L’autorganizzazione sta salvando le periferie dall’abbandono pubblico: il caso Tor Bella Monaca
Carlo Cellamare
Tor Bella Monaca nell’immaginario collettivo rappresenta uno dei luoghi simbolo del degrado. È un quartiere totalmente «pubblico», ma anche quello meno «pubblico». La percezione della distanza delle istituzioni e dell’amministrazione pubblica è qui particolarmente forte. La percentuale di occupazioni, la mancanza di manutenzione, la pulizia autogestita (e non «pubblica»), le morosità e la deregulation, la mancanza di interlocutori a cui rivolgersi o che ti rispondano, la mancata riassegnazione delle case lasciate libere fanno di questo posto l’emblema dell’assenza del «pubblico». Se non ci fossero gli edifici a testimoniare che il «pubblico» c’è, o ci sarebbe. Tanto più sono luoghi disertati dalla politica, che ha lasciato il campo delle periferie ormai da molti anni.
Per evidenziare la complessità della situazione e la problematicità dei vissuti quotidiani, basti pensare alla difficoltà di vivere gli spazi pubblici, sebbene presenti all’interno del quartiere. Lo spazio pubblico è il luogo conteso dagli abitanti allo spaccio, rappresenta il luogo della lotta quotidiana con la droga. Per questo è spesso un luogo non piacevole, da evitare; e contemporaneamente il luogo da riconquistare.
In questa situazione si struttura, come d’altronde in tanti altre parti di Roma, la città «fai-da-te» (Cellamare 2019a), con tutti i pro e contro che questo comporta, perché ciò significa conflitti, fatica di vivere, messa in crisi della solidarietà. Se, da una parte, vediamo processi di riappropriazione, dall’altra la legge del più forte rischia di essere sempre sull’orizzonte di vita delle persone.
In questi quartieri, e in particolare a Tor Bella Monaca, operano alcune realtà (sia nella semplice collaborazione tra abitanti sia nelle forme organizzate delle associazioni e dei comitati) che smentiscono radicalmente quell’immagine così negativa e omologante che spesso se ne ha.
A Tor Bella Monaca, nonostante la maggior parte degli abitanti (eccetto i morosi, ovviamente) pagano con l’affitto una quota destinata alla pulizia delle scale e alla manutenzione degli spazi comuni, la manutenzione e la pulizia delle scale non viene fatta. Gli abitanti si sono quindi organizzati per provvedere in autonomia. Generalmente le famiglie si organizzano per scale, si autotassano (per quello che possono), raccolgono i soldi e li utilizzano per pagare una persona (possibilmente della stessa scala) che provveda alla pulizia. Ancora più complicato è autorganizzarsi per provvedere alla manutenzione degli spazi comuni e in particolare delle aree verdi (si pensi, ad esempio, a una torre con 75 appartamenti e nuclei abitativi quali difficoltà di collaborazione possa incontrare), ma nonostante questo si riescono a ottenere ottimi risultati e le aree verdi pertinenziali appaiono di grande qualità.
Particolarmente rilevante ed efficace l’impegno di alcune associazioni e comitati, ad esempio dell’associazione TorPiùBella nella zona di via Santa Rita da Cascia o di un gruppo di abitanti particolarmente agguerriti nella zona di via San Biagio Platani. In entrambi i casi (ma non sono gli unici) gli abitanti fanno una battaglia quotidiana per mantenere la qualità e cura e rendere fruibile a tutti alcuni spazi condominiali, gli spazi pertinenziali, gli spazi inutilizzati al piano terra degli edifici (usati per servizi al quartiere), alcune aree verdi e i piccoli parchi urbani, abbandonati dal Comune, dal Servizio Giardini e dagli altri soggetti istituzionali che dovrebbero occuparsene. Si tratta di una battaglia quotidiana, perché significa fronteggiare ogni giorno lo spaccio della droga che tende a colonizzare e a degradare lo spazio comune (distruggere i lampioni, eliminare le luci, rovinare i portoni per lasciare gli accessi passanti ecc.) per poter svolgere liberamente i propri traffici illeciti.
Analogamente, viene svolto un grande lavoro dal locale sindacato AsIA, che si occupa del problema della casa, delle assegnazioni, di scoraggiare occupazioni abusive fatte solo per interesse e per traffici a favore del mercato nero, e di sostenere invece chi ne ha effettivamente bisogno, segnalando anche all’Ater e al Comune quando le case risultano vuote o inutilizzate, ma non vengono riassegnate. Tra le altre cose, AsIA e il connesso Comitato di quartiere sono interessati all’utilizzazione degli spazi dei piani terra degli edifici (in particolare in via dell’Archeologia), teoricamente destinati ad attività commerciali ma attualmente abbandonati, per svolgere un laboratorio di quartiere e servizi per i complessi residenziali limitrofi.
