La crisi di governo e la mutazione genetica dei Cinquestelle

Michele Martelli



«Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza» (Alessandro Manzoni, Il cinque maggio, ode dedicata a Napoleone Bonaparte). Oggi, in tempi di «società liquida», in piena crisi, forse irreversibile, del «governo del cambiamento», non c’è bisogno di aspettare la posterità per un giudizio tutt’altro che «arduo» sui due napoleoncini nostrani, il fascioleghista Salvini, che, dopo aver dominato il governo, ne ha decretato la crisi, e il pentastellato Di Maio, suo ex «cavalier servente» nonché perdente.

Come è cambiato il paese, dopo quattordici mesi di governo Salvini-Di Maio? Ipnotizzato dalla propaganda d’odio di Capitan Ruspa, impaurito, degradato, demoralizzato, ha, in buona parte della sua opinione pubblica, momentaneamente virato a destra. Il MoVimento 5s nel frattempo è così mutato, si direbbe, da aver perso la V dei Vaffa day: oggi, tutt’al più, un Vaffa reindirizzato a se stesso, per aver consegnato il paese a Salvini, il premier del premier. Di Conte, voluto da Di Maio, se non fosse eccessivo il sarcasmo, si potrebbe dire che sia stato «il vice del vice del vice». Ma negli ultimi giorni, all’umiliante diktat di capitan Salvini («vai da Mattarella e dimettiti»), ha mostrato ottimi segni di resipiscenza e di fedeltà istituzionale («mi devi sfiduciare in Parlamento»), affrontando il suo ministro anche sul fronte dei porti chiusi. La crisi ferragostana provocata da Salvini ha creato un caos, rimescolando le carte tra i partiti e rimettendo in gioco anche il Pd. Ma i 5s, per sfuggire davvero al morso di Salvini, dovranno rigenerarsi. Ce la faranno? Dubitare è lecito.

Per capire quanto i 5s siano cambiati con l’esperienza di governo, può essere utile la (ri)lettura del volume di Dario Fo, Gianroberto Casaleggio, Beppe Grillo, Il Grillo canta sempre al tramonto[1], dato alle stampe, a chiusura dello tsunami tour di Grillo, nel febbraio 2013, poco prima delle elezioni politiche in cui i 5s fecero «bum!» col 25% dei voti, un successo amplificato nel marzo 2018, col 32%. Un effetto ritardato dello tsunami tour, una cifra da capogiro! Il «tramonto del Sistema», di cui il comico Grillo era l’epico cantore, sembrava oramai giunto! Ma oggi? Il «Sistema» non solo non è tramontato, ma ha trovato nella Lega la sua nuova inquietante principale incarnazione. Di Maio nel marzo 2018 aveva il doppio di voti e di parlamentari della Lega, poteva proporsi come premier, e tenere sotto controllo l’allora più debole Salvini; ha preferito invece un assurdo contratto paritario, consentendo poi allo scalpitante dittatorello della Lega di fuoriuscire dai suoi limiti, occupando, incontrastato, spazio e ruolo di dominus.

Ma andiamo al libro-dialogo. Quale il suo primo fondamentale messaggio? «La guerra in atto» di Grillo, Casaleggio e 5s contro il «Sistema»[2], contro tutti e tutto: la Casta corrotta, la partitocrazia rapace, la stampa e la Rai-tv asservita, i ceti dirigenti disonesti ed egoisti, l’Ue e i burocrati papponi di Bruxelles, in sintesi: il mondo intero. «Parliamo di civiltà, non di politica. Dobbiamo riprogettare il mondo […]. Non è meraviglioso?», parola di Grillo. Una «Rivoluzione culturale», in salsa grillina. Perciò Fo, che recita la parte dell’interlocutore scomodo e scettico, sempre, fino all’ultimo, «da convincere», paragona umoristicamente la nuotata di Grillo tra Scilla e Cariddi a quella di Mao del 1966 nel fiume Yangtze. Purtroppo, nella storia, le rivoluzioni palingenetiche non solo sono miseramente fallite, ma hanno spesso generato il loro contrario. Quella pentastellata ha generato, o favorito la rapida crescita del reazionarismo leghista.

