La guerra dei Minibot: gli scenari della crisi italiana

Enrico Grazzini

La battaglia politica sui minibot è sempre più accesa: il Parlamento Italiano ha votato all’unanimità a favore dell’emissione dei titoli fiscali proposti da Claudio Borghi della Lega con il supporto dei 5 Stelle, ma poi PD e Forza Italia si sono schierati contro i minibot. Anche Mario Draghi, presidente della Banca Centrale Europea, Vincenzo Boccia, a capo di Confindustria, e il ministro del Tesoro Giuseppe Tria hanno espresso chiaramente la loro contrarietà verso la proposta votata dal Parlamento italiano. Per contro i due vice-presidenti del Consiglio dei Ministri, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, hanno attaccato il “loro” ministro contrario ai minibot. E’ scoppiata quindi una vera e propria guerra politica sui titoli di stato con valore fiscale che dovrebbero essere emessi per pagare gli arretrati della pubblica amministrazione alle imprese e ai privati cittadini. La posta in gioco è alta: in futuro l’emissione dei minibot potrebbe perfino mettere in discussione la partecipazione dell’Italia nell’eurozona e quindi provocare anche la rottura dell’euro[1].

Le polemiche riguardano le caratteristiche e gli obiettivi dei minibot: questi titoli fiscali che circolerebbero in Italia anche come contante, sono legali o illegali? Rappresentano o no una moneta parallela? Violano il monopolio della Banca Centrale Europea sull’euro, l’unica moneta legale dell’eurozona? I minibot sono realmente efficaci per ridare liquidità alle imprese? Sono utili per rilanciare l’economia reale? O servono invece solo come espediente per uscire dall’Euro? Aumentano o no il debito pubblico? Esistono sistemi alternativi di titoli fiscali più efficaci nel rilanciare l’economia nazionale, che non aumentino il debito pubblico e garantiscano di essere pienamente rispettose delle regole dell’eurozona?

Queste le domande che attraversano il mondo politico, quello dell’economia e l’opinione pubblica, a cui questo articolo intende dare delle risposte.

Un’avvertenza preliminare: la polemica sui minibot non è di poco conto, è seria ed è, magari anche con diverse forme e contenuti, destinata a durare e a crescere. La questione monetaria non può mai essere trattata in maniera derisoria e superficiale, come hanno fatto molti commentatori paragonando i minibot alle monete false del gioco del Monopoli. La moneta è infatti centrale per le dinamiche di sviluppo (o di non sviluppo) delle nazioni: e le monete complementari non sono certamente nuove nella storia economica. Basti pensare che una delle prime monete parallele per molti aspetti è stato il dollaro, il Greenback, il biglietto verde emesso da Abramo Lincoln per finanziare la Guerra Civile Americana.

“In carenza di monete convertibili in oro e argento allora in uso, e di fronte ai banchieri e ai governi esteri che volevano applicargli dei tassi altissimi di interesse per prestargli i soldi necessari a finanziare il conflitto con la Confederazione, per non affogare nei debiti, Lincoln fece approvare dal Congresso dell’Unione l’emissione del Greenback, una nuova moneta parallela. Il Greenback – cosi detto perché per la prima volta il titolo era stampato anche sul retro in inchiostro verde – era una sorta di pagherò dello stato che diventò moneta legale, cioè imposta per i pagamenti interni, senza però essere di fatto convertibile (moneta fiat) in moneta-oro. Per quei tempi il Greenback rappresentò una rivoluzione monetaria”[2]. Il Greenback da moneta parallela (alla moneta-oro di allora) divenne niente di meno che il capostipite del dollaro che conosciamo oggi.

In effetti occorre innanzitutto comprendere che i progetti di moneta alternativa (parallela o complementare) come i minibot nascono quando la moneta ufficiale, la moneta legale, funziona male o non funziona più. Anche il progetto di Borghi – giusto o sbagliato che sia (e a mio parere è sbagliato e inapplicabile, per le ragioni che vedremo) – nasce perché l’euro funziona molto male, perché è un sistema monetario strutturalmente deflattivo che frena l’economia invece di svilupparla, e che provoca disequilibri insostenibili tra gli stati di serie A e quelli di serie B[3].

Non per caso monete complementari all’euro, in una versione o nell’altra, sono state suggerite come possibile soluzione alla crisi italiana da economisti autorevoli, come Joseph Stiglitz, premio Nobel dell’economia[4], Wolfgang Munchau, editorialista del Financial Times[5] e, in Italia, il compianto studioso del finanzcapitalismo Luciano Gallino[6].

