La Chiesa di Bergoglio e i “repressi” del postconcilio
Valerio Gigante
, adista 9/2015
La lettera l’aveva scritta circa due anni fa. Ma non avendo ad oggi ricevuto alcuna risposta, ha pensato di renderla pubblica, per il tramite della nostra testata, con l’obiettivo di rilanciarne i contenuti presso l’opinione pubblica laica e cattolica, oggi in particolare sintonia con il clima di dialogo e pluralismo che sembra caratterizzare l’attuale fase ecclesiale. Lui è Ortensio Da Spinetoli, classe 1925, prete cappuccino dal 1949, uno dei “grandi vecchi” della teologia conciliare e progressista.
Esperto del Nuovo e Vecchio Testamento, ha dedicato gran parte della sua vita allo studio della Parola di Dio attraverso la mediazione della parola umana e all’approfondimento del Gesù storico. Non senza subire conseguenze per la sua ricerca libera ed il suo contributo innovativo all’esegesi delle Scritture: inquisito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (1974), non viene condannato ma viene comunque sollevato dall’insegnamento e limitato nei suoi interventi pubblici.
Inizia così un quarantennio di silenziosa emarginazione da parte della Chiesa ufficiale, caratterizzato comunque da una intensa e feconda attività di ricerca (tra i suoi libri, vanno almeno segnalati Luca. Il Vangelo dei poveri, Assisi, Cittadella, 1982; Chiesa delle origini Chiesa del futuro, Roma, Borla 1986; La prepotenza delle religioni, Roma, Datanews, 1994; Gesù di Nazaret, Molfetta, La Meridiana, 2005; Bibbia parola di uomo, Molfetta, La Meridiana, 2009; Io credo, La Meridiana 2012).
La sua lettera, padre Ortensio l’aveva scritta a papa Francesco, poco dopo la sua elezione, chiedendo a lui quello che anche su Adista abbiamo recentemente – ma con voce assai meno autorevole – invocato: un gesto, un incontro, se non addirittura un atto di riconciliazione o una richiesta di perdono nei confronti di tutti quei preti, teologi, religiosi, laici, donne e uomini di fede che hanno a tutti i livelli subìto il clima autoritario e repressivo seguito agli anni del fermento post conciliare, specie sotto i pontificati di Wojtyla e Ratzinger (v. Adista Notizie n. 4/15).
«Caro papa Francesco – inizia così la missiva del religioso – è la seconda volta che mi indirizzo così in alto. Al tempo di Paolo VI fui esortato ad inviare una missiva “sul suo sacro tavolo” nella speranza di sottrarmi a un immotivato “atteggiamento persecutorio” da parte dei vescovi della regione, di due dicasteri vaticani e dell’Osservatore romano».
Scrivo, chiarisce, perché intendo farle pervenire una proposta «in sintonia con il rinnovamento ecclesiale che sembra voler mettere in atto. Eccola»: «Perché non pensare a un raduno dei “dispersi d’Israele”, cioè di quanti nella Chiesa hanno subìto incomprensioni, preclusioni, esclusioni, condanne, a motivo non di reati ma delle loro legittime convinzioni teologiche, bibliche o etiche? Quante Lampeduse, non diciamo gulag, si possono riscontrare nella storia della Chiesa! Papa Benedetto, poco dopo la sua elezione, ha invitato nella sua villa estiva Hans Küng, ma quanti altri che pur ne avrebbero avuto diritto ne ha lasciati fuori? Non per un’assoluzione o promozione, ma per quel tanto di dignità e di rispetto loro dovuto e sempre negato».
