La lunga mano dell’Arabia Saudita sull’Independent. Intervista a Lucia Annunziata

Cinzia Sciuto

Una quota consistente dell’Independent è finita in mano a un magnate dell’Arabia saudita e lo scorso 15 ottobre, a commento della vicenda Weinstein, il giornale ha pubblicato un articolo a firma di Qasim Rashid dal titolo “Come l’insegnamento dell’Islam può aiutarci a prevenire gli scandali sessuali”. Un caso? La direttrice di Huffington Post Italia, Lucia Annunziata, pensa di no e legge questa svolta del giornale come una parte della strategia di soft power dell’Arabia Saudita in Occidente.

intervista a Lucia Annunziata
Lo scorso 15 ottobre, a commento della vicenda Weinstein, l’Independent ha pubblicato un articolo a firma di Qasim Rashid dal titolo “Come l’insegnamento dell’Islam può aiutarci a prevenire gli scandali sessuali”. Nel testo si sostiene che “il Corano stabilisce che uomini e donne sono uguali e proibisce agli uomini di costringere una donna a fare qualcosa contro la propria volontà, garantendo così alle donne autonomie e autodeterminazione”. Per l’autore del pezzo, dunque, l’insegnamento del Corano e della vita di Maometto costituirebbe un baluardo contro la cultura dello stupro e renderebbe gli uomini più responsabili nei confronti delle donne. La pubblicazione dell’articolo su un giornale con una lunga tradizione liberal come l’Independent ha suscitato molto dibattito e sollevato molte preoccupazioni. Ne parliamo con la direttrice di Huffington Post Italia, Lucia Annunziata.    

Direttrice, è rimasta sorpresa leggendo l’articolo di Rashid su una testata come l’Independent?

L’articolo, scritto dal portavoce della comunità Ahmmadiyya muslim negli Usa, riproduce uno schema classico di difesa dell’islam, suggerendo che il “vero” islam non solo non giustifichi nessuna violenza sulle donne, ma addirittura ne sancisca la perfetta uguaglianza con l’uomo (al contrario di quanto farebbe il cristianesimo) e prescriverebbe un rispetto assoluto nei loro confronti. In questa lettura, niente è imposto alle donne, neanche l’hijab, che queste ultime indosserebbero per libera scelta autonoma per difendere la propria modestia e non tentare gli uomini con la loro bellezza. Si tratta di argomenti abbastanza standard, che ovviamente si tengono molto lontani da quello che accade nella vita concreta di molte donne nella maggioranza dei paesi musulmani. Cercare di rintracciare il “vero” messaggio dell’islam è una strategia abbastanza diffusa, utilizzata anche dai movimenti islamisti – ben prima che arrivasse l’Isis – che intendono impostare la loro azione politica in termini di scontro di civiltà con l’Occidente, ma anche come arma di controllo interno al mondo musulmano. Ma l’islam, come qualunque altra religione, si misura non tanto sulla sua dottrina quanto sulla pratica reale. Detto questo, l’uscita dell’articolo sull’Independent non mi ha sorpreso più di tanto perché mi pare coerente con il nuovo atteggiamento del giornale nei confronti dell’Arabia Saudita, da quando un facoltoso investitore di questo paese ne ha acquisito quote consistenti. Si tratta di Muhammad Abuljadayel, un quarantaduenne manager della banca NCB che, come tutte le banche in Arabia Saudita, è controllata dal governo. E non è un caso che l’altro socio sia Evgeny Lebedev, un oligarca russo, ex uomo del Kgb.

Una questione geopolitica, dunque?

