La Guinea è una polveriera per tutta l’Africa occidentale

Linda Ghirardello

e Roland Benedikter*
Ci sono aree del mondo delle quali la globalizzazione sembra essersi dimenticata. In verità hanno un impatto notevole anche sul futuro dell’Europa. La piccola nazione sub-sahariana della Guinea, con i suoi 12 milioni di abitanti, è una di queste aree. Ufficialmente una repubblica semipresidenziale, le elezioni presidenziali che si tengono questo 18 ottobre sono, per l’ennesima volta, un villaggio Potëmkin accompagnato da violenza e repressione. Sembra poca cosa agli Europei – ma già oggi villaggi interi del paese si sono trasferiti in Francia e Germania. Sono soprattutto i giovani, gli adolescenti e i ben educati che fuggono verso l’Europa, lasciando la disperazione di parenti e famiglie dietro di sé. E siccome conflitti etnici, tribali e famigliari sono sparsi oltre i confini della Guinea, la situazione del paese dal potenziale svizzero, ma economicamente sfruttato e politicamente considerato marginale, è una polveriera per tutta l’Africa occidentale.

La Guinea-Conakry è uno dei paesi più poveri dell’Africa occidentale. Le elezioni presidenziali del 18 ottobre sono contestate dalle forze di opposizione in quanto non-democratiche, nonché dalla diaspora guineana residente in Francia, Svizzera e Germania. La situazione rispecchia le tendenze autocratiche del presidente Alpha Condé, il primo presidente eletto democraticamente nel 2010. Le elezioni furono allora un’anomalia positiva per la Guinea, un paese che dalla sua indipendenza dalla Francia nel 1958 in poi ha conosciuto un colpo di stato dopo l’altro. Inizialmente considerato una speranza per la democrazia, Condé si auto-considerò il “Mandela della Guinea” e fu fortemente sostenuto dai governi francesi, e anche nominato presidente dell’Unione Africana nel 2017.

Tuttavia, come spesso accade in zone internazionalmente poco osservate dell’Africa (ed altrove), misure repressive e antidemocratiche sono aumentate nel corso della presidenza di Condé, restringendo non solo i diritti fondamentali dei cittadini guineani, ma anche le basi della democrazia. L’opposizione accusò Condé di broglio elettorale già durante la sua rielezione nel 2015, ma l’ondata delle grandi proteste si è scatenata solo l’anno scorso in reazione al referendum costituzionale annunciato dal presidente, che prevedeva l’abolizione del limite di due mandati presidenziali in favore di una sua continuità personale. Ritenuto falsificato e boicottato da parte dell’opposizione, il referendum del 22 marzo 2020, con un risultato netto di 89,76% voti in favore al “si”, fu messo in dubbio dall’Unione Europea, dagli Stati Uniti, e dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (CEDEAO), che rifiutò, insieme all’Unione Africana, di eseguire la missione di osservazione elettorale, a causa della presenza di un terzo di elettori registrati senza documenti ufficiali. Il referendum promosso da Condé e dal suo partito RPG – Rassemblement du Peuple Guinéen rappresenta un gioco strategico conosciuto da troppi decenni in diversi paesi africani dai cosiddetti “presidenti a vita”, intenti ad aggrapparsi al potere.

Intanto nei giorni e mesi precedenti il Fronte nazionale per la difesa della costituzione (Fndc), il blocco opposizionale guineano, si è mobilizzato, domandando ripetutamente le dimissioni di Alpha Condé. Il suo leader, Cellou Dalein Diallo, ha chiesto l’intervenzione della CEDEAO per ristabilire le basi democratiche in Guinea. Anche la Federazione internazionale dei diritti umani (FIDH), Human Rights Watch e Amnesty International accusano il governo Condé di violare i diritti umani e di non rispettare i principi di democrazia, talvolta anche tramite le misure Covid-19, strumentalizzate per reprimere le proteste e le manifestazioni da parte dell’opposizione. Secondo le ONG internazionali che eseguono analisi sia sul territorio che (anche a causa di Covid-19) via “remote research”, solo nel corso dell’ultimo anno, tra le 50 e le 100 persone sono state uccise da cittadini armati e dalle forze dell’ordine, che nella maggioranza dei casi godono d’impunità quasi-assoluta. Sono noti anche numerosi arresti arbitrari, detenzioni disumane, e distruzioni di proprietà private. Ritrovati anche 24 cadaveri dopo scontri a Nzérékoré, nel sud-est del paese, dove la violenza ha assunto una dimensione etnica, alimentando odio soprattutto tra i gruppi Malinké o Koniaké (pro-governo) e i pro-opposizionali Guerzé e Peul. Purtroppo, gran parte delle logiche politiche in Guinea rimangono basate sull’appartenenza genealogica producendo “partiti etnici” e politiche identitarie dividendo soprattutto le generazioni giovani. Mentre una parte è da tempo estranea alle logiche etniche ed identitarie, essendo cresciuta con internet in un orizzonte più globale e desiderosa di uno stato di diritto che tuteli l’individuo al di là di sole appartenenze di gruppo, l’altra parte si fa coinvolgere in queste logiche, un fenomeno dovuto anche al fatto che in Guinea ancora oggi solo l’1,2 per cento della popolazione complessiva ha accesso a internet. Simbolico e preoccupante quindi il linguaggio utilizzato da Condé che, durante un discorso in lingua Malinké, chiamò le elezioni una “guerra”.

