La lotta antifascista dei “partigiani digitali”
Daniele Nalbone
Intervista ad Alex Orlowski, esperto di marketing politico e monitoraggio dei social media, impegnato da quattro anni in una campagna di «democratizzazione del web» contro le ultradestre. Il suo lavoro è stato alla base delle ultime puntate di Report che ha denunciato le modalità di azione “social” dei partiti della destra italiana. ampio spazio sarà dedicato al tema del "Fascismo quotidiano" con contributi di Tomaso Montanari, Cathy La Torre, Daniele Nalbone, Francesco Pallante, Christa Wichterich e Simona Argentieri.
Com’è iniziata la tua battaglia contro neofascisti e neonazisti?
Ho sempre avuto una passione, fin dalla nascita del primo “darkweb”: analizzare i dati. Internet è nato come uno spazio di libertà: in rete non c’erano i governi, non c’erano i mass media. Nel 2016, però, con la mia agenzia, che si occupa soprattutto di marketing, mi sono reso conto che c’erano spaventose anomalie nelle campagne politiche. Così ho iniziato a utilizzare i tool (programmi, ndr) che normalmente impieghiamo per le nostre attività per monitorare il comportamento di alcuni gruppi politici, in particolare quelli che usavano modalità non etiche per accrescere i propri fan o i propri follower. Mi riferisco a realtà razziste e xenofobe, che spingono a una polarizzazione estrema della nostra società. È così che mi sono reso conto di come la comunicazione di questi partiti, sui social, puntasse a un target ben preciso: le persone più fragili e facilmente manipolabili. In quel momento ho capito che era tempo di agire.
Il tuo nome in articoli di giornale e poi in programmi televisivi inizia a girare però solo nel 2018, quando hai contribuito a mostrare il vero volto di quella che poi i media hanno ribattezzato la “Bestia” di Salvini, la sua macchina della propaganda.
Dopo aver capito la modalità di azione della macchina della propaganda di Matteo Salvini, con messaggi – gli stessi, identici – ripetuti da migliaia di persone, decido di tirare fuori i primi dati. Attenzione, mi riferisco a dati “pubblici”, forniti da programmi che però solo poche agenzie possono utilizzare, per capacità ma anche per costi. Sono programmi che normalmente servono ad analizzare campagne di marketing ma sono perfetti anche per quelle politiche. “Loro” usavano tecniche di propaganda anomale, io ho usato tecniche di lettura di dati e analisi per capire dove stavano queste anomalie. Di fatto i partiti dell’ultradestra usavano, e usano, queste tecniche per far credere al pubblico di avere un grande seguito sui social, innescando così un effetto domino e sfruttando le falle dei vari sistemi. Se appaio sui social come un “politico virale” è solo questione di tempo: prima o poi la televisione si accorgerà di me trasformandomi in un fenomeno mediatico. Da qui alla popolarità è un attimo. Questo hanno fatto i partiti dell’ultradestra in Italia: tramite finti account ritwittavano migliaia di volte un messaggio del proprio politico di riferimento, facendo così accrescere la sua popolarità sui social. E, come sempre avviene, i programmi televisivi sono attratti dalla popolarità social. Di fatto, i “tecnici web” dell’ultradestra hanno costruito una trappola perfetta per arrivare – semplifico, ovviamente – in prima serata.
Domanda secca: quali sono i fenomeni da combattere in rete?
Guardando le varie “reti della rete” ho scoperto che piccole nicchie di estremisti votati alla ricostruzione di partiti nazisti e fascisti si stavano organizzando. Parlavano tra loro sul “dark web” con l’obiettivo di delineare una strategia comune a livello europeo e mondiale. Per fortuna in Italia abbiamo giornalisti attenti a questi fenomeni che hanno capito subito la gravità di questa cosa, e sono intervenuti.
Quali sono i casi più gravi nei quali ti sei imbattuto?
Decine. Ogni volta che vedo minacce di morte, tentativi di organizzare attacchi per fare del male alle persone, per me quello è il caso più grave. Si va da foto di armi a persone che minacciano di morte personaggi che non mi sarei mai aspettato, come Papa Francesco. Sicuramente, una cosa che spaventa è vedere minacce di attentati contro moschee e sinagoghe che poi diventano realtà. C’è poi un intero filone di attacchi “social” contro, in generale, politici democratici. Una delle cose che però mi impressiona di più, ogni volta, è vedere vignette negazioniste che deridono i sopravvissuti ai campi di concentramento. Come avvenuto, ad esempio, con Liliana Segre.
Che idea ti sei fatto delle modalità di azione in rete dei partiti e delle formazioni extraparlamentari di destra?
La destra in generale, a livello mondiale, è molto ben organizzata sul web. Hanno molti attivisti che sanno come supportare i propri leader sovranisti, ormai sempre più “pesanti” all’interno delle istituzioni democratiche. E il caso italiano non fa eccezione. La loro modalità di azione è molto semplice: cambiano il contesto delle notizie e dei dati, usano fake news per accrescere i propri consensi, organizzano attacchi mirati a esponenti democratici. Inoltre, le destre hanno una rete enorme di blog e pagine social in cui si organizzano: usano Facebook e Twitter solo per fare campagna elettorale, ma la loro organizzazione si è spostata su social come VKontakte (il “Facebook russo”, ndr) o su altri portali dove il controllo è minore, per non dire assente. L’elemento più impressionante, però, è la mole di fondi su cui possono contare: hanno varie linee di finanziamento, si parte dai fondi interni che arrivano dalle attività di vero e proprio marketing digitale alla vendita di prodotti di abbigliamento passando per case editrici fino ad arrivare a grandi donazioni non solo dal mondo dell’imprenditoria ma da fondazioni americane ultracattoliche, di estrema destra. Soldi che finanziano varie organizzazioni in giro per l’Europa che, a loro volta, redistribuiscono a chi “lavora” sui social.
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La lotta antifascista, oggi, deve essere (anche) online, quindi?
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