La “bestia triumphans” di Salvini
Michele Martelli
Nell’immaginario bestiario politico italiano, nell’ultimo ventennio dominato dalla figura del «Caimano», mostro dalle fauci tritatutto ora dormiente, qualcuno ha avvertito che qualcosa mancava, qualcosa di paradossalmente semplice, quasi tautologico, alla portata di tutti: quel qualcuno è Luca Morisi, il fantasioso spin doctor informatico di Matteo Salvini, il «Ministro degli Esterni», come è oramai consueto chiamarlo; quel qualcosa è «LA BESTIA», la formidabile macchina propagandistica mass-mediatica costruita da Morisi per le «magnifiche sorti e progressive» politico-elettorali di Salvini.
All’efficacia e pervasività di questo sistema digitale è dovuto gran parte del successo gonfiato di Salvini e della sua Lega. Come ha spiegato su Fanpage l’informatico italiano Alex Orlowski intervistato da Sandro Ruotolo, si tratta di un abile congegno per massimizzare il consenso in rete in modo esponenziale, moltiplicando like, post e falsi account; gli incerti vengono convinti con un ingannevole epurazione del linguaggio (per es., pensa che «non sei razzista e xenofobo», ma che soltanto «vuoi gli stranieri a casa loro»); dissidenti e avversari (specie se donne: vedi l’ex presidente della Camera Laura Boldrini degradata a «bambola gonfiabile») sono invece attaccati, denigrati, emarginati con metodi da vero «squadrismo digitale».
Da aggiungere che «LA BESTIA» informatica leghista è legata a doppio filo con gruppi digitali americani di estrema destra, tra cui quello di Steve Bannon, l’ex spin doctor della campagna elettorale di Trump e ora padrino ricco sfondato (ma con i soldi di chi, di quale potere forte extraitaliano?) del sovranismo in Europa e in Italia. Forse che lo slogan salvinista «Prima gli italiani» nasconde quello trumpista «America first»?
A qualcuno filosoficamente informato (una mosca bianca nel generale odierno imbarbarimento) il mostro digitale propagandistico di Salvini-Morisi potrebbe ricordare la «Bestia triumphans» di Giordano Bruno, metafora apocalittica con cui il filosofo nolano finito sul rogo dell’Inquisizione indicava la Chiesa romana e riformata e l’intera cristianità da lui giudicata in crisi irreversibile, ormai giunta alla fine del suo ciclo millenario. Con la differenza che Bruno era per molti aspetti un araldo della civiltà moderna, scientifica e antidogmatica, il fascio-leghismo invece è per molti aspetti un ridicolo conato di ritorno di facciata (una miserabile «minuzzaria», direbbe Bruno) al Medioevo cristiano e crociato (con mitra e pistole esibiti sui social media e tanto di crocifissi e rosari baciati e sventolati strumentalmente nelle piazze).
A me la tronfia «Bestia» leghista ricorda, seppur lontanamente, altre immagini d’origine biblica presenti nella storia delle dottrine politiche, in particolare quelle di Behemoth (= gigantesco distruttivo Ippopotamo: vi ricorda qualcuno?) e di Leviathan (mostruoso serpente marino) (vedi il Libro di Giobbe 40-41), che sono anche i titoli di due celebri opere (pubblicate la prima, postuma, nel 1679 e la seconda nel 1651) del filosofo inglese Thomas Hobbes. Nel pensiero hobbesiano Behemoth è il caos, l’anarchia, la violenza scatenata, una sorta di ritorno alla condizione prepolitica dell’«homo homini lupus», reincarnata in Inghilterra dalla sanguinosa guerra civile degli anni 1645-1652, Leviathan è invece il nome dello Stato assolutista, totalitario, che, nelle intenzioni del filosofo, a quella guerra avrebbe potuto e dovuto porre fine. Fortunatamente, gli eventi connessi e successivi a quella guerra portarono alla Glorious Revolution del 1688-89, data di nascita della prima «Dichiarazione dei diritti» (Bill of Rights) e del primo Stato monarchico-costituzionale europeo.
Ora, «si parva licet componere magnis», si potrebbe vedere «LA BESTIA» di Salvini come la sintesi dei due mostri hobbesiani, che nella strategia neoleghista appaiono complementari, e non antagonisti o alternativi come in Hobbes. Quasi in una scena alternata di dissolvenza cinematografica, le due mostruose figure si trasformano incessantemente l’una nell’altra. E infatti il salvinismo, nei media e nelle piazze, mentre da un lato tenta di sconvolgere e minare i valori fondanti (diritti umani, libertà, uguaglianza, solidarietà) e le regole ordinative della nostra Costituzione, dall’altro va gradualmente e pericolosamente imponendo, quasi ad epilogo (dopo quello abortito del renzismo) della controrivoluzione illiberale di Berlusconi, il progetto (ancora allo stato in gran parte larvale, confuso e informe) di un regime autoritario, presidenzialistico, un miscuglio sovranista di democrazia formale e dittatura sostanziale (una «democratura» alla Orban?), ovvero il regime dell’Uomo forte e solo al comando, del Capitano (si sa, da Caput=Duce=Führer) ateo-devoto col rosario in mano.
La fenomenologia di questa dirompente strategia è sotto gli occhi di tutti (di tutti quello che vogliono vedere). Che cosa (non) ha fatto Salvini «Ministro della Propaganda» (altro appellativo che gli sta a pennello) in un anno di (non)governo, con l’utile idiota stampella dei Cinque Stelle? Vediamone alcuni aspetti:
a) l’auto-attribuzione, da premier di fatto, di competenze altrui e della stessa Marina militare: mi riferisco alla chiusura dei porti alle navi di soccorso e salvataggio in Mediterraneo delle Ong, in violazione del diritto internazionale marittimo;
b) il continuo attacco all’indipendenza della magistratura nel perfetto stile del Caimano (caso Diciotti, caso Siri, ecc.), in violazione sia dello Stato di diritto (per cui nessuno, cittadino o Ministro, è super leges) sia della divisione dei poteri (che è l’architrave della nostra Costituzione);
c) l’acutizzazione, invece che la risoluzione, dei conflitti sociali ed etnici (vedi la politica della ruspa, del Far West sull’uso privato delle armi, della cacciata dei migranti dai centri Sprar di accoglienza, ecc.);
d) l’alleanza con l’estrema destra autoritaria italiana ed europea (testimoniata, tra l’altro, dal triste raduno prelettorale antieuropeista di Milano e dalla pubblicazione dell’autobiografia salviniana con un editore dichiaratamente fascista).
Dove condurrà il salvinismo in questi mesi «triumphans» non si sa. C’è da sperare che «la BESTIA», che fomenta la paura per ingrossare i consensi, finisca presto col fare essa stessa paura. Stando all’estrema fluidità degli odierni flussi elettorali e d’opinione, a quel punto si sgonfierà.
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