La dolce morte di Papa Wojtyla. Una risposta
«La dolce morte di Papa Wojtyla», il mio articolo comparso sull’ultimo numero di MicroMega, ha già provocato numerose reazioni. Sulla stampa nazionale sono comparse, fino ad ora, due pubblicazioni di rilievo: l’articolo di Luigi Accattoli sul Corriere della Sera del 15 settembre, dal titolo «Quel sondino che nutriva Wojtyla (ma l’annuncio arrivò molto dopo)», e l’intervista di Orazio La Rocca al medico personale di Karol Wojtyla, il Prof. Renato Buzzonetti, «Così mori Papa Wojtyla», comparsa su La Repubblica il 16 settembre.
Sento la necessità dare una breve risposta ad entrambe.
Il primo pezzo è un’inchiesta “tra le persone che accostarono il Papa nell’ ultimo mese”. Propone una ricostruzione “giornalistica” della “vicenda del sondino” in cui si afferma che – anche se non è stato comunicato ufficialmente – il Papa è stato nutrito saltuariamente per via enterale. In base a tale ricostruzione, il sondino naso-gastrico sarebbe stato inserito e tolto più volte. L’informazione, così come viene presentata, è imbarazzante da commentare da un punto di vista medico: ci troviamo di fronte ad una situazione in cui il paziente già defedato, che non è e non sarà mai più in grado di alimentarsi autonomamente, viene sottoposto ad un trattamento che comporta procedure ripetute che, per la patologia che lo affligge, sicuramente lo tormentano e che, a causa delle interruzioni, è di un’efficacia molto ridotta.
Se anche le informazioni fornite ad Accattoli fossero vere, il dato fondamentale rimane inalterato: per qualche motivo, nel periodo che va dal 2 febbraio al 30 marzo il Santo Padre non è stato nutrito a sufficienza, e per questo è andato incontro ad un grave deficit nutrizionale. Lo affermano le fonti d’agenzia di allora, mai smentite. Lo conferma il prof. Buzzonetti nel suo libro. L’archiatra pontificio ripete oltretutto proprio ieri (su Repubblica) che il papa “da quel giorno (30 marzo) fu sottoposto a nutrizione enterale mediante il posizionamento permanente di un sondino naso-gastrico perché non era più nelle condizioni di nutrirsi per via orale.” La frase non è ambigua: mi sembra voglia dire chiaramente che l’alimentazione enterale è stata iniziata proprio quel giorno. Se così non fosse, è sufficiente che lo spieghi. Per quel che mi riguarda, non posso che rimanere sconcertata di fronte alla discordanza fra la fonte ufficiale e quelle ufficiose.
C’è poi un passaggio, nell’ articolo di Accattoli, su cui desidero fare una precisazione. E’ il punto dove dice: “La Pavanelli viene a esprimere comprensione per il comportamento dei medici, che – constatando la gravità della situazione del papa ormai senza prospettive di guarigione – l’avrebbero lasciato deperire giorno dopo giorno”. Vorrei specificare che la mia comprensione non è nei confronti di persone che hanno “lasciato che il paziente deperisse”, ma è dovuta al fatto che intuisco i motivi per cui non hanno potuto impedire che ciò accadesse.
Nell’articolo-intervista di Orazio La Rocca al prof. Buzzonetti non ci sono riferimenti diretti al mio lavoro. L’archiatra pontificio afferma di aver deciso di parlare, a distanza di due anni, “per controbattere quelle voci che si sono recentemente levate per avanzare dubbi e sospetti intorno agli ultimi istanti di vita di Karol Wojtyla”.
Non so a chi si riferisca dicendo “quelle voci”. Ho seri dubbi che si tratti del mio articolo e, a dir la verità, dubito anche che fosse a conoscenza del contenuto. Chi l’ha letto infatti sa che non ho mai messo in dubbio l’adeguatezza e la tempestività delle cure somministrate negli ultimi giorni di vita del Santo Padre. Al contrario, sono convinta che in quel frangente sia stato fatto per il paziente tutto il possibile, e che probabilmente nessuno avrebbe potuto fare di meglio.
Il mio saggio non si occupa delle ultime ore di vita di Karol Wojtyla, e nemmeno del suo atteggiamento nell’imminenza della morte o del comportamento dei medici. Il testo ricostruisce sì il decorso clinico del paziente – e riporta perciò anche alcune notizie relative gli ultimi giorni della sua vita – però si occupa essenzialmente dei due mesi precedenti l’evento acuto finale.
Nell’intervista a Repubblica il prof. Buzzonetti parla invece solo degli ultimi giorni e delle ultime ore. Discute del significato che può aver avuto la frase “lasciatemi andare” e della qualità della sua comunicazione personale con il paziente. Precisa che non si è trattato di “una richiesta indiretta di eutanasia rivolta ai medici”. La Rocca fa poi domande sempre concentrate sulle ultime ore o sul senso di questa frase di Wojtyla, sulla possibilità che essa contraddica o no la sua dottrina. Ipotizza una possibile “interruzione di cure” allo stadio finale, quando il paziente non fu portato in ospedale.
Tutto ciò può interessare. Questi argomenti sono però totalmente estranei a ciò di cui ho scritto nel mio articolo, come pure alle questioni che esso solleva. Il mio interesse è focalizzato sul periodo che precede il 30 marzo. L’analisi delle informazioni di cui dispongo mi ha portato a concludere che, per qualche ragione non spiegata da motivi clinici, nei due mesi antecedenti la morte, il paziente non ha ricevuto una quantità di nutrimento sufficiente e non ha usufruito in tempo utile di quei presidi terapeutici che sono normali per molti malati con patologie simili. In seguito a queste mancanze, il suo organismo è andato incontro ad un grave decadimento globale con conseguente marcato dimagramento e – soprattutto – ad una depressione del sistema immunitario. La somma di questi fattori ha determinato la gravità dell’infezione che ha portato il paziente a morte.
In attesa di prove che dimostrino il contrario, rimango di questa opinione. Come medico, ritengo questa la versione più attendibile.
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