La Chiesa intollerante di papa Wojtyla. Lettera di don Vitaliano Della Sala a Giovanni Paolo II
don Vitaliano Della Sala
Avrei voluto scriverti quando eri in vita, ma ero sicuro che una mia lettera si sarebbe fermata tra le mani di qualche tuo solerte collaboratore. Oggi forse potrai finalmente leggermi: noi cristiani crediamo nella resurrezione dei morti, nella vita oltre la morte, e siamo certi che tu ora sei vivo, come sono vivi tutti coloro che “ti hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace”, non importa se poveri e sconosciuti.
Ho ammirato il tuo coraggio nel difendere i poveri e la pace. Ma mi dispiace che non ti faranno “beato” per questo. Aggiungeranno il tuo nome all’elenco delle migliaia di uomini e donne che tu, forse esagerando, hai canonizzato, spesso solo per motivi politici e di marketing.
I potenti sfileranno ipocritamente, come nei giorni dei tuoi funerali, accanto alla tua bara muta, esumata per l’occasione; quegli stessi potenti che causano le povertà sulle quali tu ti sei chinato; quegli stessi potenti che scatenano le guerre contro le quali tu ti sei, a volte, scagliato: se non hanno raccolto la tua sfida quando eri vivo, non illuderti, non lo faranno neanche ora che sei “beato”!
Ti hanno definito “il grande” e forse è vero, ma sarei ipocrita se mi accodassi a tutti quelli che stanno straparlando bene di te, perché così conviene. Sai bene quello che il Vangelo dice: “guai quando tutti diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti”. (Luca 6, 26). Tu non sei stato un falso profeta, ma uno che ha saputo dire con coraggio quello che pensava. Eppure, sotto il tuo lungo pontificato, è stato tolto a tanti cattolici il diritto di parlare: hai giustamente combattuto il comunismo illiberale che avevi subito nella tua Polonia, ma hai voluto una Chiesa che rispecchia molto quel regime oppressivo!
È strano, ti hanno sempre applaudito ipocritamente i potenti, dopo che tu li avevi bacchettati; e i giovani, che realisticamente usano gli anticoncezionali, ti hanno sempre acclamato dopo i tuoi discorsi di chiusura in campo morale, continuando senza eccessivi scrupoli di coscienza a disobbedirti. Attorno a te c’è stata, e c’è ancora, una specie di isteria collettiva: più pretendevi dalla gente e più ti acclamavano. Il segreto è stato probabilmente un efficiente ufficio stampa, capace di gestire in maniera magistrale la comunicazione della tua immagine e delle tue gesta, ma la Chiesa, a pochi anni dalla conclusione della tua esperienza terrena, appare sempre più simile a un set cinematografico: la facciata delle case bella che invece nasconde il vuoto.
Ti dico questo perché ti voglio bene e voglio bene alla nostra Chiesa, voglio il bene della Chiesa, e il volere bene esclude l’ipocrisia e l’ossequio vile.
Qualcuno dovrebbe raccontare alle folle plaudenti riunite a Roma per la tua “beatificazione”, le contraddizioni del tuo pontificato, la tua visione tradizionalista della Chiesa, il tradimento nei confronti del Concilio Vaticano II e del laicato; il tuo esserti circondato di collaboratori reazionari, che la dice lunga sulle aperture di facciata del tuo pontificato; qualcuno dovrebbe spiegare la tua visione del potere, l’accentramento di potere nelle tue mani che c’è stato sotto il tuo pontificato e la mancanza di collegialità con l’episcopato; qualcuno dovrebbe spiegare ai rappresentanti delle altre confessioni cristiane e a quelli delle altre religioni la tua idea di ecumenismo come riconoscimento dell’unica verità posseduta esclusivamente dalla Chiesa cattolica; qualcuno dovrebbe spiegarci come mai ti sei scagliato con forza contro la guerra in Iraq e hai provocato, invece, la guerra in Jugoslavia quando il Vaticano ha riconosciuto per primo l’indipendenza della Croazia, e perché non hai mai detto che ogni guerra, la guerra in sé è ingiusta; qualcuno dovrebbe dirci che hai sbagliato clamorosamente strategia quando, contribuito a far crollare i regimi comunisti dell’est europeo, ti aspettavi, soprattutto per la tua Polonia, un prevalere dei valori cristiani nella vita di quei Paesi e invece ha prevalso il consumismo e il “neoliberismo sfrenato”, ha prevalso quello che i tuoi predecessori definivano “imperialismo capitalista del denaro”.
