La democrazia occidentale che muore ad Afrin

G. M. Tamás

Tirannie come quella di Erdoğan sono tollerate dall’“Occidente”, in quanto “democrazia” quando si tratta di nazioni povere periferiche non è nemmeno uno slogan vuoto. Lo spirito di solidarietà internazionale, una volta orgoglio della sinistra, sembra essere moribondo. Cerchiamo di tenere viva almeno la capacità di vergognarci.

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Siamo tutti ovviamente indignati, inorriditi e increduli. E proviamo vergogna: la scomparsa e il disfacimento del sistema statale internazionale generano un tale disordine e un tale dolore, che vanno al di là di ogni ragione e immaginazione. È sotto gli occhi di tutti la “dichiarazione senza parole”  dell’Unicef, che non è riuscita a trovare termini adeguati per esprimere cosa ha visto e cosa ha provato.

Diverse etnie e gruppi politici in Siria si ammazzano l’un l’altro e sono massacrati anche da stati come la Turchia, l’Iran, la Russia, gli Usa, l’Arabia Saudita, Israele e altri, grazie alle armi vendute dai paesi membri dell’Unione Europea. Le enclavi femministe, socialiste e ugualitarie create dalla sinistra curda sono attaccate con particolare ferocia dai militari di Erdoğan.
È la logica dei media (non per colpa della stampa: le persone non possono sopportare così tante atrocità, è solo la natura umana) che, riferendo di un nuovo massacro, ci fa dimenticare quello accaduto il giorno prima.

L’orrore inimmaginabile in Siria, dove davvero non si può stabilire chi sia il peggior macellaio fra tanti, creerà una cortina fumogena dietro cui nascondere in modo conveniente l’orrore della dittatura turca. I Rohingya del Myanmar sono appena citati più di altri. Lo Yemen è dimenticato. I nuovi pericoli nel Congo stanno scomparendo nella quasi-invisibilità.

Tutti gli altri

E tutti gli altri si lamentano, anche in paesi relativamente tranquilli e ricchi, dove le ultime tracce della democrazia borghese stanno svanendo e il razzismo, la xenofobia e l’etnicità prendendo il sopravvento. Questi sono regimi di paura e odio.
Ma chi è temuto e chi è odiato in questa Europa dove ho avuto il destino – si potrebbe dire, la fortuna – di vivere?
Sono proprio i pochi che riescono a fuggire da vari luoghi di inferno, ieri Aleppo, ora Afrin e Ghouta, domani chi sa. Non sono eserciti vittoriosi o violenti sovversivi, ma rifugiati terrorizzati, portati alla follia dal dolore, dal lutto e dalla crudeltà degli uomini armati. Non sono gli uomini armati spietati a esser odiati, ma le loro vittime.
Non sono i torturatori, ma i torturati.

Nel mio paese, l’Ungheria, non ci sono rifugiati del Vicino Oriente, eppure la nazione è diventata isterica per il pericolo dell’islam. Al tempo stesso, i leader stringono rapporti di amicizia con milionari arabi e turchi, tra cui Adnan Polat, alleato di Erdogan, il quale è consigliere informale del nostro primo ministro.

Il denaro è sempre il benvenuto. Esistono alcuni giornali on line finanziati dal nostro governo che mostrano costantemente come nell’Occidente disprezzato decadente e debole, musulmani, asiatici e neri stiano prendendo il sopravvento e come i francesi, i tedeschi e i belgi vivano ormai in un califfato.

Al confine con la Serbia, in un punto di accesso nella famosa recinzione anti-migranti, le autorità ungheresi esamineranno i requisiti di due (due, non duemila) immigrati al giorno per verificare se abbiano o meno i titoli per ricevere lo status di rifugiato. E di solito sono respinti e rimpatriati. Eppure la popolazione trema.

Ad aprile ci saranno nuove elezioni. Tutti i partiti rifiutano le modeste quote di immigrati proposte dalla Commissione Europea e sono tutti favorevoli alla famigerata barriera al confine, ma la “questione migranti” resta ancora il tema principale della cosiddetta campagna elettorale.

I pochi tra noi che cercano di resistere alla follia xenofoba sono definiti traditori della patria –  cos’altro se no – oppure sono chiamati da alcuni compagni di sinistra, come il mio vecchio amico Slavoj Žižek, spaventati dall’opinione pubblica, sentimentalisti (“anime belle”) che dimenticano la lotta di classe per piangere alla vista di innocenti che soffrono – una posizione tutt’altro che eroica, certamente.

Mentre si sta consumando il massacro di Ghouta, il presidente Emmanuel Macron progetta di “reprimere” l’immigrazione “illegale” e cerca, in modo napoleonico, di riformare e “regolarizzare” la religione islamica in Francia per renderla una di quelle religioni accettabili, riconosciute e castigate dallo stato. Nel frattempo la destra francese è sul piede di guerra, poiché, in un noioso rituale patriottico, il ruolo di Giovanna d’Arco è interpretato da una giovane donna il cui padre è nero.
Queste sono le preoccupazioni della superiore civiltà sulla terra (perché è così, e noi lo sappiamo meglio di tutti). Non basta che agli sfortunati in Siria e altrove arrivino fuoco e zolfo, ma quei pochi che riescono a fuggire sono accolti con rifiuto, sospetto, odio e disprezzo. Tutte le nazioni bianche, non solo europee, promettono di combattere aspramente contro l’immigrazione, cioè contro l’aiuto a chi ha bisogno e soffre.