Bisogna segnalare il lavoro del centro sociale El CHEntro e del connesso Cubo Libro, una biblioteca autogestita, ma anche la Ciclofficina e un laboratorio artigianale di ceramica.
In tutto il quartiere non esiste la biblioteca comunale. Un gruppo di persone, soprattutto giovani ragazze, ha pensato bene quindi di mettere in piedi una biblioteca «pubblica», anche se autorganizzata, il Cubo Libro appunto, raccogliendo donazioni, anche dagli stessi abitanti. Fornisce libri e sostiene i bambini nelle attività extrascolastiche. Ovviamente potrebbe essere considerato «irregolare», ma è l’unico servizio «pubblico» di questo tipo. Tutte queste attività (così come il vicino sindacato dei disabili, Sidi, che ha qui la sua sede nazionale) riutilizzano (irregolarmente) edifici abbandonati, fornendo servizi al quartiere. Sempre vicino a largo Mengaroni, più recentemente, svolge le sue attività una rete di associazioni che utilizza l’ex Fienile, un edificio ristrutturato con i fondi Urban e (in questo caso) regolarmente assegnato tramite bando, e che si propone come polo di iniziative culturali e sociali sviluppate in forma collaborativa all’interno del quartiere.
Più in prossimità del complesso residenziale R5 un gruppo di madri ha occupato un piccolo edificio abbandonato (una volta utilizzato come asilo nido e prima ancora come locale lavatoio), lo ha ristrutturato con l’aiuto e il sostegno di alcune famiglie del vicino complesso residenziale trasformandolo in una ludoteca, ben organizzata e aperta ai bambini dell’R5.
Alcune di queste realtà sociali hanno avviato un percorso di collaborazione e, con il sostegno di ActionAid, attraverso un percorso di alternanza scuola-lavoro presso il vicino Liceo scientifico Amaldi, hanno sviluppato un programma di riqualificazione del quartiere, che è stato poi condiviso dal Municipio.
Molte altre sono le realtà culturali e sociali che operano a Tor Bella Monaca, dal Cis a largo Castano alla parrocchia, da Sant’Egidio (con un rapporto non propriamente lineare col quartiere) al Centro antiviolenza per le donne (poi sfrattato).
Si tratta anche di realtà che sono spesso presidio di civiltà e di solidarietà, ricche di progettualità e dove si realizzano forme di convivenza aperta e inclusiva, nonostante le evidenti difficoltà in cui si collocano.
Di fatto, in mancanza di un’azione forte del «pubblico»[i], il quartiere si organizza autonomamente con moltissime iniziative, che realizzano «rigenerazione dal basso», anche se in maniera non organica e strutturata. Su questa dinamica si stanno innestando recentemente alcuni progetti più strutturati, anche con la collaborazione dell’università[ii], che di fatto vanno quasi a costituire un programma di «rigenerazione dal basso» i cui criteri fondamentali
sono: riutilizzazione degli spazi pubblici abbandonati (in particolare, i piccoli edifici destinati a servizi e i locali a piano terra degli edifici, originariamente destinati a funzione commerciale); destinazione ad attività produttive (artigianale) o di servizio al quartiere; coinvolgimento dei soggetti locali (già attivi) nella loro gestione; valorizzazione delle progettualità locali e delle iniziative esistenti di valore sociale; sviluppo di servizi al quartiere; attivazione di percorsi lavorativi connessi alle attività caratterizzanti queste aree (manutenzione edilizia, manutenzione del verde, gestione di servizi sociali, gestione degli spazi comuni); integrazione con progetti educativi; ruolo centrale dei programmi e delle attività culturali. Sono solo alcuni dei criteri intorno a cui si stanno strutturando i programmi di riqualificazione[iii] e si sono attivati alcuni percorsi di finanziamento.
Più in generale ci possono aiutare per pensare «politiche per l’autorganizzazione», a Tor Bella Monaca come in altre periferie, caratterizzate da sviluppo di forme di sostegno e valorizzazione di queste progettualità, di queste capacità di iniziativa e di autorganizzazione, di recupero della distanza tra istituzioni e politica, da una parte, e abitanti e territori, dall’altra, ma anche di un ruolo di programmazione e di governo da parte dell’amministrazione pubblica in consonanza con le esigenze e le dinamiche locali[iv], da un nuovo ruolo che potrebbe essere definito «abilitante» da parte delle istituzioni nel rapporto con i territori.
In questa prospettiva, nello specifico contesto di Tor Bella Monaca, dove un tema centrale è quello della casa, alcune linee di lavoro – indicate in forma esemplificativa – potrebbero essere:
– Costituzione di una struttura di riferimento a livello locale dell’Ater (anche in connessione con il Municipio), che possa assumere anche le caratteristiche di uno specifico laboratorio di quartiere (o quantomeno individuare un soggetto referente per l’interlocuzione con le realtà locali).