Non avveniva da secoli che nella Chiesa ci fosse tanto terrore ad esternare le proprie idee. In questi ultimi anni, si sono rafforzati i tratti di una Chiesa intollerante, arrogante, inumana, che parla di diritti dell’uomo all’esterno, ma non li rispetta al suo interno.
Hai dichiarato un numero elevatissimo di santi, ma al tempo stesso hai ignorato l’inquisizione attuata nei confronti di teologi e sacerdoti. I nuovi santi, strumentalizzati politicamente e commercialmente con spese ingenti e conseguenti profitti per la Curia, sono soprattutto pie suore e fondatori di ordini religiosi che spesso di “eroico” non hanno nulla, per non parlare delle canonizzazioni ambigue di persone complici di regimi disumani. Invece uomini e donne che si sono distinti, per il loro pensiero critico e per la loro energica volontà di riforma, sono stati trattati con metodi da Inquisizione.
Qualcuno dovrebbe raccogliere i frammenti di storia di tutti i provvedimenti disciplinari, dei processi canonici o delle precisazioni dottrinali, emanati dal Vaticano negli ultimi trent’anni contro quei sacerdoti, teologi e religiosi che hanno adottato un approccio molto più ampio e flessibile nel trattare la delicata questione dei rapporti tra annuncio evangelico, strutture religiose, contesti storico-sociali e norme morali. Ne emergerebbe, tra l’altro, la storia del tentativo di difendere la visione della Chiesa come istituzione – gerarchica, autoritaria e centralista – tutta tesa a tradurre il messaggio rivoluzionario del Vangelo in norme morali e giuridiche. In questo clima anch’io ho pagato per le mie idee. Nel Vangelo c’è una parabola nella quale Gesù paragona il Regno di Dio, quindi la Chiesa, a un granello di senape, il più piccolo tra semi che però diventa un albero frondoso, “e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra”: paradigma della Chiesa-altra che sempre più cattolici sognano e si impegnano a costruire. Una Chiesa inclusiva, che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio su nessuno, una “Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione”.
Nei tuoi ultimi giorni terreni ci hai, invece, dato grandi insegnamenti; ci hai dimostrato come si soffre e si muore da cristiani, ci hai insegnato che la morte, quando arriva, deve trovarci vivi. È stata forse la tua lezione più alta. Mi resterà sempre impresso nella memoria il tuo urlo silenzioso, alla finestra della tuo apostolico appartamento l’ultima volta che ti sei affacciato, quando hai capito che non saresti mai più riuscito a parlare. Allora, in quel tuo silenzio straziante, ho ascoltato le urla di dolore di tutto il XX secolo e di tutti i poveri del mondo. In quel momento mi sei parso grandissimo e ti ho amato.
Non verrò a Roma per la tua “beatificazione”, e sono certo che tu, ora, non ti arrabbierai per quello che ti ho scritto, perché abiti nel “mondo della verità”, come dicono gli anziani delle mie zone, e leggi nel mio cuore tutto l’affetto che, nonostante tutto, provo per te e per la nostra Chiesa. Sicuramente, invece, si arrabbieranno tanti altri; ma non importa, da te ho imparato che bisogna sempre dire e amare “lo splendore della verità”.
(3 maggio 2011)
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