Del resto, prosegue p. Ortensio, «la Chiesa è la patria di tutti, anche dei diversamente pensanti e perfino dei dissenzienti come avviene in qualsiasi società civile dove coesistono orientamenti contrapposti, persino ostili tra di loro senza che per questo vada a catafascio. La fede, che è comunione con Dio, è la stessa in tutti i credenti, mentre il modo di intenderla, che è teologia, non può essere che molteplice, a seconda dei luoghi, dei tempi, delle culture di coloro che l’accolgono; ancora più diversificati sono i modi di esternarla ossia di celebrarla (religione). Forse non si sa con certezza quello che Gesù “ha fatto e detto” (At 1,1) ma, vista la sua indole “mite ed umile” (Mt 11,29), la sua predicazione propositiva e non impositiva, il suo stile parenetico e non dommatico, i suoi temi preferiti quali l’accoglienza, la carità, l’amore, il perdono, nessuno può mai pensare che possa aver negato il suo riferimento, peggio abbia messo al bando chicchessia o abbia suggerito ai suoi di fare altrettanto con chi non era d’accordo con il suo e il loro insegnamento. Anzi, sembra che abbia fatto il contrario. “Lasciatelo stare” aveva risposto a chi gli aveva riferito di aver messo a tacere uno che si avvaleva del suo nome senza essere del suo gruppo (cfr. Lc 9,50). L’esclusivismo ha preso avvio con protagonisti della Chiesa nascente, a cominciare da Paolo che da buon giudeo imprigiona i discepoli di Gesù Nazareno (At 8,3) e da convertito fa espellere dalla comunità di Corinto un povero peccatore (1Cr 5,3). È lo stesso atteggiamento che si ritrova nella comunità di Matteo, in cui la presenza degli erranti per un certo tempo è tollerata ma poi segue l’espulsione (18,17). Ormai nell’unica Chiesa di Cristo si è instaurato un regime di preclusioni ed esclusioni che coinvolge presbiteri (Giovanni, Gaio, Demetrio) e pastori (Diotrefe, Timoteo, Tito e gli anonimi di Ap 2-3) (cfr. Lettere pastorali e cattoliche) e si allargherà irrigidendosi sempre più nel tempo fino ai nostri giorni».
«Il pluralismo di qualsiasi forma – prosegue p. Ortensio – non è una iattura bensì una ricchezza perché fa ridondare su tutti i carismi, le donazioni accordate a ciascuno. Quante energie sono andate perdute perché i supermen di turno hanno impedito ad altri di esprimersi. Papa Giovanni, veramente saggio oltre che santo, ripeteva che la Chiesa è un giardino tanto più bello quanto più ricco di molteplicità e varietà di fiori. È un campo in cui si ritrova ogni genere di piante, persino quelle che i profani dicono tossiche perché non ne conoscono le proprietà. Persino “i triboli e le spine” che stanno a ingombrare il terreno hanno la loro funzione che è quella di tenere sveglie le menti delle creature intelligenti. L’accettazione del pluralismo non significa che tutte le teorie o dottrine siano uguali o, peggio, tutte giuste e vere, ma che tutte hanno eguale diritto di libera circolazione nell’alveo comunitario, proprio secondo i dettami del Vaticano II che ha riconosciuto per la prima volta anche al cristiano “la libertà di coscienza”, cioè la facoltà di parlare del proprio credo secondo le sue conoscenze e competenze. Non si tratta di avallare un sincretismo religioso ma di rispettare le donazioni che ognuno ha ricevuto da Dio».
Se questo raduno dovesse aver luogo, scrive Ortensio da Spinetoli, «sarebbe un evento inatteso ma veramente profetico, sarebbe la sconfessione di un passato infelice, antievangelico, dittatoriale». Inoltre, «sarebbe straordinario se l’auspicato “raduno” potesse coincidere con la chiusura definitiva del supremo tribunale o ex Sant’uffizio, perché troppo in contrasto con il messaggio centrale del Vangelo, imperniato sulla carità e sul perdono prima che sulla giustizia, tanto meno quella punitiva che è propria dei regimi totalitari. Il Concilio l’aveva pensato e proposto, ma ciò nonostante è rimasto con tutto il suo rigore».
«Le auguro ogni bene e pregherò il Signore per lei e per la riuscita della sua missione; lei voglia avere un pensiero per me e per t
utti noi. Frate Ortensio da Spinetoli».
(4 marzo 2015)
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