Questa è la presa di posizione morale che gli eredi del Rinascimento, della Riforma e dell’Illuminismo stanno ora dimostrando.
Cosa ne è della nostra famosa “democrazia”? Qualcuno sta facendo qualcosa per la Turchia di Erdoğan?

Siamo tutti a conoscenza di cosa sta accadendo lì, di cosa stia succedendo agli uomini di sinistra, ai democratici, ai Curdi, ai giornalisti non allineati, ai politici d’opposizione, ai funzionari pubblici, agli agenti di polizia e al personale dell’esercito. Manifestazioni di massa? Ambasciatori richiamati in patria? Rapporti militari interrotti? Sanzioni? Condanne solenni? Sessioni speciali dell’Assemblea delle Nazioni Unite? Esclusione dalla NATO?

Niente di tutto ciò. Si sta solo usando Erdoğan per prendersela con i turchi in Germania e in Austria. I conflitti tra sinistra curda e nazionalisti turchi nelle città europee sono evocati contro tutti gli immigrati di provenienza islamica o ‘colorati’, mentre manifestazioni pacifiche per la democrazia e lo Stato di diritto in Turchia nelle città occidentali sono interrotti da scagnozzi di Erdoğan.

Pochi giorni fa, un pacifico curdo siriano in viaggio, Saleh Muslim, leader del partito PYD, invitato a una conferenza internazionale, è stato arrestato a Praga. Questo per volere del governo turco. Dovrebbe essere estradato in Turchia – sebbene non sia cittadino turco – con l’accusa di terrorismo. Aveva un visto ceco valido che gli darebbe diritto a una serie protezioni in quel paese. Noi sappiamo bene cosa significhino le accuse di terrorismo in Turchia. Qualcosa – ma in realtà essenzialmente nulla.

Sappiamo tutti che migliaia di persone sono recluse nelle carceri turche con accuse inventate o anticostituzionali: vari oppositori del regime, reali e immaginari, da politici dell’opposizione a giornalisti a intellettuali, a studenti, a lavoratori di sinistra, donne attiviste o, semplicemente, Curdi. Uno dei più grandi gruppi etnici della regione, i Curdi – divisi tra Turchia, Siria, Iraq, Iran ecc. – vivono e lottano per la sopravvivenza in varie circostanze e situazioni politiche, eppure si vedono negare (meno così in Iraq)  la propria autonomia, invischiati in diverse alleanze con forze a volt
e opposte, ma sono ovunque in pericolo. In tali condizioni incredibilmente difficili, alcuni di loro sono riusciti a creare enclavi di libertà e uguaglianza che dovrebbero (ma non succede) godere del pieno sostegno della sinistra europea.
Lo spirito di solidarietà internazionale, una volta orgoglio della sinistra, sembra essere moribondo.

È piuttosto strano che la tragedia umana e l’oppressione intollerabile siano oggi esclusivamente preoccupazione di organizzazioni umanitarie professionali o di ONG professionalizzate. Stanno facendo un lavoro eroico, ma la loro attività è apolitica e severamente limitata anche sotto altri aspetti. L’UNHRC e l’UNHCR (ex UNRRA, un tempo ben nota nell’Europa centrale e orientale per aver aiutato i sopravvissuti dei campi di concentramento nazisti), istituzioni internazionali ufficiali perfettamente rispettabili – che stanno tentando di aiutare i rifugiati, ma sono impotenti nel processo di pace e non hanno mezzi e risorse a sufficienza – sono considerati un nemico in patria, in quanto si presume abbiano attivato l’inesistente “Piano Soros” (per sistemare i musulmani in Europa allo scopo di diluire il nostro patrimonio razziale e distruggere la nostra cultura “cristiana”).

Tutto ciò è ovviamente il risultato della disintegrazione politica del tardo capitalismo, in cui i piani e le strategie razionali sono praticamente inesistenti. È il bellum omnium contra omnes, e anche quel minimo di ragione che in passato le forze anti-establishment potevano iniettare nella lotta senza senso è scomparso.

Non c’è da aspettarsi uno scatto per cattiva coscienza. Tirannie come quella di Erdoğan sono tollerate dall’“Occidente”, in quanto la “democrazia” non è nemmeno uno slogan vuoto quando si tratta di nazioni povere periferiche.
Le piccole manifestazioni davanti alle ambasciate turche non valgono molto, sebbene dovrebbero in ogni caso essere sostenute. Per il momento non possiamo fare molto di più che far vergognare i “nostri” governi e la “nostra” Unione Europea, ma se questo è il meglio che possiamo fare, dovremmo farlo, per quanto sia insufficiente.
Sono delle bestie.

(traduzione di Sabina Tortorella)

* Questo articolo è stato originariamente pubblicato in turco da vari media il 1 ° marzo e diffuso in inglese da ANF News, disponibile anche su openDemocracy qui.

(27 marzo 2018)



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