Fatte queste considerazioni preliminari, approfondiamo l’analisi sui minibot facendo anche un po’ di cronaca. La Camera italiana il 28 maggio scorso ha votato all’unanimità una mozione che impegna il governo ad emettere buoni del tesoro di piccolo taglio che dovrebbero essere usati per saldare i debiti non ancora pagati che le pubbliche amministrazioni hanno contratto nei confronti delle imprese e dei cittadini: una somma consistente, pari forse, secondo diverse fonti, a circa 50 miliardi di euro. Da parte sua lo Stato si impegna ad accettare i minibot al pari degli euro per il pagamento delle tasse; da parte delle imprese l’accettazione dei minibot al posto degli euro sarebbe invece esclusivamente volontaria.

I minibot non hanno quindi “corso forzoso” come la moneta legale – che invece per legge deve essere obbligatoriamente accettata per l’estinzione di una obbligazione di pagamento, cioè per concludere una transazione -. Dopo essere stati assegnati ai creditori della PA in forma cartacea con tagli di piccolo importo, i minibot, come moneta fiduciaria – quindi sempre come mezzo di pagamento ad accettazione non obbligatoria – potrebbero essere utilizzati al posto degli euro per le normali transazioni commerciali nei punti vendita, nei negozi, nei grandi magazzini o per pagare le bollette, ecc.

I minibot non fruttano interesse ma, poiché lo stato si impegna ad accettarli per il pagamento delle tasse garantendone il valore, e poiché tutti in teoria pagano le tasse, potrebbero (almeno potenzialmente) essere accettati da vasti settori di pubblico e di aziende. Inoltre, essendo titoli emessi dallo stato – proprio come i Bot e i Btp -, pur essendo eventualmente utilizzati anche come mezzo di pagamento, non rompono il monopolio sulla moneta legale della Banca Centrale Europea.

Così possiamo rispondere alle domande iniziali in testa a questo articolo: NO, i minibot non sono moneta legale ma SI’ sono titoli di stato. SI’ i minibot possono anche essere usati come moneta fiduciaria ma NON rompono il monopolio della BCE sulla moneta legale, l’euro. Quindi i MINIBOT SONO SENZA DUBBIO LEGALI.

Moneta legale e moneta bancaria

La questione della moneta e della sovranità monetaria è estremamente complessa. Apriamo una breve parentesi su un fatto che gli economisti accademici ignorano quasi sempre: il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea non cita assolutamente mai le parole “money” e “currency” (ovvero in italiano la “moneta” o la “valuta”) come monopolio della BCE. Secondo l’articolo 128 del TFEU la BCE ha il diritto esclusivo di autorizzare l’emissione di banconote in euro. Solo le banconote emesse dalla BCE e dalle banche centrali nazionali godono dello stato di Legal Tender (in italiano “Corso Legale”) nella UE.[7]

La BCE ha quindi l’esclusiva di monopolio solo sulle banconote in euro, non su tutta la moneta in generale. I trattati europei non menzionano mai (e non a caso) la parola “moneta” per riferi
rsi alle prerogative esclusive della BCE: citano invece esclusivamente le banconote. Quindi la BCE ha il monopolio solo sulle banconote, che sono l’unica moneta legale nell’eurozona (insieme alle monete metalliche di piccolo taglio emesse dagli stati in base alle quantità autorizzate dalla BCE).

Il paradosso è che il 90% della moneta che le persone e le aziende utilizzano maggiormente per le transazioni commerciali più importanti è moneta bancaria, e non banconote: quindi moneta privata e non moneta legale. Per le transazioni più di valore non si utilizzano infatti le banconote ma la moneta bancaria (i depositi/prestiti bancari per comprare l’auto, la casa, per pagare le bollette, i fornitori, gli stipendi, ecc) creata dal nulla dalle banche commerciali quando fanno prestiti.[8] Tuttavia la moneta bancaria creata dalle banche commerciali private è trattata come moneta legale, perché un deposito bancario si può sempre convertire in banconote ed è addirittura garantito dallo stato fino a un certo importo (in Italia 100.000 euro). Lo stato tratta insomma la moneta bancaria delle banche commerciali controllate da azionisti privati come moneta legale, anche se formalmente non è moneta legale. Gli stati fanno così un grande favore alle banche dando loro la possibilità di creare moneta concedendo prestiti trattati come se fossero moneta legale.