A me pare che l’articolo – che nei suoi contenuti è ridicolo, oltre che in più punti falso – rientri perfettamente in una precisa strategia di soft power, che l’Arabia Saudita sta mettendo in campo sia nei confronti dell’Occidente che rispetto alla propria opinione pubblica interna. L’Arabia Saudita ha dovuto affrontare in questi ultimi anni quella che viene chiamata “la fine dei sunniti”. La grande guerra tra Arabia Saudita e Iran che dura da trent’anni è sostanzialmente una guerra di religione fra sunniti e sciiti, in cui i sunniti sono stati sempre la forza prevalente, perché sunnite sono tutte le famiglie reali che controllano il petrolio. Questa posizione di forza si è andata sempre più indebolendo negli ultimi anni, fino a precipitare con la guerra in Iraq, che avrebbe dovuto rappresentare per gli Usa l’occasione per stabilire un punto da cui controllare l’intero Golfo e che si è tradotta invece in un episodio della più ampia guerra fra sciiti e sunniti, con la vittoria dei primi dato che Saddam Hussein era un sunnita. La sconfitta di Saddam e l’istituzione di un governo sciita pro Iran ha rappresentato l’inizio della fine del controllo dell’Arabia Saudita sull’area. Il secondo momento di questo inesorabile declino è rappresentato dalla crisi siriana, nell’ambito della quale l’Iran, appoggiando Assad, ha ampliato il proprio raggio di azione. Da ultimo, l’accordo sul nucleare iraniano sottoscritto da Obama ha rappresentato il definitivo cambio di paradigma in Medioriente. C’è dunque un fortissimo problema di decadenza del potere sunnita a cui l’Arabia Saudita sta rispondendo da un lato con una serie di riforme interne – a partire dalla concessione patente alle donne – e dall’altra tentando di ricostruire un rapporto con l’Occidente, grazie appunto a queste strategie di soft power che puntano moltissimo sui media e sugli investimenti.

L’acquisizione di una parte consistente dell’Independent da parte di un investitore dell’Arabia Saudita spiega certamente i molti articoli accondiscendenti nei confronti di questo paese che si leggono sul giornale. L’articolo di Rashid però va un passo più in là, spingendosi oltre la geopolitica per entrare nel merito di questioni religiose e culturali…

Le due cose però non si possono separare. L’Arabia Saudita è un paese teocratico, la cui forza si fonda sul suo intimo legame con la religione. Sostenere le scelte geopolitiche dell’Arabia Saudita significa sostenere le scelte religiose di un islam estremamente radicale e conservatore. Sono due facce della stessa medaglia. Da un giornale che sostiene geopoliticamente l’Arabia Saudita non ci si può che aspettare questo tipo di propaganda sull’islam. È un altro aspetto del soft power. L’articolo di Rashid è completamente coerente con questa strategia: esiste un islam perfetto, religiosamente migliore del cristianesimo. Nell’islam perfetto predicato da Maometto le donne sono indipendenti, protette e rispettate e gli uomini sono più responsabili e più educati degli uomini occidentali. Se si apre una falla geopolitica, si apre una falla culturale.

L’Indepedent rischia dunque di perdere la propria identità?

Io spero che i giornalisti dell’Independent sapranno tenere un argine a questa deriva, però è chiaro che il problema è serio. Il giornale era in una gravissima crisi finanziaria, la redazione era ridotta a 49 giornalisti e stava per fallire. Questa iniezione di liquidità è stata una boccata di ossigeno, ma è chiaro che il giornale è in una posizione di debolezza nei confronti di chi ci sta mettendo i soldi per non farlo chiudere. Ed è proprio per la sua fragilità economica – oltre che per la sua autorevole reputazione – che l’Independent è stato individuato come un veicolo per l’esercizio di soft power in Occidente e nel mondo arabo (è già prevista una versione in urdu e una in arabo del giornale). Il prezzo da pagare per questo salvataggio è
che adesso la testata è messa sotto forti pressioni.

Cosa stiamo rischiando?

Io penso che noi stiamo sottovalutando il peso delle acquisizioni che il mondo arabo (ma considerazioni analoghe andrebbero fatte anche per quelle cinesi o russe) sta mettendo in campo in Europa. Si tratta di fenomeni fatali nella globalizzazione, ma non dovremmo sottovalutare il fatto che quando si vende un’azienda – a maggior ragione un giornale – si sta vendendo anche un pezzo di eredità culturale. Valentino è stato comprato da uno sceicco del Qatar: sono curiosa di vedere che fine farà.

Perché in Occidente, specie in ambienti progressisti, si fa così fatica a criticare l’islam?

La destra dice che è per il politicamente corretto, io penso che ci sia qualcosa di più. Tendiamo a dimenticarcene, ma l’Europa è una civiltà che è uscita devastata dal Novecento e che per questo ha sviluppato una fortissima cultura del rifiuto della guerra, per cui evita qualunque cosa che possa condurre allo scontro. È una civiltà che si è fatta concava.

(3 novembre 2017)



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