ecclesiastici (sotto la voce “beni culturali”) oppure devoluto ad associazioni e organizzazioni di matrice cattolica impegnate in interventi per la fame del mondo o per i rifugiati.

A luglio, quando saranno diffusi i dati del Ministero dell’Economia e delle Finanze relativi alla dichiarazione dei redditi del 2014, si potranno tirare altre somme. Si vedrà come sono andate le cose per l’Unione induista italiana (Sanatana Dharma Samgha) e l’Unione buddhista italiana (Ubi), entrate nell’elenco dei destinatari a partire proprio dal 2014. E si potrà capire meglio se la Chiesa cattolica ha beneficiato di un “effetto Francesco” in ambito 8 per mille: i dati dello scorso anno, relativi alla dichiarazione dei redditi del 2013, hanno mostrato un lieve aumento delle firme (+ 40mila) ma all’epoca non era ancora scattata la “Bergoglio mania” essendo allora Francesco “in sella” da appena un paio di mesi; i dati di quest’anno, che afferiscono al 2014, sono senz’altro più significativi per capire se l’asserita rivoluzione di Francesco ha portato anche più soldi nelle casse, già pingui, della Chiesa.

(29 aprile 2017)



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