Il paradosso consiste evidentemente nel fatto che, nonostante gli stati siano formalmente sovrani della moneta nazionale, hanno in pratica delegato la sovranità monetaria alle banche commerciali. Queste infatti creano moneta dal nulla, in particolare moneta elettronica, quando concedono prestiti – come è stato spiegato chiaramente e definitivamente dall’autorevolissima Banca d’Inghilterra –[9]. Poi la moneta elettronica creata dalle banche può essere trasformata immediatamente (allo sportello o al bancomat) in banconote, ovvero in moneta legale. Invece paradossalmente i minibot, che sono una quasi-moneta emessa dallo stato (che è il vero garante del valore della moneta con i suoi ricavi fiscali) non trovano la stessa accoglienza favorevole da parte della banca centrale.

Ma il paradosso continua. La Costituzione italiana cita una sola volta quasi solo di sfuggita la parola “moneta” all’articolo 117 affermando che “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: politica estera e rapporti internazionali; rapporti dello Stato con l’Unione europea; …. immigrazione … difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato …; moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato …”.

Quindi secondo la Costituzione la moneta è soggetta solo alla legge dello Stato. Però poi la potestà monetaria effettiva è della BCE e non dello stato italiano. Insomma, la questione della sovranità monetaria – condivisa tra lo stato italiano, gli stati dell’eurozona, le banche commerciali e la BCE – è assai complessa, contraddittoria e controversa.

La battaglia sui minibot: Draghi e Tria contro l’Italexit

Ma continuiamo la nostra storia sui minibot. In Parlamento il PD ha dato inizialmente il suo voto favorevole ai minibot, ma poi ha ritirato l’adesione. E il ministro dell’Economia e delle Finanze Giovanni Tria si è affrettato a dichiarare in un comunicato ufficiale che “non c’è nessuna necessità né sono allo studio misure di finanziamento di alcun tipo, tanto meno emissioni di titoli di Stato di piccolo taglio, per far fronte a presunti ritardi dei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni italiane. I tempi di pagamento della PA sono in costante miglioramento”.

Quindi il MEF è contrario ai minibot, perché teme che vengano percepiti come un primo passo verso l’Italexit, l’uscita dell’Italia dall’euro. Il ministro Tria non vuole assolutamente scontrarsi con la UE e la BCE per timore che sul mercato finanziario si innalzi lo spread, cioè che i creditori dello stato italiano chiedano un aumento dei rendimenti, degli interessi da loro percepiti, di fronte alla creazione di questa quasi-moneta di stato.

In effetti Borghi in passato aveva definito i mini-Bot come “un espediente per uscire in modo ordinato e tutelato, una specie di ruota di scorta” per fuggire dall’eurozona. Qui sta il vero nodo del problema: i minibot mettono in discussione il rapporto del governo italiano verde-giallo con l’Europa dell’euro. Non a caso la polemica politica è scoppiata violentemente dopo che il presidente della BCE, Mario Draghi (che è ovviamente il massimo difensore dell’euro) rispondendo in conferenza stampa a una domanda sui minibot ha affermato seccamente “O sono una valuta parallela, e quindi illegale, oppure sono titoli e aumentano il debito. Non penso che ci siano altre possibilità”. In sostanza Draghi ha condannato la decisione del Parlamento Italiano sui minibot.

Draghi si è legittimamente espresso per sbarrare la strada a monete parallele all’euro (che resta però una moneta fragile che non promuove lo sviluppo). Dopo la condanna secca della BCE è seguita la condanna di Confindustria. L’associazione degli imprenditori reclama che gli arretrati vengano pagati alle aziende con “soldi veri” e non con titoli fiscali di “secondo rango”, titoli che inoltre potrebbero portare l’Italia – sempre secondo Confindustria – fuori dall’euro. Il timore dell’uscita dell’Italia dall’eurozona è largamente condiviso. Secondo l’agenzia di rating americana Moody’s “l’emissione di mini-Bot sarebbe considerata come un primo passo verso la creazione di una valuta parallela e una mossa preparatoria per l’uscita dell’Italia dall’Eurozona”.

