La crisi della scuola è antica: non è colpa della Azzolina
Angelo Cannatà
Edifici cadenti. Aule vecchie. Spazi angusti. Che la scuola abbia problemi seri non ci sono dubbi. Il bisogno di spazi, ognuno lo vede, è un’urgenza con la pandemia in corso e la necessità del distanziamento. Ma non si tratta solo di questo. In verità anche le scuole migliori sono in difficoltà: “Si parla ogni giorno di internet – dice un prof – ma la rete funziona male, i computer sono obsoleti, il segnale è debolissimo e spesso inesistente.” È così, e non da oggi. Da quando il centro destra straparlava delle tre “i” (inglese, internet, informatica) s’è fatto poco.
Peggio sul versante docenti: i più anziani, la maggioranza, non sono stati educati al digitale, e ai giovani s’è reso difficile l’ingresso nella scuola bloccando i concorsi e precarizzando migliaia e migliaia d’insegnanti. Vogliamo dare la colpa alla ministra Azzolina che, finalmente, i concorsi ha deciso di farli? E’ che sulla scuola si economizza da sempre: da anni si accorpano istituti diversi, si predica sapere e si praticano tagli, si rinviano decisioni importanti, si lascia un Dirigente su troppe sedi disperdendo energie e producendo scarsi risultati. “La scuola è l’ingresso alla vita della ragione”. Vero. Purché sia organizzata, finanziata, e prevalga tra le sue mura una certa idea del sapere.
Purtroppo, dagli uffici amministrativi dove ancora domina il cartaceo, ai banchi, ai laboratori, ai programmi, alle palestre, le nostre scuole sono obsolete. Ovunque problemi: dalla carenza di docenti di sostegno, agli stipendi inadeguati. Resta da capire se le criticità elencate siano attribuibili alla ministra della Pubblica Istruzione Lucia Azzolina. A leggere certi giornali sembrerebbe di sì, mentre si tratta di questioni aperte da molti decenni; da ben prima, per dire, che nel secondo governo Berlusconi (2001-2006) la ministra Moratti si preoccupasse di finanziare le scuole private, più che le pubbliche; e certo prima che s’insediasse in viale Trastevere la ministra del “tunnel” (Gelmini) che oggi pontifica di competenza e cultura, e ieri si congratulava per l’esperimento sui neutrini in un inesistente tunnel del Gran Sasso.
I problemi della scuola vengono da lontano e si sono, per così dire, incancreniti nel tempo: penso alla lunga genia di ministri conservatori (Bosco, Gui, Scaglia, Sullo, Misasi, Malfatti, Pedini, Valitutti, Sarti, Falcucci, per citarne alcuni, tutti rigorosamente democristiani) per i quali la scuola era un carrozzone elettorale, un serbatoio di clientele, abbandonata a se stessa. Feroci le contestazioni studentesche: “Ucci, ucci ci mangiamo la Falcucci”; ad altri ministri si diceva di peggio. Vogliamo parlarne? Quanto pesano sulla scuola decenni d’innovazioni mancate? Quanto ha inciso restare indietro sull’Europa, innalzare, per dire, l’obbligo formativo a 10 anni, nel 2007, con enorme ritardo rispetto a Francia, Inghilterra, Germana, Danimarca, Svezia…?
“La questione scuola” verrà risolta quando i politici (tutti) di destra e di sinistra prenderanno atto che a) è un’emergenza nazionale; b) vanno svecchiati i programmi; c) accelerate le immissioni in ruolo; d) modernizzate le strutture; e) quando si capirà che la scuola deve avere finanziamenti adeguati, come avviene nei Paesi europei più avanzati. Altro che responsabilità della Azzolina! La ministra, in una situazione emergenziale, s’è mossa complessivamente bene con l’obiettivo di non chiudere di nuovo la scuola. E’ che i problemi sono enormi: “Complesso gestire i docenti in quarantena in riferimento alla didattica a distanza”, dicono i presidi. E’ solo un esempio. Capisco che Gelmini, Misasi, Sullo…, visti i risultati del passato, avrebbero fatto miracoli, ma non spariamo sulla Azzolina per qualche ritardo. Basta scontri. Edilizia scolastica, aule accoglienti, digitalizzazione… urgono progetti condivisi per il Recovery Plan. Come immagino la scuola? “Dovrebbe essere un luogo bellissimo – disse Wilde – così bello che, i bambini disobbedienti, per punizione il giorno dopo dovrebbero essere chiusi fuori dalla scuola.” È un’utopia. Ma per avvicinarsi a essa bisogna smetterla con le strumentalizzazioni e lavorare a obiettivi comuni.
(8 ottobre 2020)
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