La follia di Narciso

Mariasole Garacci


Da Caravaggio ai Kraftwerk: un mito classico e un’alienazione moderna raccontati con un linguaggio cinematografico che enuclea il nodo psicologico della narrazione, attualizzandone il significato.

Michelangelo Merisi da Caravaggio, si sa, non visitava spesso temi mitologici e, quando lo faceva, condensava in essi un’intensità psicologica (la stessa che troviamo nei suoi molti quadri di soggetto sacro) che ha pochi precedenti nella storia dell’arte per quella sua perentoria tangibilità che Pasolini definiva “profilmica”. E’ il caso, ad esempio, del Narciso di Palazzo Barberini a Roma: in questa tela dipinta a olio tra il 1597 e il 1599 –un’eccezione mitologica, ma pronta a intitolarsi il “ragazzo che si specchia nello stagno”-un melanconico vagabondo […] non ha ormai che riflettersi nell’acqua torba in tono di violacciocche (ricordo ultimo dal Savoldo); ma il lume invisibile che spiove dall’alto imprime ancor vivido il damasco impresso a fiori nel corsetto e, sulla manica, prolifera, in madreperla, succhi già rembrandtiani; mentre il sentimento introverso già allude al giocatore perplesso della Vocazione (Roberto Longhi, Caravaggio, Editori Riuniti, Roma 1968).

Quasi come la figura di una carta da gioco, il giovane uomo emerge alla luce chinandosi sulla propria immagine in una visione raddoppiata e perfettamente speculare. L’arco delle spalle e delle braccia, riflesso, crea una elissi orbitante intorno al volume di un ginocchio nudo che tramonta sul livello dell’acqua; tutto il resto è risucchiato dall’oscurità: non è un’illuminazione realistica, ma teatrale, o cinematografica, usata come dispositivo retorico per enucleare il nodo psicologico della narrazione.

L’alienazione di Narciso, che rifiuta crudelmente l’amore di Eco, innamorato soltanto di un se stesso inafferrabile.

Desidera, ignorandolo, se stesso, amante e oggetto amato, mentre brama, si brama, e insieme accende e arde. Quante volte lancia inutili baci alla finzione della fonte! (Ovidio, Metamorfosi, III, 425-430)


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Nel dipinto vediamo, appunto, il profilo anelante del giovane, le labbra protese e socchiuse nel desiderio. Ma l’oggetto amato non si concede all’amore né alla conoscenza: è un estraneo crudele e irriconoscibile.

Sometimes he saw his real face And sometimes a stranger at his place… He fell in love with image of himself And suddenly the picture was distorted… (Kraftwerk, The Hall of Mirrors)

Fato e segreta miseria di chi si perde e confonde, restandone disperatamente avvinto, nell’immagine di sé; di chi non può amare altri che il suo Io, così vicino e irraggiungibile, è la distorsione della realtà e finanche di se stesso: perché solo sintonizzandoci affettivamente con l’altro dissolviamo il diaframma di quel mobile e letale specchio d’acqua, raggiungiamo noi stessi e ricomponiamo la realtà. Per questo il Narciso di Caravaggio, pur con le sue maniche a sbuffo, il suo corsetto damascato e i suoi capelli vezzosamente ravviati, sembra nulla più che uno sperso e disgraziato vagabondo che si china sull’acqua come sull’orlo di una grottesca follia.
(7 maggio 2020)




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