L’uscita dell’Italia dall’euro diventerebbe in pratica obbligatoria solo se aumentasse il debito pubblico a livelli insostenibili. E il problema maggiore dei minibot è proprio quello che accrescono il debito dello stato. Infatti sembra che i debiti commerciali dello stato non vengano contabilizzati come debito pubblico fino a quando non vengono effettivamente saldati. E quindi il pagamento dei debiti di stato con i minibot sarebbe conteggiato nel debito pubblico. Inoltre i minibot potrebbero essere utilizzati per pagare subito le tasse, e quindi produrrebbero immediatamente una diminuzione dei ricavi fiscali. A causa dell’emissione di minibot, il debito dello stato italiano potrebbe allora crescere fino ad assumere delle proporzioni incontrollabili. Da qui la possibile Italexit.

Scenari della crisi

In seguito alla crisi finanziaria si potrebbero aprire diversi scenari: in realtà sembra che Salvini (il vero promotore di questa operazione minibot, mentre Di Maio appare più defilato) abbia lasciato la porta aperta a ogni tipo di soluzione. Gli sbocchi potrebbero essere molteplici: i minibot potrebbero essere un elemento di contrattazione con la UE per ottenere condizioni migliori per fronteggiare il problema del debito pubblico italiano. Oppure – a meno che il problema del debito non venga risolto con qualche misura eccezionale, come una tassa patrimoniale (cosa che appare molto improbabile con questo governo) – potrebbero verificarsi altri scenari, come la ristrutturazione del debito pubblico e l’arrivo della Troika (UE, BCE, FMI) per commissariare lo stato italiano. Comunque, in caso di nuova grave crisi finanziaria, lo sbocco più probabile sarebbe la caduta del governo attuale, nuove elezioni e l’insediamento di un nuovo governo tutto di destra guidato dall’uomo forte Salvini: un governo forte per uscire dall’euro. In questo caso l’eurozona potrebbe scioglie
rsi o spaccarsi.

Questi potrebbero essere i risultati politici della creazione dei minibot. A livello economico la domanda è però un’altra: questi titoli potrebbero realmente essere utili per ridare slancio all’economia italiana, che ha bisogno di liquidità come un malato grave ha assoluta necessità della bombola d’ossigeno? In effetti non sembra che i minibot possano fare svoltare decisamente l’economia.

Verrebbero assegnati prevalentemente a (non tutte, solo a quelle che vogliono in minibot al posto dell’euro) le imprese medio-piccole creditrici della PA e poi spesi nei (presumibilmente non molti) punti vendita che scelgono di accettarli. Tuttavia difficilmente verrebbero accolti volentieri al posto degli euro dalle imprese, dal pubblico e dai punti vendita; e difficilmente verrebbero accettati al loro valore nominale. Se per esempio la Esselunga accettasse i minibot chiederebbe quasi certamente uno sconto. Non a caso la Confindustria fa resistenza. È quindi improbabile che una manovra basata sui minibot riesca a risollevare l’economia italiana. E forse proprio questo è il problema principale dei minibot.

I Titoli di Sconto Fiscale per risollevare l’economia senza deficit

Può invece funzionare perfettamente un altro tipo di “moneta fiscale” capace di rivitalizzare notevolmente la domanda aggregata (consumi, investimenti, spesa pubblica) senza produrre deficit pubblico, a differenza dei minibot della Lega. E quindi rispettando tutte le regole dell’eurozona ed evitando l’Italexit. Il governo italiano potrebbe emettere dei Titoli di Sconto Fiscale (TSF) utilizzabili solo dopo tre anni (cioè al quarto anno) per pagare le tasse ma subito convertibili in euro, in moneta sonante, nel mercato finanziario, esattamente come i Bot e i Btp[10].

La svolta sarebbe perfettamente legale e può essere gestita rispettando i vincoli dell’euro: infatti l’Italexit è per quanto possibile da evitare perché avrebbe esiti assai incerti e colpirebbe innanzitutto il lavoro e gli strati più poveri della popolazione.

I Tsf dovrebbero essere assegnati gratuitamente (come avviene per una qualsiasi riduzione fiscale) per qualche decina di miliardi di euro agli enti pubblici, alle famiglie e alle imprese per aumentare il loro potere d’acquisto. I TSF costituirebbero quindi reddito aggiuntivo rispetto ai redditi in euro, e non sostitutivo. I TSF non si sostituiscono alla moneta legale ma si aggiungono. Quindi la loro assegnazione sarà accolta con grande consenso dal pubblico e segnerebbe la fine certa e concreta dell’austerità.