Un anno circa di governo, un anno di smentita dei fanta-progetti di Grillo e Casaleggio. Dall’utopia alla distopia il passo è breve. Concentriamoci su tre punti.

A) La «Democrazia diretta». Un «sogno», un progetto inedito, senza leader carismatici, «leaderness», e senza istituzioni rappresentative. Senza Parlamento («lo apriremo come una scatola di tonno») e senza partiti («I partiti sono fuori della Storia», Grillo dixit). Una politica basata sull’autogoverno dei cittadini («uno vale uno»), sulla trasparenza dello streaming (ma chi l’ha più visto?) e sulle consultazioni referendarie on line. Se e quando la partecipazione attiva e diretta, attraverso la Rete, si fosse estesa a tutti i cittadini, Parlamento, partiti e stampa servile sarebbero diventati ferri vecchi, e il MoVimento 5s si sarebbe trasformato in MoVimento/Stato, lo Stato appunto della Democrazia diretta, sotto forma di Democrazia digitale. In questo Stato visionario scomparivano le contraddizioni di classe né sembravano ammessi critica, dissenso e opposizione, senza di che è difficile pensare ad una democrazia, di qualsivoglia forma e tipo. Comunque, questo era, mi pare, lo Stato ideale democratico-diretto-digitale a 5 Stelle. Questa l’utopia grillina.

Quale il bilancio dopo più di un anno? Di Maio già incoronato dal divino Grillo «Capo politico» dei 5s (un «uno che vale tutti», infinitamente «più uguale degli altri», come nel mondo orwelliano: un replicante di Luigi XIV, un Louisin Quatorze?); la «Democrazia diretta» (pensata come fossimo in un villaggio svizzero del Settecento) rovesciata, nei rapporti interni dei 5s, in «autocrazia diretta»; i grillini in alto intorno a Di Maio trasformati in un piccolo gruppo autoreferenziale non molto diverso dalle tanto detestate oligarchie partitiche; i dissidenti, anche parlamentari, cacciati via («o fuori o dentro», minacciava già Grillo: qui c’è continuità nella linea dei 5s); le consultazioni in Rete (sulla «piattaforma Rousseau», peraltro un clamoroso colabrodo) ridotte ad una rarità, e per di più grossolanamente manipolate anche linguisticamente: per salvare Salvini dal processo sulla nave Diciotti: chi votava No diceva SÌ, chi votava Sì diceva NO, una piena assurdità, come ha ironizzato lo stesso Grillo sul suo blog, tranne poi dire «va be’, tutto ok», assolvendo Di Maio e i vertici 5s. E implicitamente anche l’«indagato Salvini».

Ma il salva-Salvini governativo ha significato porre un Ministro della Repubblica (e con lui l’intero governo che si è autodenunciato) super o extra leges, minare la divisione dei poteri e l’autonomia della magistratura, prospettare un esecutivo incostituzionale. Un rischioso punto di non ritorno. La conseguenza? Oggi, a governo infilzato, l’aspirante ducetto Salvini, sottratto indenne ai magistrati dai 5s, rinvigorito dai bagni di selfie, fans, cubiste e bulli del Papeete beach et similia («il Papeete è la Lega e la Lega è il Papeete», ha dichiarato Casanova, il proprietario, un europarlamentare leghista), nel comizio di Pescara dell’8 agosto ha osato appellarsi agli italiani chiedendo «pieni poteri, senza palle al piede». Un appello fatto furbescamente, frammezzo a calura estiva e villeggianti distratti, per vedere come va; come dire: «se va, acchiappo tutto; se non va, be’, ho scherzato». Ma tuttavia un appello chiaramente golpista, da caudillo, di stampo sudamericano, scandalosamente anticostituzionale. E che, come è
stato da molti osservato, ricorda troppo da vicino il tetro tragico «discorso del bivacco» di Mussolini nel 1922. Per fortuna siamo in un’altra epoca storica, e l’appello si è, almeno finora, rivelato una farsa. Ma non per questo meno pericoloso, o da sottovalutare da parte di democratici e progressisti.