Il mix tra crisi politica, abusi da parte delle forze dell’ordine e tensioni etniche rende la Guinea una polveriera per tutta l’Africa occidentale, poiché i conflitti tra i gruppi etnici si spingono oltre i confini dello stato, e un gran numero di rifugiati provenienti da paesi confinanti politicamente già instabili, come la Libera, la Sierra Leone, e la Guinea Equatoriale, sono presenti sul territorio guineano. Un’ulteriore destabilizzazione del paese inciderebbe quindi su tutta la regione, e in particolare sul lato occidentale dell’Africa sub-sahariana. Ne potrebbe risultare una grave crisi umanitaria, nonché un danno irreversibile per lo sviluppo del paese disperatamente sognato dai giovani.

La Guinea è infatti un paese mol
to giovane, con un’età media di 18 anni
e segna una crescita demografica importante (26 milioni previsti nel 2050 rispetto ai 12,4 milioni nel 2019). Nonostante sia il primo fornitore mondiale di Bauxite, un minerale usato per fabbricare alluminio, e pertanto potenzialmente un paese benestante con notevoli potenziali di modernizzazione, rimane uno dei paesi più poveri dell’Africa, con un indice di sviluppo umano molto basso. Il paese è considerato estremamente corrotto e soltanto parzialmente libero. Inoltre, la Guinea è stata il focolaio dell’Ebola nel 2014 e l’impatto fatale sul piano economico e sociale si risente ancora oggi. Nel 2020, la quota di disoccupazione rimane modesta (4,5%) e per quanto riguarda la gioventù tocca i 5,5%. Questo può, in comparazione con l’Europa e l’Italia, apparire poco, ma deve essere visto nel contesto dell’“economia ombra” (shadow economy o settore informale) che molti considerano superi i dati ufficiali dell’economia regolare (e di quella tassata) particolarmente nelle zone rurali ed extra-urbani. Secondo l’International Monetary Fund (IMF), l’economia ombra “contava tra il 30 e il 65 percento dell’economia totale dell’Africa sub-sahariana”, esemplificando anche le difficoltà di produrre statistiche e dati certi da parte di organizzazioni mondiali.

Il risultato? A causa della mancanza di prospettive, molti giovani disoccupati emigrano verso altri paesi confinanti come la Costa d’Avorio o il Senegal, oppure verso l’Europa, attraversando il Sahara e il Mediterraneo. Infatti, negli ultimi anni, le richieste d’asilo da parte di cittadini guineani sono aumentati soprattutto in Francia, Germania e Italia. Gran parte di loro sono minori non accompagnati. Sono oggi 12.629 i Guineani ufficialmente residenti in Italia dei quali 154 residenti in Alto Adige, con un numero probabilmente elevato di non-registrati. Un conflitto armato post-elezioni e le sue conseguenze economico-sociali aumenterebbe il numero dei rifugiati. Lo spopolamento di molti villaggi, la fuga dei cervelli e della mano d’opera a causa di fuga e emigrazione già adesso rappresentano maggiori difficoltà che si ripercuotono negativamente sullo sviluppo del paese. Si avverte un nuovo flusso di emigrazione nel caso Alpha Condé fosse riconfermato presidente – e l’Europa come principale meta di arrivo sognata da molti Guineani è mal preparata. Né l’Italia, né la Guinea hanno aderito al “Patto globale per la migrazione” (Global compact for migration) dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (OIM) firmata in dicembre 2019 a Marrakesh, che intende stabilire accordi bilaterali per evitare di indurre alla migrazione irregolare. Se in seguito alla protrazione di politiche autoritarie si stesse facendo strada una nuova catastrofe umanitaria nel Mediterraneo, come la abbiamo vissuta nel 2015, ciò significherebbe sicuramente anche la propagazione delle tensioni politiche a livello UE.

L’unica soluzione sembra quella di riprendere di vista quelle aree dimenticate come la Guinea, ed altre zone di povertà ed ineguaglianza governate da regimi autocratici, che sono tuttora escluse dalle strategie confluenti del mondo globalizzato. L’Unione Europea ha bisogno di una strategia complessiva che vada finalmente oltre le rivalità e le dominanze tra le forze storiche maggiori del colonialismo Africano, ossia la Francia e la Gran Bretagna, per esercitare più pressione sui regimi locali, che dovrebbero rispecchiare la volontà di modernizzazione e di partecipazione cittadina soprattutto dei giovani e offrire loro delle vere prospettive di esistenza. L’UE deve anche fare di più per le donne in Africa per mobilizzare il pieno potenziale democratico e di sviluppo.
Come ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel, l’UE non può più stare a guardare, se vuole tutelare i suoi stessi interessi. Purtroppo per la Guinea, le elezioni del 18 ottobre saranno un’altra occasione persa per un cambiamento democratico – anche a causa dell’inattività dell’Unione Africana e dell’UE. In sintesi, sia gli Africani che gli Europei devono fare di più per arrivare a una nuova qualità di cooperazione sullo sviluppo, se vogliono dare un contributo essenziale a una “ri-globalizzazione” e “glocalizzazione” positiva ad ambedue le parti e dunque idonea a quello che i tempi attuali richiedono.

* Center for Advanced Studies dell’Eurac Bolzano
(13 ottobre 2020)





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