Inoltre, c’è una differenza sostanziale rispetto ai minibot: i TSF in linea di principio non diventeranno un mezzo di pagamento ma verranno in grande maggioranza convertiti in euro sui mercati finanziari, proprio come lo sono normalmente gli altri titoli di stato, i Bot e i BTP. Dopo che i TSF verranno cambiati in euro sul mercato finanziario, nel mercato reale dei beni e dei servizi circoleranno solo gli euro e non monete più o meno strane, come i minibot, che avrebbero certamente una accettazione assai più limitata.

La proposta che avanzo si distingue dalle altre anche perché i TSF sarebbero certamente promossi come titoli investment grade – in quanto titoli coperti dal loro valore fiscale e sempre utilizzabili per diminuire gli obblighi fiscali (anche in caso di default dello stato) – e quindi verrebbero certamente accettati dalla Bce come collaterali per l’erogazione di prestiti alle banche e per ogni altro tipo di operazione monetaria. La BCE infatti accetta sempre per regolamento i titoli di stato investment grade. Una volta accettati dalla BCE, i TSF sarebbero certamente promossi dal sistema bancario e prevedibilmente dai mercati.

Ai cittadini i TSF saranno attribuiti in proporzione inversa al reddito, privilegiando ceti sociali disagiati e lavoratori a basso reddito: questo sia per incentivare i consumi che per ovvie ragioni di equità sociale. Alle aziende, le assegnazioni saranno attribuite principalmente in funzione dei costi di lavoro da esse sostenute. L’attribuzione di TSF alle aziende ridurrà i costi del lavoro, migliorerà immediatamente la loro competitività delle imprese ed eviterà che l’effetto espansivo sulla domanda interna crei un peggioramento dei saldi commerciali esteri. Quindi la manovra non genererà scompensi sulla bilancia dei pagamenti.

Una quota molto importante dei TSF verrebbe inoltre utilizzata per iniziative di pubblica utilità: innanzitutto un Piano del Lavoro finalizzato a creare occupazione e a realizzare infrastrutture immateriali (ricerca, scuola e università, politica attiva del mercato del lavoro, etc.) e materiali (per esempio, opere di riassetto idrogeologico e del territorio). Inoltre i TSF potrebbero essere utilizzati dallo stato per programmi di rafforzamento e riqualificazione del welfare e per il Reddito Minimo.

Sul piano istituzionale la manovra che propongo, essendo basata su titoli fiscali, è perfettamente in linea con i trattati europei poiché in campo fiscale ogni stato è sovrano; e soprattutto perché i TSF non generano debito né al momento dell’emissione né in quello dell’utilizzo, ovvero dopo tre anni dall’emissione. Questa è la principale differenza con i minibot di Borghi.

Infatti nel momento della creazione di TSF lo stato non sborsa soldi e non chiede euro al mercato finanziario, e quindi non registra alcun deficit fiscale. Inoltre sul piano contabile i TSF non possono essere computati come debito pubblico perché il governo emittente non s’impegna a rimborsarli in euro ma soltanto a concedere futuri sconti sulle tasse. Dopo tre anni dalla loro creazione, al quarto anno, quando i TSF potranno essere utilizzati per ridurre il pagamento delle tasse, il deficit fiscale potenziale verrà compensato per effetto della crescita del PIL reale e nominale.

Nel periodo che va dell’emissione dei TSF alla loro maturazione entrerà infatti in funzione il moltiplicatore del reddito. Come insegna l’esperienza storica – e come hanno verificato Olivier Blanchard e Daniel Leigh in un noto studio effettuato per conto del FMI[11] – nelle condizioni di forte crisi e di trappola della liquidità il moltiplicatore è storicamente superiore a uno: così ogni nuovo euro immesso in circolazione genererà un più che proporzionale aumento del PIL.

Dopo tre anni dall’emissione dei TSF la crescita del PIL nominale indotta dal moltiplicatore e dall’inflazione – provocata dal forte incremento della domanda – darà luogo a un aumento del gettito fiscale che compenserà il costo dei TSF senza incremento di deficit e di debito pubblico, anzi con surplus fiscale.

Mentre i minibot servirebbero solo a pagare i debiti della PA, e quindi produrrebbero un effetto moltiplicatore relativamente contenuto, i TSF costituirebbero invece reddito aggiuntivo diffuso e quindi avrebbero un impatto assai più elevato sull’economia reale. Inoltre la diffusione dei TSF e la loro conversione in euro da spendere nell’economia reale provocherebbe un aumento dell’inflazione, e quindi un incremento del PIL nominale.