Dunque, la «Democrazia diretta» è rimasta un «sogno» (tradita e abbandonata dagli stessi ministri e parlamentari 5s). La democrazia rappresentativa è stata sì ulteriormente indebolita, dopo l’erosione subita dalle politiche di Berlusconi e Renzi, ma a favore di Lega e Salvini, del nuovo preteso uomo forte al comando, che ha fatto e fa, imperterrito, il gioco dei due cantoni tra destra e ultradestra, osando persino evocare un regime personale, illiberale e autoritario. Il «sogno» ultra-democratico grillino ha rischiato così di rovesciarsi in un orrido incubo anti-democratico, e l’agognato passaggio dalla democrazia parlamentare alla Democrazia diretta digitale in un salto nel buio di una malcelata dittatura sovranista di destra. Un pericolo a cui oggi il comico fondatore, dopo l’esilio volontario dalla politica, tenta di porre tardivamente riparo, aprendo ad una nuova maggioranza parlamentare contro «i nuovi barbari», fino a ieri però elogiati come «coerenti, rispettabili e affidabili» (sempre sia lodato Grillo e il suo Verbo!) «soci» di governo.

B) La «Metafisica della Rete». O dell’«Intelligenza collettiva». Il pensiero supremo di Casaleggio sulla nuova miracolosa tecnologia digitale è condensato nella frase «Web ergo sum»[3]. Col cogito ergo sum, e il conseguente dualismo tra pensiero e materia, Cartesio ha teorizzato la civiltà moderna. Col «digito ergo sum» Casaleggio novello Cartesio, all’insegna dell’assoluta superiorità della Rete, la res virtualis, sulla vita reale, ha preteso teorizzare la civiltà post-moderna. Nel favoloso mondo digitale regnerebbe la comunità, la condivisione, la solidarietà, la creatività, la trasparenza, l’uguaglianza, il potere di tutti (gli utenti e connessi: e gli altri?). All’incredulo Fo, difensore dell’individuo reale e delle relazioni faccia a faccia, sospettoso che Facebook abbia un padrone e che ne tragga profitto, Casaleggio obiettava che la Rete è un «mondo senza intermediazioni», che «Fb non ha un padrone, ma miliardi di idee e padroni».

Il guru digitale appariva così accecato dal mito neo-tecnico della Rete da non vederne «il lato oscuro», già evidente, prima e dopo di questo libro-dialogo, ad una nutrita schiera di critici, sociologi, psichiatri, cognitivisti, filosofi e scrittori[4]. «Lato oscuro» consistente: a) nella cinica manipolazione di notizie, informazioni e dati, anche privati, da parte dei pochi nuovi padroni super-ricchi sfondati di Silicon Valley (altro che «disintermediazione» e «miliardi di padroni»!); b) nel costante processo di istupidimento e isolamento sociale degli «iperconnessi»[5] (è il fenomeno del «webetismo» o «demenza digitale»[6]), sempre più incapaci di avere un pensiero critico e autonomo e sempre più sordi e indifferenti ai problemi sociali, etici e valoriali.

L’ironia della sorte? Per eterogenesi dei fini, è stato il salvato Salvini, col pervicace utilizzo della «Bestia», il congegno tecno-digitale inventato dall’équipe di Luca Morisi, a servirsi della Rete per moltiplicare in modo esponenziale i suoi consensi elettorali e le preferenze nei sondaggi. E il Web ergo sum? Un osanna a Salvini, diventato Salvini, cioè il politico più potente d’Italia (almeno fino a ieri), grazie a Twitt, Fb, Instagram e tutte le App che la «Bestia» gli ha progressivamente e aggressivamente consentito di utilizzare da mane a sera, anzi dall’alba a notte fonda.

