La Casa delle donne Lucha y Siesta non si vende
Ingrid Colanicchia
Lucha y Siesta, una casa per le donne vittime di violenza nonché uno tra i presidi politico-culturali della capitale, è in procinto di essere sgomberata. L’Atac, proprietaria dell’immobile occupato 11 anni fa da un gruppo di attiviste, vuole fare cassa. Ma una realtà come questa non si cancella così.
Il cineforum estivo, il seminario sulla famosa scrittrice di fantascienza Ursula Le Guin, l’incontro per parlare di un altro approccio alle malattie oncologiche… limitandomi agli ultimi mesi sono state molteplici le occasioni che mi hanno portato a varcare la soglia della Casa delle donne Lucha y Siesta. Che nella selva di palazzoni della zona Tuscolana, una delle arterie della capitale, si apre come un’oasi: un ampio giardino circonda uno di quei begli edifici degli anni Venti del secolo scorso di cui qui, in quest’area, per il resto non c’è praticamente traccia, mentre ancora abbelliscono il vicino quartiere del Quadraro.
Siamo nella periferia est di Roma (neanche più così periferica a dirla tutta) dove a farla da padrone sono gli esercizi commerciali – tantissimi – che costellano la via principale e le auto che la intasano. Una zona molto popolosa in cui la bellezza è quasi tutta circoscritta al Parco degli Acquedotti che la cinge da un lato e al Parco di Tor Fiscale che la cinge dall’altro.
Tra i due sorge Lucha y Siesta che per il proprio nome ha tratto ispirazione dalla strada in cui si trova: via Lucio Sestio, appunto. Un indirizzo al quale negli ultimi 11 anni – da quando cioè un gruppo di attiviste ha deciso di occupare questo immobile abbandonato – hanno bussato, trovando accoglienza e un alloggio sicuro, 140 donne e 60 minori e dove 1.200 donne sono state sostenute nel percorso di fuoriuscita dalla violenza di genere. Perché Lucha y Siesta è prima di tutto una Casa rifugio con 14 posti letto per donne che escono dalla violenza, in una città che ne ha appena 20. Ma non è «solo» questo: è luogo di riflessione politica, di dibattito e di confronto, è scuola di canto e di yoga, sede di tantissime attività a costi popolari e di iniziative culturali che arricchiscono la vita di Roma.
Eppure, una realtà come questa – punto di riferimento per il territorio, per i servizi sociali municipali, perfino per le Forze dell’Ordine che qui indirizzano donne vittime di violenza – rischia di scomparire.
Tutto comincia nel dicembre del 2017 quando due ispettori Atac fanno visita alla struttura per valutare lo stato dell’immobile: da loro le donne di Lucha y Siesta apprendono la volontà dell’azienda di dismettere tutte le sue proprietà. Immediato il tentativo di avviare una trattativa politica con le istituzioni (amministrazione capitolina e Regione) cui le attiviste chiedono un tavolo per regolarizzare la situazione e far riconoscere la Casa delle Donne Lucha y Siesta quale spazio autogestito di interesse comune. Tavolo che non vedrà mai la luce.
E arriviamo così a oggi. A fine agosto Lucha y Siesta riceve una lettera che annuncia l’interruzione delle utenze per il 15 settembre e l’immediato sgombero dello stabile. Comune, Atac e Tribunale vogliono chiudere la Casa rifugio per donne più grande di Roma e della Regione Lazio.
Ma le donne di Lucha y Siesta sono delle «incorreggibili ottimiste» e così, dopo il mail bombing dei giorni scorsi indirizzato a Comune e Regione e i messaggi vocali WhatsApp ad Atac, puntano lo sguardo più lontano, pensando a un Comitato di sostegno: l’idea è quella di creare un fondo che permetta l’acquisto dello stabile. «Un grande azionariato popolare che tuteli l’esperienza e la faccia crescere oltre le sue stesse mura».
L’appuntamento per discuterne è per sabato 7 settembre alle ore 12 presso i locali di Lucha y Siesta (via Lucio Sestio 10, Roma). Perché Lucha – come la chiama chi la frequenta – non si vende. E non si arrende.
(5 settembre 2019)
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