Le emissioni di TSF potrebbero partire da un livello pari al 2-3% circa del PIL annuo – circa 30-40 miliardi di euro – e essere successivamente modulate e calibrate in modo da assicurare alti livelli di occupazione senza però produrre un’inflazione superiore al 3-4%, né scompensi nei saldi commerciali esteri.

Lo shock monetario-fiscale renderà nuovamente vitale l’economia nazionale.
L’incremento della domanda legata al maggior potere d’acquisto farà crescere il PIL in misura più che proporzionale rispetto all’emissione di TSF, inizialmente intorno al 3-4%, fino al recupero completo dell’”output gap” prodotto dalla crisi.

Più nel dettaglio:

a) i Tsf sarebbero emessi dal governo senza fare aste: quindi nessun aumento dello spread, perché non si chiede nessun credito ai primary dealers;

b) I Tsf, come tutti i titoli garantiti e a breve termine, nei mercati finanziari si possono convertire in euro a basso tasso di sconto: vende chi ha bisogno di immediata liquidità in euro; compra chi vuole acquistare futuri sconti fiscali;

c) la conversione dei titoli garantisce che nel mercato reale circolino solo gli euro e non strane monete parallele di difficile accettazione;

d) I Tsf si ripagano alla maturità (cioè dopo tre anni dall’emissione) per l’effetto combinato del moltiplicatore fiscale e dell’aumento dell’inflazione legato alla crescita della domanda. Grazie all’aumento del Pil nominale, al quarto anno il potenziale deficit erariale dovuto all’emissione dei Tsf viene interamente coperto;

e) I Tsf sono titoli meno rischiosi dei Btp perché sono sempre utilizzabili per “pagare le tasse” anche se lo stato fallisse. I Tsf saranno quindi certamente promossi come investment grade dalle agenzie di rating, nonostante;

f) essendo titoli investment grade saranno pienamente accettati dalla Bce come collaterale (garanzia) per i prestiti alle banche;

g) Quando un titolo è accettato dalla Bce e dalle banche, esso – come è noto – è anche accettato dai mercati.

La vera domanda rispetto all’emissione dei TSF non riguarda tanto la reazione della UE ma soprattutto quella dei mercati finanziari. I mercati sono sempre imprevedibili e spesso irrazionali. Tuttavia se, grazie all’emissione dei TSF, il PIL italiano crescesse notevolmente senza incremento di deficit e di debito, e se il rapporto debito pubblico/PIL diminuisse, gli investitori finanziari saranno rassicurati dal fatto che i loro crediti verranno perfettamente ripagati. Lo spettro del default di stato scomparirà. Quindi, se la manovra venisse ben illustrata e giustificata da un governo in carica, i mercati potrebbero reagire positivamente.

NOTE
[1] Wolfgang Munchau, Financial Times “How Matteo Salvini could blow up the eurozone”, 9 giugno 2019

[2] Enrico Grazzini “Quando la moneta ufficiale non funziona è il momento delle monete alternative” MicroMega, N. 4/2017

[3] Enrico Grazzini “Perché l’euro prima o poi crollerà” Micromega N. 2/2019

[4] Joseph E. Stiglitz, Can the Euro Be Saved? Project Syndicate, Jun 13, 2018

[5] Wolfgang Münchau,, The unbreakable, unsustainable eurozone, Financial Times, April 28, 2019

[6] Luciano Gallino: “Una moneta fiscale per uscire dall’austerità senza spaccare l’euro”, Micromega, 2014

[7] Art. 128 TFEU: 1. The European Central Bank shall have the exclusive right to authorise the issue of euro

banknotes within the Union. The European Central Bank and the national central banks may issue such notes. The banknotes issued by the European Central Bank and the national central banks shall be the only such notes to have the status of legal tender within the Union. 2. Member States may issue euro coins subject to approval by the European Central Bank of the volume of the issue ….”.

[8] Bank of England, Quarterly Bulletin 2014 Q1“Money creation in the modern economy”, by Michael McLeay, Amar Radia and Ryland Thomas of the Bank’s Monetary Analysis Directorate.(1)

[9] Ibidem

[10] Enrico Grazzini, Micromega on line “L’Italia e l’euro potrebbero rafforzarsi con l’emissione di Titoli di Sconto Fiscale”

[11] Olivier Blanchard, Jeromin Zettelmeyer “The Italian Budget: A Case of Contractionary Fiscal Expansion?” Peterson Institute For International Economics, October 25, 2018
(10 giugno 2019)






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