– La manutenzione del verde pertinenziale e delle aree verdi. Questo può avvenire (come già in parte avviene) attraverso il diretto coinvolgimento dei cittadini, nelle forme dell’affidamento convenzionale (o altre forme di riconoscimento) e favorendo l’occupazione. L’affidamento può essere attuato attraverso bandi, con criteri che favoriscano le realtà locali e i soggetti già impegnati nella manutenzione (e anche le categorie più giovani), ad esempio cooperative sociali su base locale.
– Gli orti. Individuazione delle fasce da destinare a orti e assegnazione con criteri che favoriscano le realtà locali, la trasparenza, la gestione collettiva, la produzione con criteri di sostenibilità; anche in connessione con un rinnovato ruolo dell’agricoltura periurbana multifunzionale.
– Utilizzazione delle vaste aree inedificate disponibili per attività produttive compatibili, come ad esempio la vivaistica, prodotti per gli orti e il giardinaggio ecc.
– Autorecupero. L’autorecupero assume due caratteri fondamentali. Il primo è l’autorecupero per le riparazioni e gli adeguamenti dei singoli appartamenti già in uso, da parte dell’inquilino. Il secondo riguarda la possibilità di recuperare appartamenti e unità abitative attualmente inutilizzabili e che l’Ater (o il Comune) non è in grado di recuperare.
per questo secondo scopo esiste anche una specifica legislazione regionale che potrebbe risultare favorevole. Per quanto riguarda il primo aspetto, si tratta di individuare linee guida per l’autorecupero, ovvero per quegli interventi che possono essere gestiti in proprio dall’inquilino. L’attuazione di tali interventi da parte dell’inquilino interessato comporterebbe poi la possibilità di decurtare i costi sostenuti dagli affitti
dovuti all’Ater. Per quanto riguarda il secondo aspetto, appare allo stesso tempo particolarmente promettente e alquanto problematico. La legge prevede infatti che il potenziale utilizzatore dell’unità da recuperare anticipi il finanziamento necessario agli interventi, recuperandolo poi dai canoni dovuti. Questo fa sì che si possano creare distinzioni (socialmente ingiuste) tra chi si può permettere gli interventi (o che può recuperare i finanziamenti necessari) e chi non se lo può permettere, arrivando anche a uno «scavalco» nelle liste di assegnazione. Inoltre, molti potrebbero rivolgersi al prestito illecito o alla malavita organizzata per ottenere il finanziamento necessario, con le distorsioni che ne derivano. Il sostegno all’autorecupero in questa seconda forma dovrebbe essere quindi accompagnato da un sostegno all’iniziativa privata (anche in condizioni di difficoltà, e quindi seguendo le liste di assegnazione), ad esempio tramite il microcredito (e il soggetto pubblico può svolgere funzione di garanzia).
– Destinazione degli spazi «commerciali» inutilizzati per scopi sociali. L’Ater e il Comune dispongono di spazi originariamente destinati alle attività commerciali. Questi devono essere allocati a prezzi di mercato, secondo la normativa. Le attività commerciali, però, molto spesso non riescono a reggere e quindi i negozi chiudono e/o tali spazi rimangono inutilizzati, incrementando la situazione di degrado. L’Ater sta già lavorando all’elaborazione di regolamenti e bandi che prevedano una situazione favorevole per la destinazione ad attività svolte con scopi sociali e di utilità pubblica, ovvero l’assegnazione a canoni accessibili o nulli a quelle attività riconoscibili come socialmente radicate e che operano a fini sociali e collettivi. A Tor Bella Monaca vi sono già diverse proposte e richieste in merito. Tra l’altro questo percorso potrebbe andare incontro all’attività di produzione culturale già presente nel quartiere, come quella musicale, attraverso la realizzazione di sale prove o di spazi destinati appunto alla musica. Ma vi sono proposte anche di scuole di musica e danza, di scuole di italiano, di laboratori sociali ecc., così come sono già attivate iniziative (spesso attraverso occupazioni che richiedono un riconoscimento) per spazi destinati a biblioteche e ludoteche.
– Analoghe linee di azione possono essere perseguite per la gestione e l’utilizzazione degli spazi pubblici non utilizzati o abbandonati o che versano in condizioni di degrado, ad esempio ripetendo l’esperienza già sviluppata nel passato e di grande successo per quanto riguarda la gestione della manutenzione di largo Castano affidata al Cies. Ancora, analoghe politiche possono essere condotte nella gestione e manutenzione del patrimonio storico-culturale e archeologico presente (assecondando l’iniziativa sviluppata dall’associazione TorPiùBella nel recupero della via Gabina).