C) «Né di destra né di sinistra», il più noto slogan dei due confondatori. «Un’idea è buona o cattiva. Non è di destra o di sinistra», Grillo sentenziò. Ma che significa? Che i due termini non hanno un contenuto teorico preciso, a causa della confusione insorta negli anni dalla Bolognina ad oggi? Ma basta rileggere le acute precisazioni di Norberto Bobbio[7] per convincersi del contrario. Che non siano più in uso, storicamente superati? Neanche questo è vero, perché i due termini sono largamente presenti, e non solo in Italia. A questo uso si rifaceva anche Grillo, quando rivendicava il ruolo dei 5s di «argine democratico contro i gruppi di estrema destra» e si difendeva dall’accusa di «aver aperto a CasaPound» («non sono fascista né simpatizzante del fascismo»). Ergo, le idee di estrema destra, e fasciste, sono «cattive». O «né di destra né di sinistra» equivale a «sia di destra sia di sinistra», cioè «di centro»? In tal caso, paradossalmente il modello di Grillo sarebbe stata la Dc, fulcro quarantennale della partitocrazia, un partito acchiappatutto, bifrontale, clericale e baciapile, con aspetti programmatici sia di destra sia di sinistra. No, sarebbe forse un paragone, un’ipotesi troppo azzardata! Tranne, forse, l’analoga resistibile tendenza della Dc, soprattutto della destra dc, a farsi partito/Stato (del resto, se si accetta il sofisma che la «democrazia» è, per definizione, «cristiana», una democrazia «non- cristiana» o «laica» è inconcepibile: non vi pare?).

Destra, sinistra. Ma solidarietà, uguaglianza, difesa dei diritti e dei più deboli, dignità del lavoro, difesa dell’acqua pubblica, dell’ambiente, dell’economia di Stato, tassazione progressiva, ecc., sostenute, pur se in forma non sempre limpida, anche da Grillo, e a cui non solo l’estrema destra neofascista, ma anche la destra tradizionalmente si è opposta e si oppone, non sono forse «idee» al tempo stesso «buone» e «di sinistra»? Se Grillo lo avesse esplicitato, quello slogan, nato forse dalla confusione tra «sinistra» e Pd neoliberista, sarebbe apparso teoricamente insulso, da buttar via, e i 5s sarebbero forse usciti dall’equivoco qualunquista. E di conseguenza, il contratto di governo con Salvini, novello rapace Capitan Uncino che naviga a piene vele nelle acque inquinate di destra e d’estrema destra, sarebbe risultato impensabile. Un dannoso ircocervo, quale è stato.

Ma quello slogan appariva utile, sia ai fini dell’auto-rappresentazione del Movimento, puro duro incorrotto incorruttibile, sia come passe-partout per qualsiasi spregiudicata alleanza. Ed ecco il contratto con la Lega, la destra del centro-destra, xenofoba e razzista, né onesta né incorrotta, in buona parte nostalgica del Duce, sdoganatrice del suo truce e minaccioso linguaggio (il «Bacioni» salviniano ne è la versione da Mister Hyde), nonché di quei gruppi di estrema destra da cui Grillo rivendicava l’estraneità (il capo neoleghista pubblica la sua autobiografia con un editore dichiaratamente fascista, militante di CasaPound, e i grillidi (ex)digitali pavidamente tacciono?). Ma una destra così contaminata dall’estrema destra poteva secondo Grillo avere «idee buone»? E così, impreparati, incapaci e impotenti sui propri punti programm
atici (tra cui l’Ilva, la Tav, la Tap, ecc.), i 5s hanno scelto di dare via libera e sostegno alle politiche imposte da Salvini, forse tra le più palesemente anticostituzionali della storia della Repubblica. Politiche incarnate, soprattutto, nella richiesta della flat tax (buona solo per ricchi ed evasori fiscali), nei due orribili e disumani «Decreti Sicurezza e Immigrazione» e in quello, da film di cow boys, sulla «Legittima Difesa». Ora confluite, non inaspettatamente, nell’appello golpista di Pescara dei «pieni poteri».