– Portierato. È questa una proposta avanzata dalle realtà locali, soprattutto in quei contesti dove già alcuni soggetti, o gruppi di soggetti, si sono organizzati per gestire gli spazi comuni degli immobili (per esempio le torri di via Santa Rita da Cascia su iniziativa dell’associazione TorPiùBella) e fronteggiare la presenza della malavita organizzata e dello spaccio della droga.
Due tematiche fondamentali rimangono però al centro di questa prospettiva.
In primo luogo, bisogna comunque affrontare il tema dell’assegnazione della casa pubblica e, nel complesso, della gestione di questo processo. E
quindi anche della riorganizzazione degli enti di gestione, come l’Ater. L’organizzazione attuale prevede che l’Ater sia un ente economico e quindi raggiunga il pareggio di bilancio. D’altra parte la normativa vincola alcuni aspetti (come la definizione dei canoni) obbligando l’Ater in una condizione di difficoltà di gestione. Probabilmente sarebbe necessario definire prima i criteri che permettano all’Ater di raggiungere il pareggio di bilancio attraverso una buona gestione del patrimonio, e poi integrare con altre politiche (più legate al sociale) ed eventuali sussidi, che vadano a sostegno degli inquilini in stato di bisogno. Tale organizzazione è, per esempio, quanto avviene in Germania (Puccini 2016).
In secondo luogo, un tema centrale è quello del lavoro e quindi l’importanza del sostegno alle economie locali. Tale linea di azione è fondamentale prima di tutto per la lotta alla povertà (ma anche alla disoccupazione e quindi al disagio sociale), ma anche per un fondamentale recupero di dignità delle persone e delle periferie, per una prospettiva complessiva di promozione umana e sociale, e infine anche perché hanno una serie di esternalità positive e di altre dimensioni immateriali connesse: sostegno all’imprenditorialità, contrasto alla malavita organizzata e alle economie criminali, socialità e ricostruzione del tessuto sociale (cooperative sociali, spirito di collaborazione), riappropriazione degli spazi e del quartiere nel suo complesso, emersione del nero, ricostituzione della fiducia a livello locale (si vede che si fa qualcosa per il locale).
Questa logica, in termini di politiche per l’autorganizzazione[v], significa sostegno alla costituzione in autonomia di catene di produzione di valore, anche di carattere non economico e monetario in senso stretto, sottratte all’estrattivismo del capitalismo neoliberista e tradotte in ricchezza che rimane sul territorio.
Ovviamente non saranno le microeconomie locali che risolveranno i problemi di questi quartieri, ma qui si propone soprattutto un approccio e ad esso si dovrebbe accompagnare una riflessione (e un progetto sulla città) in grado di integrare tali economie locali nelle economie più ampie della città.
[i] Bisogna comunque ricordare il grande impegno del locale Municipio VI, in particolare per quanto riguarda alcuni progetti nel sociale (in particolare a sostegno dello sviluppo della ludoteca) e nella cultura. A questo proposito l’assessorato alla cultura sta sviluppando un ampio progetto, «Diamoci una Tor Bella mano», che miri alla riqualificazione del quartiere a partire proprio dalla cultura, con diverse componenti, dalla street art alla realizzazione (in collaborazione con il Macro di Roma) del Rif, il Museo delle Periferie. Su questo programma, cfr. lo specifico contributo di Alessandro Marco Gisonda, infra, pp. 305-7.
[ii] In particolare, in primo luogo, un progetto sviluppato in collaborazione dal Liceo Amaldi, dall’Università (il LabSU-Dicea, Sapienza Università di Roma), da alcune realtà locali (centro sociale El CHEntro, Comitato di quartiere, la locale libreria Booklet Le Torri) e da alcuni professionisti e finanziato dal Mibact – Ministero dei Beni culturali. In secondo luogo, un progetto finanziato da una fondazione romana che integra un progetto
educativo (in cui è coinvolto il Cubo Libro), la riqualificazione di largo Mengaroni e la costituzione di spazi di aggregazione e attrezzati (con il supporto del LabSU) anche tramite laboratori di autocostruzione, lo sviluppo di percorsi miranti a una futura professionalizzazione, la collaborazione con la vicina scuola media, la ristrutturazione del Cubo Libro stesso.
[iii] Si preferisce non utilizzare il termine «rigenerazione urbana» proprio perché abusato e già distorto ancor prima che nascesse e trovasse un’applicazione condivisa.
[iv] «Politiche per l’autorganizzazione» non significa meno «pubblico», anzi. Piuttosto bisogna ripensare il senso delle istituzioni, il loro ruolo, la loro capacità di azione e programmazione.
[v] Si tratta peraltro di criteri che, nel caso si volesse perseguire la via dei bandi pubblici a sostegno delle economie locali, potrebbero essere facilmente tradotti in criteri di valutazione dei progetti e di assegnazione dei finanziamenti.
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