Nel libro-dialogo i tre interlocutori, si mostrano sensibili (seppure con certi distinguo e non tutti allo stesso modo) a soluzioni ragionevoli sul tema dell’immigrazione (accoglienza, condizioni di lavoro decenti, salari adeguati ecc.), e contrari al clima di «xenofobia» e «odio razziale» diffuso dai «partiti reazionari pseudo fascisti e Lega Nord» (evidente l’allusione alla Bossi-Fini), tra l’altro ricordando con orrore che il leghista Speroni suggerì di «mitragliare» i barconi di migranti. Per giunta, a Fo è affidato il compito di leggere per intero una toccante lettera da Lampedusa della neosindaca Giusi Nicolini, che rivendica «soccorso», «accoglienza» e «dignità di esseri umani» agli immigrati. Ebbene, i grillini di governo che cosa fanno? Salvare Salvini sul caso Diciotti, approvare le sue misure xenofobe, razziste e militariste sui porti chiusi, il respingimento in mare, la chiusura dei centri di accoglienza, ecc. Insomma, tanti Mr. Smee, nostromi di Capitan Uncino.

Poiché la politica anti-immigrati di Salvini si salda con la legge far west sulla (il)legittima difesa, che autorizza chiunque a sparare sui ladri (misure, come già detto, ossequiosamente approvate dai ministri e parlamentari 5s), e poiché i ladri, secondo il pregiudizio leghista, sono quasi tutti immigrati, e di colore nero, si può concludere che il principale simbolo del «governo del cambiamento» sia stato a giusto titolo l’arma da sparo (vedi il post di Salvini che, finalmente senza l’impaccio di madonne, crocifissi e rosari, imbraccia spavaldamente un mitra: non suggeriva a suo tempo il leghista Speroni di «mitragliare» i migranti?). Forse è qui la cifra della metamorfosi governativa dei 5s. Da Grillo al grilletto. O da grillini a grilletti. Ma ora, se la crisi del governo si risolve nella sua caduta, la domanda è: saranno i 5s capaci di rinascere a nuova vita? Se ciò accade, si può dire che sarà in virtù dell’antico mito della metempsicosi. Del resto, non è vecchio il detto che la politica è l’arte del possibile, o di far diventare possibile l’impossibile?

NOTE

[1] Dario Fo, Gianroberto Casaleggio, Beppe Grillo, Il Grillo canta sempre al tramonto. Dialogo sull’Italia e il MoVimento 5 Stelle, Chiarelettere, Milano, 2013.

[2] Cfr. anche Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, Siamo in guerra, Chiarelettere, Milano, 2011.

[3] Cfr. Gianroberto Casaleggio, Web ergo sum, Sperling & Kupfer, Milano, 2004.

[4] Cfr., fra tutti, Nicholas Carr, Il lato oscuro della rete. Libertà, sicurezza, privacy, Rizzoli, Milano, 2008; ID., Internet ci rende stupidi? Come la Rete sta cambiando il nostro cervello, Cortina, Milano, 2011 (per la verità Casaleggio, a p. 112, cita questo volume, ma a mio parere non ne coglie la novità).

[5] Jean W. Twenge, Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti, Einaudi, Torino, 2018.

[6] Cfr. Manfred Spitzer, Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi, Corbaccio, Milano, 2013; ID., Connessi e isolati. Un’epidemia silenziosa, Corbaccio, Milano, 2018.

[7] Norberto Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati una distinzione politica, Donzelli, Roma, 1994.


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